A Caravaggio i vescovi hanno perso la fiducia dei fedeli
La stima e la fiducia dei propri figli la si conquista, come ogni genitore sa, stimandoli e dando fiducia a loro. La si perde, quando li si tratta da irresponsabili e incapaci di intendere e di volere, senza che vi sia prova alcuna che siano così. La CEI ha perso una grande occasione per dimostrarsi matura per il compito grande che le viene affidato, ancor più in un tempo grave, drammatico, come quello che stiamo attraversando.
Pubblichiamo di seguito una riflessione di un sacerdote giunta in redazione e che ci sembra fotografare bene quanto accaduto con l'Atto di affidamento di Caravaggio. Il sacerdote ci ha chiesto di restare anonimo.
A coloro che amano, servono e difendono la Chiesa (preti, religiosi o semplici fedeli), quanto accaduto a Caravaggio la scorsa settimana in occasione dell’atto di affidamento della Chiesa italiana e del nostro Paese a Maria Santissima ha fatto male, molto male. È una ferita nella stima e nella fiducia che ciascuno di essi ha sempre riposto nei vescovi e nei loro collaboratori che rivestono ruoli apicali nella Chiesa italiana.
Di questa stima e fiducia ne è stata testimonianza, durante le passate settimane, il fatto che le direttive provenienti dalla CEI sulle celebrazioni liturgiche cum populo nell’epidemia da coronavirus (prima tutte vietate; ora quelle funebri ammesse con forti limitazioni) siano state riversate letteralmente nei decreti dei vescovi diocesani ed accettate senza troppe resistenze dai parroci assumendo per vero quello che la Presidenza e la Segreteria Generale della CEI aveva detto: “Abbiamo condotto trattative con il Governo ed è il massimo che abbiamo ottenuto”, “le modalità sulle celebrazioni religiose sono state dettate dal Comitato tecnico-scientifico del Governo, e non abbiamo potuto modificare nulla”, e “il clima di dialogo e di collaborazione con il Governo è buono e tra poche settimane ripartiranno le Messe”. Parole che chiedevano a vescovi, sacerdoti e fedeli di avere fiducia, di non scalpitare e allinearsi, di “fidarsi” della CEI perché le sue parole erano degne di stima prima ancora che di obbedienza.
Purtroppo, oggi, dopo quanto accaduto a Caravaggio, non è più così. La stima e la fiducia uno (sia esso il Presidente o il Segretario dei vescovi, un semplice vescovo diocesano o un parroco) deve conquistarsela sul campo pastorale, non pretenderla a priori su quello del diritto canonico. Quest’ultimo chiede l’obbedienza, l’ossequio, il rispetto ed altro ancora. Ma non può pretendere la stima e la fiducia, due disposizioni della mente e dell’animo che non si comandano con gli articoli di un codice, ma che sono fondamentali perché ogni ministro sacro sia ben disposto ad osservarli lui stesso e a farli osservare dai fedeli. La stima e la fiducia, che conferiscono autorevolezza a qualunque autorità civile o religiosa, bisogna conquistarsele con un comportamento serio, responsabile, onesto e trasparente. Esattamente ciò che è venuto a mancare nella vicenda di Caravaggio del primo maggio. E quando una autorità tradisce la stima e la fiducia in essa riposta, le perde tutte e due, e prima di riconquistarle deve passare molta acqua sotto i ponti, anche quelli del Tevere.
Sento già qualcuno che alza la mano e grida: “Ma in fondo è poca cosa: suvvia, non fermiamoci al particolare di una preghiera detta un giorno piuttosto che un altro, e andiamo alla sostanza, cioè che l’affidamento a Maria c’è stato e i fedeli hanno potuto pregare da casa loro”. Mi sia consentito di dissentire fermamente da questa affermazione minimizzatrice di un fatto gravissimo. E per le seguenti ragioni.
Anzitutto, che un fedele o un sacerdote possa venire invitato a pregare la Madonna da casa con una preghiera identica per tutti gli italiani, e diffusa attraverso la stampa o i siti web cattolici, e recitata individualmente o in famiglia tutti nello stesso giorno e alla stessa ora, è una cosa lodevole, ma non è quello che era stato proposto ai fedeli italiani dalla CEI. Altro è che tutti recitino la stessa preghiera o l’identico atto di affidamento a Maria personaliter atque eodem tempore, altro è che i fedeli si uniscano (anche a distanza fisica ma non temporale, attraverso i mezzi di comunicazione in diretta) nell’elevare la preghiera una voce (“con una sola voce”, come si concludono molti Prefazi della liturgia della Messa) in totam Italiam, preghiera cui Episcopus praeest in persona Christi capitis.
Quest’ultima modalità è quella che era stata proposta dai vescovi stessi, rappresentati da uno di loro, monsignor Antonio Napolioni, scelto a motivo del territorio in cui è localizzato il Santuario di Santa Maria del Fonte (Caravaggio, diocesi di Cremona) e della sua personale esperienza di sofferenza per la Covid-19, che doveva essere fisicamente presente dinnanzi all’effige della Vergine Maria la sera del 1 maggio, alle 21, presiedendo a nome di tutti i vescovi italiani la preghiera e l’atto di affidamento. Ma così non è stato. Invece, è stato fatto credere a decine di migliaia di fedeli che quella sera stavano elevando al cielo una preghiera guidata dal vescovo, che li rappresentava in quel momento dinnanzi alla Madonna di Caravaggio dove avrebbero voluto essere fisicamente presenti se le circostanze lo avessero consentito. Ma il santuario era chiuso, vuoto e buio, con nessuno in ginocchio dinnanzi alla Madonna. Se questo non è un fatto gravissimo, non so cos’altro lo possa essere sul piano della (buona) fede, della preghiera, della devozione mariana e della comunione ecclesiale.
Qualcuno potrebbe obiettare che a pregare e ad affidare l’Italia a Maria, in quello stesso santuario e con le medesime parole, c’era stato qualche giorno prima, e precisamente lo stesso vescovo Napolioni. Questo fatto è fuor di dubbio, e il filmato trasmesso la sera del 1 maggio lo documenta inequivocabilmente. Ma non è la stessa cosa. Mutatis mutandis (la Messa è la celebrazione dell’Eucaristia, un sacramento; il gesto compiuto è una preghiera e un atto di affidamento spirituale), la differenza appare evidente considerando proprio quello che la stessa CEI (e ancor più in alto, la Santa Sede) hanno proposto da due mesi a questa parte ai fedeli che non possono partecipare nelle chiese alla Messa festiva. Le Messe da Santa Marta, dalla Basilica di San Pietro (durante il Triduo Pasquale) e dalle chiese cattedrali e parrocchiali che possono soddisfare eccezionalmente il precetto e consentire una vera partecipazione spirituale al sacrificio eucaristico sono solo quelle in diretta, cioè le Messe in cui i fedeli si uniscono al celebrante eodem tempore, formando una autentica comunità orante nunc adest e presieduta, sia pura a distanza fisica dal ministro ordinato. La preghiera comunitaria, così come la celebrazione della Messa, non può essere un evento spirituale fruibile in podcast.
Infine, si potrebbe considerare la causa di forza maggiore o di opportunità che avrebbe costretto o raccomandato la CEI a realizzare una trasmissione in differita dell’affidamento a Maria nel santuario di Caravaggio. Diverse ipotesi sono state riportate (vedi qui e qui). In questa sede non si entra nel merito della loro eventuale plausibilità, ma ci si limita ad una considerazione di metodo. Qualunque sia stata la ragione che abbia potuto spingere la CEI a predisporre e mandare in onda una preghiera e un atto di affidamento non in diretta, perché non far conoscere questa ragione ai fedeli oppure, se non era opportuno renderla nota per motivi di riservatezza, perché almeno non dire la verità sulla trasmissione avvisando, anche solo all’ultimo minuto, che essa era stata pre-registrata? Perché costruire una menzogna e lasciar credere (alla buona fede dei fedeli) che essa sia la verità? Una menzogna è sempre un atto in sé moralmente grave, un intrinsece malum come dice la teologia morale cattolica: la sua “intrinseca cattiveria” è già contenuta nella definizione di menzogna, che si oppone radicalmente al bene della verità. Se non vi era nulla di cui vergognarsi (e osiamo sperare che sia così), perché non essere schietti con i fedeli e parlare loro in modo chiaro e trasparente?
Siamo certi che i parroci e i fedeli avrebbero compreso le ragioni o anche solo intuito l’opportunità di questa variazione di programma e sarebbero stati vicini ai loro vescovi e alla CEI. I fedeli che desideravano affidarsi e affidare il proprio Paese alla Madonna non sono dei bambini capricciosi che non vogliono sentire ragioni dai loro genitori. Come un figlio adulto che capisce perché è bene obbedire quando il padre e la madre gli forniscono le ragioni per cui deve farlo, così si sarebbero comportati la sera del 1 maggio i cattolici italiani e i loro pastori.
La stima e la fiducia dei propri figli la si conquista, come ogni genitore sa, stimandoli e dando fiducia a loro. La si perde, quando li si tratta da irresponsabili e incapaci di intendere e di volere, senza che vi sia prova alcuna che siano così. La CEI ha perso una grande occasione per dimostrarsi matura per il compito grande che le viene affidato, ancor più in un tempo grave, drammatico, come quello che stiamo attraversando. Ha perso una bella occasione per guadagnare la stima e la fiducia del clero e dei fedeli che le sono necessarie per ottenere obbedienza, riverenza, rispetto e credibilità. E, ora, per recuperare la china da questo scivolone, la strada è tutta in salita.