800 anni di presepe: i pastori e un gladiatore che veglia
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Quella notte in cui san Francesco allestì la prima rappresentazione della Natività riecheggia nella letteratura, invitandoci a tenere aperti occhi e cuore di fronte al Mistero che entra nella storia.
San Francesco è stato un fondatore, un anticipatore, un precursore, una persona che davvero portò novità nel mondo, proprio lui che non voleva creare nulla, ma solo amare e seguire Cristo. In questo modo fu lui a scrivere il primo testo che apre la letteratura italiana nel 1224 con il Cantico delle creature. Fu lui a ispirare tanta pittura di Giotto (genio innovatore dell’arte italiana del Trecento). Fu lui, secondo la tradizione, a mettere in scena il primo presepe vivente la notte di Natale del 1223.
A Greccio avvenne il miracolo. Lo racconta san Bonaventura da Bagnoregio, frate francescano, nella sua biografia di san Francesco intitolata Legenda maior. Tutta la popolazione accorse per la cerimonia del Santo Natale, i frati si radunarono vicino ad una mangiatoia nei pressi del bosco. In latino mangiatoia si dice praesaepe ovvero greppia, ma anche recinto chiuso dove si custodiscono gli animali (da saepes ossia «recinto» e prae ossia «innanzi»). San Francesco stava lì, davanti alla mangiatoia, bagnato di lacrime, commosso per la gioia. Il santo di Assisi celebrò la liturgia, lesse il Vangelo e poi predicò la nascita del Bambino di Betlemme. Giovanni di Greccio, cavaliere che aveva lasciato tutto per seguire il frate, vide dentro la mangiatoia un bambino addormentato tra le braccia di san Francesco. Greccio divenne una nuova Betlemme.
Accadde ottocento anni fa. Da allora in ogni casa e in ogni chiesa si riproduce il santo presepe a significare che il Signore è presente come ci ha promesso, rinasce nel mondo e nei nostri cuori. Per vederLo e riconoscerLo bisogna domandarLo. Come san Francesco: voleva rallegrarsi della nascita del Bambin Gesù ed essere con Lui nella mangiatoia nel 1223 ed ebbe la grazia del presepe e del Bambino tra le sue braccia; voleva soffrire con il Signore i dolori della passione e della croce ed ebbe la grazia delle stimmate nel 1224 alla Verna. Proprio nell’anno in cui ricevette le stimmate san Francesco rese gloria a Dio con il Cantico delle creature, che concluse poche settimane prima di morire nel 1226 con la strofa in cui chiamava sorella la morte.
Nella poesia Il presepio di Greccio Graziella Ajmone (1912-1993) così ricostruisce la notte di Natale di ottocento anni fa, evidenziando la vigile attesa, il cuore di bambino, la sorpresa degli abitanti:
Salgono i frati, vien dalla vallata
la buona gente nella notte fonda.
Fiaccole e lumi segnano i sentieri
e l'aria è immota sotto lo stellato.
Culla la valle suono di campane.
Lieve è il cammino; vanno i passeggeri
recando ognuno un cuore di bambino
colmo d'attesa; van come i pastori
verso il Presepio e intorno è tanta pace.
Ecco la grotta, ecco sospesa,
brilla la stella! Gli occhi desiosi
guardan la greppia, il bue e l'asinello,
guardan l'Altare; poi ciascuno sogna
il sogno di Francesco poverello.
Ma il Santo vede: vede il Dio Bambino
piccolo e bianco nella mangiatoia.
Si china; ascolta il tenero vagito,
gli fa cuna d'amore tra le braccia […]
e il cuor divino batte sul suo cuore.
Angeli scendon lungo vie di stelle;
un cielo d'indicibile splendore
s'incurva sul presepe; […].
Vive ciascuno il sogno di Natale.
Duemila anni fa come oggi, in ogni parte della Terra, l’uomo è in attesa del Salvatore, perché attende di essere salvato. Di rado, però, l’uomo vive questa consapevolezza.
Lo racconta Pascoli ne La buona novella (sezione della raccolta Poemi conviviali) in cui si racconta dell’attesa del Messia e della sua nascita. Nella prima parte In Oriente compaiono pastori in perenne attesa di una risposta dal Cielo, stanchi di aspettare con la loro domanda sempre lì, ineludibile. Uno dei pastori di nome Math canta: «O Dio, noi siamo come questa greggia/ che va e va, nè posso dir che arrivi,/ nemmen se giunga al pozzo della reggia!». Il gregge è, però, inconsapevole della morte e non porta nel cuore la domanda d’infinito. Allora accade un fatto. Un canto invade i cieli: «Pace/ sopra la terra!». Un angelo annuncia: «Gioia con voi! Scese/ Dio sulla terra». Ecco la buona novella, il Vangelo: Dio si è fatto uomo! I pastori si mettono in moto verso Betlemme ove un angelo mostra la capanna dove è nato il Messia. Entrando nella capanna, Math dice alla Madonna che i pastori stanno cercando colui che vive, colui che non muore. Risponde Maria: «Il figlio mio/ morrà […]/ in una croce… - Dio…-». Allora tutto l’universo si rivolge a quel Bambino come a colui che è l’atteso da sempre.
Nella seconda parte In Occidente lo sguardo del poeta si sposta dalla periferia dell’impero romano (Betlemme) alla capitale, la Roma immortale, conquistatrice di popoli, sazia delle proprie ricchezze e di piaceri, addormentata, non in attesa. Roma non vive la vigilia. In latino vigilia è il turno di guardia e, al contempo, la sentinella che faceva il turno di guardia la notte. Allora la vigilia di Natale non indica solo il giorno prima del Natale, ma sottolinea anche l’attesa vigile del compimento di un evento. Roma dorme, non attende nulla, al contrario di quei semplici pastori, perché non sono sazi di quanto hanno. Anche a Roma, «ebbra di sangue» e addormentata, c’è uno che veglia: è un gladiatore, solo, lì, ferito, di fronte alla luna ad attendere. Finalmente giunge dalla Giudea un angelo «bianco nella notte azzurra» ad annunciare la pace sulla Terra. Il gladiatore può finalmente morire in pace, ora che la buona novella si è fatta carne.
Lasciamo aperta la porta del cuore, teniamo spalancati gli occhi, le orecchie tese all’ascolto. Siamo come i pastori di Pascoli, come il gladiatore ferito nella Roma imperiale che dorme. In attesa vigile che Lui venga, oggi, a salvarmi dal nulla che spesso si impossessa del mio cuore e a mostrarmi il suo amore che ci salva! Ogni giorno sia vigilia, attesa dell’eterno, domanda che il Mistero venga, abbracci la mia umanità e la mia carne. L’amore, il suo amore, è la dimensione temporale in cui l’eterno colpisce coi suoi raggi la storia. Quando siamo davvero amati e amiamo facciamo esperienza dell’eternità. Il tempo si ferma, il tempo si riempie di profondità e di significato, si riempie di Lui che è il senso della storia.
La Cantata dei pastori, in un’opera il mistero del Natale
Opera in tre atti del gesuita Andrea Perrucci, la trama si basa su una serie di congiure demoniache per impedire la nascita di Gesù Bambino. Ma l’arcangelo Gabriele sventa i piani infernali, aiutando Maria e Giuseppe.
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Le canzoni legate al Natale hanno questa capacità: si condensano in un angolo del cuore e risvegliano ricordi, immagini della propria memoria. Sono dense di poesia, così come tanti sono i compositori che si sono addentrati nel tema: dal teologo sant’Alfonso Maria de’ Liguori a Irving Berling, da Giovanni Pierluigi da Palestrina a sir John Francis Wade.