Zingaretti si dimette. Ma non si sente affatto sconfitto
Zingaretti si dimette dalla carica di segretario del Pd. Ma stando al suo comunicato e al tono in cui è scritto, non si ritiene sconfitto, né chiede scusa. La mossa mirerebbe a stanare i suoi nemici di partito che si stavano coalizzando per disarcionarlo e che ora devono uscire allo scoperto. Il centrodestra vuole approfittare della debolezza del Pd per portare il governo Draghi dalla sua parte.
Non è proprio un fulmine a ciel sereno, ma è indubbiamente un colpo di scena non da poco. Che nel Pd fosse iniziato il processo a Nicola Zingaretti lo si era intuito. Ma che il diretto interessato, giocando d’anticipo, si dimettesse, erano in pochi a prevederlo. Neppure i suoi vice, che non erano stati neppure avvisati e che hanno appreso la notizia direttamente dai social.
Dunque da ieri pomeriggio il Pd ha un segretario dimissionario, che fa un passo indietro polemico e si prepara a vendere cara la pelle. Nessuna autocritica, anzi. Una comunicazione ricca di attacchi agli avversari interni, che lascia chiaramente intendere la finalità di questa mossa: stanare i suoi nemici di partito, che si stavano coalizzando per disarcionarlo già nell’assemblea nazionale fissata per il 13 marzo e che ora devono uscire allo scoperto se vogliono davvero accelerare i tempi del prossimo congresso e preparare la successione.
Zingaretti ha spiegato in un post su Facebook le ragioni delle sue dimissioni: "Lo stillicidio non finisce. Mi vergogno che nel Pd, partito di cui sono segretario, da 20 giorni si parli solo di poltrone e primarie, quando in Italia sta esplodendo la terza ondata del Covid, c’è il problema del lavoro, degli investimenti e la necessità di ricostruire una speranza soprattutto per le nuove generazioni. Sono stato eletto proprio due anni fa. Abbiamo salvato il Pd e ora ce l’ho messa tutta per spingere il gruppo dirigente verso una fase nuova. Ho chiesto franchezza, collaborazione e solidarietà per fare subito un congresso politico sull’Italia, le nostre idee, la nostra visione. Dovremmo discutere di come sostenere il Governo Draghi, una sfida positiva che la buona politica deve cogliere. Non è bastato. Anzi, mi ha colpito invece il rilancio di attacchi anche di chi in questi due anni ha condiviso tutte le scelte fondamentali che abbiamo compiuto. Non ci si ascolta più e si fanno le caricature delle posizioni. Ma il Pd non può rimanere fermo, impantanato per mesi a causa in una guerriglia quotidiana. Questo, sì, ucciderebbe il Pd. Visto che il bersaglio sono io, per amore dell'Italia e del partito, non mi resta che fare l’ennesimo atto per sbloccare la situazione. Ora tutti dovranno assumersi le proprie responsabilità. Nelle prossime ore scriverò alla Presidente del partito per dimettermi formalmente. L’Assemblea Nazionale farà le scelte più opportune e utili. Io ho fatto la mia parte, spero che ora il Pd torni a parlare dei problemi del Paese e a impegnarsi per risolverli. A tutte e tutti, militanti, iscritti ed elettori un immenso abbraccio e grazie".
Non è certo il messaggio di uno che getta la spugna e si defila. La strategia è chiara: giocare d’anticipo prima che i suoi avversari lo impallinino. Le correnti dem degli ex renziani (Guerini e Lotti) e dei sindaci (Gori, Sala, Nardella), dopo aver fomentato la ribellione delle donne del partito per la mancata valorizzazione nella compagine del governo Draghi, preparavano il plotone d’esecuzione contro il segretario in vista dell’Assemblea di metà marzo. Gli rimproverano l’ostinazione su Conte premier e l’appiattimento sui grillini, con i quali, fino a qualche giorno prima della nascita del Conte bis, aveva giurato che non si sarebbe mai alleato. C’è chi sospetta che Zingaretti abbia annunciato il suo disimpegno dalla guida del partito per poi rilanciare e farsi riconfermare segretario con un mandato pieno e forte, almeno fino al congresso del 2022 e chi, invece, insinua che voglia candidarsi a sindaco di Roma e sia disposto a cedere la segreteria proprio per non identificarsi con un partito in caduta libera. Non è un caso che proprio in questi giorni, come governatore del Lazio, stia aprendo all’ingresso nella sua giunta di esponenti grillini.
Le reazioni di circostanza dei suoi compagni di partito non possono tranquillizzarlo più di tanto. Matteo Ricci, coordinatore dei sindaci Pd e presidente Ali (Autonomie locali italiane), lo difende a spada tratta: "Nicola deve rimanere e continuare il suo mandato con la rinnovata spinta dell'Assemblea". Il capogruppo del Pd alla Camera, Graziano Delrio, auspica che Zingaretti "rimanga alla guida del partito". E Francesco Boccia, ex ministro, aggiunge: "Grazie alla sua guida il Pd è uscito da uno dei periodi più bui della sua storia. L'assemblea lo confermi". Per Achille Occhetto, ultimo segretario del Pci e primo del Pds, si tratta di "una notizia tragica per la sinistra". Molti altri leader politici sono invece molto più tiepidi. Matteo Renzi tace e porta a casa anche questo successo: aver indebolito politicamente Zingaretti, paladino dell’alleanza organica con i Cinque Stelle, e aver indirettamente favorito l’ascesa di Stefano Bonaccini, governatore emiliano-romagnolo ormai lanciato verso la guida del Pd. Il senatore di Rignano si è confermato uno stratega di livello, visto che in pochi mesi ha silurato Conte e ora manda in frantumi anche il patto che sosteneva il governo da lui presieduto. I grillini sono impantanati in una crisi senza precedenti e il Pd perde la sua guida. Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, non commenta la scelta del dem, e si limita a definire Nicola Zingaretti “una persona perbene".
E nel centrodestra ora si riflette sul da farsi. La tentazione è quella di approfittare della debolezza dei due alleati di centrosinistra per imporre al governo Draghi una sterzata di centrodestra e quindi per condizionare sempre di più la linea dell’esecutivo sia sulle prossime nomine sia sugli interventi da fare per utilizzare al meglio le risorse del Recovery e rilanciare l’economia. A Matteo Salvini le dimissioni di Zingaretti e il Vietnam dentro il Pd offrono l’occasione per accrescere il suo potere negoziale con Palazzo Chigi e far valere le sue ragioni, dimostrando che il disegno giallo-rosso, di cui il segretario dem dimissionario è il principale attore, si è ormai dissolto. Anche Forza Italia spera di lucrare vantaggi dalla resa dei conti in casa dem, oltre che della disgregazione del Movimento Cinque Stelle. Il senatore azzurro Maurizio Gasparri attacca: "I grillini sono in un regresso irreversibile, che ne segna il fallimento totale dovuto all'inconsistenza e all'incapacità dei suoi esponenti. E il Pd autocertifica con le dimissioni tattiche di Zingaretti la sua profonda crisi". Parole chiare per marcare il distacco tra un centrodestra col vento in poppa nei sondaggi e sempre più decisivo per la stabilità di governo e un centrosinistra bisognoso di una rifondazione.