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VIOLENZA SULLE DONNE?

Viziata non è la mascolinità ma le relazioni uomo-donna

Dobbiamo dire una coraggiosa verità alla luce degli studi sull’argomento: la violenza è incontrovertibilmente umana e non agisce in base al sesso ma per tipologia di relazione tra le persone. Pertanto le vignette pensate per la "giornata contro la violenza sulla donna" sono viziate dal pregiudizio secondo cui è solo la donna a subire, dimenticando che se un rapporto uomo-donna è malato la vittima è il figlio.

Attualità 24_11_2018

Girovagando sui social mentre andiamo verso il 25 novembre (giornata contro la violenza sulle donne), le vignette che si trovano sono ovviamente contro il maschio misogino e patriarcale. Queste immagini sono molto interessanti e vorrei provare a discuterne.

La prima è chiara: un uomo picchia una donna, che picchia un bambino, che prende a martellate un cane (che piange). A parte la povera bestia che viene coinvolta nella discussione e pare non reagire (non ho mai visto un cane che sta fermo a prenderle da un bambino senza provare a reagire per lo meno ringhiando, ma forse ho visto pochi cani), si capisce chiaramente che l’uomo che urla forte e sovrasta tutti è il padre e che la povera donna coinvolta è la madre. Pur tuttavia mi sovviene un dubbio: ammettiamo che il padre urli con la madre. Ma una madre che riceve offese verbali si sfoga col bambino? Non tenta di difenderlo, d’interrompere la catena di violenza?

Seconda questione che sta nella didascalia: “Dal più forte al più debole”: tuttavia la violenza verbale (quella che pare esserci tra padre e madre, nella vignetta) è anche propria della donna come ben sanno gli esperti che trattano questo tema. Quindi, per lo meno e per essere politicamente corretta, la donna dovrebbe essere stata disegnata con le stesse caratteristiche fisiche dell’uomo, per essere più vicina alla verità: che poi il bambino che subisce la mancanza di relazione equilibrata possa incamerare violenza e rigettarla verso il suo prossimo, non è automatico. Sappiamo che San Francesco fu molto umiliato dal padre, ma non si è sfogato coi più deboli, anzi. Quindi il determinismo espresso da questa vignetta è deliberatamente sbagliato.

Vignetta numero due che riguarda la violenza verbale: un enorme omone urla (cono grigio) contro una donna e un bambino. Chiaramente un uomo contro la moglie (pardon: compagna) e il figlio. La violenza verbale è terrificante e nella mia esperienza di lavoro con le donne, ho assistito spesso a tale modalità di aggressione comunicativa. Per esempio, ma solo a titolo informativo, durante il corso universitario che ho frequentato (ostetricia), sono state delle ostetriche donne a diffondere il messaggio che avrebbero fatto di tutto per “tagliarmi le gambe” e non farmi laureare (il motivo di quest’odio non mi è mai stato fatto comprendere). Sorvolando questo e ammettendo che ci sono molti uomini violenti verbalmente, dobbiamo dire una coraggiosa verità, alla luce degli studi pubblicati sull’argomento: la violenza è incontrovertibilmente umana (pagina 15) e non agisce per genere ma per tipologia di relazione tra le persone. Dobbiamo quindi constatare che anche questa vignetta esprima un pregiudizio errato molto forte: quello secondo il quale è la donna a subire. Se sono vere le ricerche effettuate, l'unica vittima sacrificale di una relazione violenta è il figlio che è trascinato in un odio che lo vede coinvolto e che si ripercuoterà per tutta la vita (sono figlia di separati, so quello che dico). Quindi non è malata la mascolinità che è violenta (secondo il mainstream e Angela Finocchiaro), ma sono malate le relazioni tra uomo e donna, che coinvolgono le uniche persone che non possono che essere oggetti del contendere: i bambini.

Altra vignetta: una donna tranquillamente allatta mentre, sullo sfondo, due belle mammelle con pizzo, pubblicizzano il negozio di intimo succinto. Un poliziotto e il commesso del negozio sovrastano fisicamente la donna e le dicono che non si può fare. Scene del genere furono prese di mira da una battaglia social di qualche tempo fa che pubblicizzava l’hashtag #ovunquelodesideri (devi allattare ovunque tu lo desideri con conseguente proposta di legge sulla libertà di allattare).

Pochi giorni fa un amico ha messo su Facebook la foto della moglie che allatta (si vede un po' di poppa leggermente scoperta e una testina di neonato) e chi è che ha criticato l’inquadratura? Una donna che manifestava la mancanza di pudore della nutrice. Ho allattato da tutte le parti (tribunali, santuari, ristoranti: ho sei figli e un po’ di esperienza ce l’ho), ma nessuno mi ha mai detto nulla, e se l’avesse fatto, avrebbe trovato una persona deputata alla difesa del mio bambino di essere allattato: il padre del medesimo. Quindi, partendo col presupposto che i bambini debbono poter essere allattati quando ne hanno necessità, la critica verso il gesto naturale sta sia nella donna, quanto nell’uomo, anche se, in questa vignetta gli aggressivi, manco a dirlo, sono due uomini.

E invece non è vero: tutti possono esserlo, come conclude Davide Stasi nella indagine conoscitiva sulla violenza verso l’uomo (pagina 15). Leggiamo infatti nelle conclusioni: «Ed è forse questa la più logica e scontata, oppure vera e sorprendente, conclusione di questa indagine: la violenza è umana. Strettamente connessa all’essere umano, caratteristica presente e manifesta a  prescindere  dal  genere  di  appartenenza (e anche delle  inclinazioni  sessuali),  essa  manifesta  le  sue multiformi peculiarità a seconda di talune circostanze relazionali ben identificabili» e continua «questa indagine smentisce che possa esserci una violenza agita verso l’altro in quanto altro, sia esso uomo o donna. L’escalation che cova nelle situazioni stabili per esplodere nelle situazioni separative mostra che non vi è mai un movente puramente ideologico basato sul dominio o la superiorità dell’un genere verso l’altro. A innescare la violenza sono sempre talune precise circostanze, con tutto il complesso di sentimenti e interessi umani che nel conflitto finiscono coinvolti».

Passiamo all’ultima vignetta che è anche commentata in modo esplicativo: un bambino subisce violenza e, crescendo, diviene simile al padre che lo colpiva da piccolo. La chiave interpretativa sta anche, ad esempio, negli studi della dottoressa Alice Miller che capì il legame tra violenza subìta e violenza esplicata a partire dalle ricerche effettuate sui grandi dittatori (Hitler, ad esempio) e su serial killers. Come riporta il testo della vignetta che noi condividiamo, la coazione a ripetere può essere interrotta grazie a un aiuto esterno che “salvi” la vittima dal divenire carnefice a propria volta. Ovviamente anche in questo caso andrebbe “presa con le pinze” la sostanza deterministica dell’opinione della Miller che pare non tener conto di alcune variabili: pur tuttavia, la sostanza è chiara e la violenza non ha sesso di appartenenza. Nonostante, però, ci siano molte storie di donne cattive che hanno compiuto atti abominevoli contro i bambini, l’immagine è sempre maschile.

Il 25 novembre si avvicina e quello che sarebbe corretto vedere non è un tripudio di donne e uomini che manifesta pubblicamente (anche sui social) il proprio dissenso verso la violenza sulla donna, ma sarebbe leggere e manifestare tutti insieme contro la violenza sulle persone. Verso tutte le persone: indipendentemente dall’età (dal concepimento sino alla vecchiaia) e dalla religione professata (ricordiamoci di Asia Bibi – che nessuna femminista ha difeso - e di tutti i cristiani che quotidianamente vengono uccisi). Sarebbe giusto manifestare ma se farlo non discriminasse realmente nessuno: neppure Niccolò Finocchiaro.