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non è araldica

Vescovi senza diocesi

Repubblica parla di «anacronistica nostalgia di dominio» della Chiesa riguardo ai presuli (come mons. Gänswein) titolari di diocesi scomparse. Ma queste ricordano, innanzitutto a loro, che sono pastori, non funzionari.

Borgo Pio 17_01_2023

Padre Georg e gli altri vescovi senza vescovato: si intitola così un articolo a firma di Michele Gravino apparso su Repubblica, che a partire dal titolo arcivescovile di mons. Gänswein (Urbisaglia, località marchigiana di 2000 abitanti) si interroga sul fenomeno delle diocesi "fittizie", che furono effettive nei secoli passati, e oggi vengono assegnate come titolo ai vescovi con incarichi di curia.

Effettivamente le sedi puramente titolari sono oltre 2mila, e lo stesso Gravino ne traccia un piccolo elenco: «Acalisso; Acarasso; Acque Albe di Bizacena e Acque Albe di Mauritania...». Nomi curiosi, anche di località non più abitate da cattolici o persino disabitate. Ma non tali da giustificare l'affrettata conclusione di Gravino: «la loro memoria sopravvive nelle insegne di qualche prelato che probabilmente non ci metterà mai piede. E nella millenaria memoria – o nell'anacronistica nostalgia di dominio – di Santa Romana Chiesa».

Non è chiaro quale «nostalgia di dominio» si potrà celare dietro località generalmente piccole alla cui antica storia non corrisponde più una "potenza" effettiva sul piano ecclesiastico; o che addirittura sono scomparse. Vorranno forse riconquistarle giocando a Risiko? Piuttosto, come diceva (mi pare) Chateaubriand, la Chiesa è come una vetrata: ne vediamo forme e colori dall'interno, mentre da fuori non si scorge altro che un buio aggregato di vetro e piombo. E da fuori ciò che non è chiaro si giustifica con "anacronismo" e "potere", senza provare a capirne la ragione. La ragione è molto semplice e radicata nel ruolo innanzitutto pastorale di ogni vescovo in quanto successore degli apostoli: anche se impegnato in curia, invece che sul territorio, egli non è mai un mero funzionario, ma sempre un pastore.

Ciascuno di loro condivide la sollecitudine dell'intero collegio episcopale per tutta la Chiesa: in altre parole, il vescovo di Forlì non pensa: "mi occupo di Forlì e basta". E così il vescovo di curia, successore degli apostoli al pari degli altri e in quanto tale non riducibile a burocrate. Assegnare un titolo vescovile pertanto non è araldica, ma promemoria (per lui, innanzitutto) per ogni vescovo, che sia di Curia o di città, a condividere la stessa cura pastorale degli altri. E poi mons. Gänswein a Urbisaglia c'è andato davvero.