Vaticano: si apre dolcemente la porta all'eutanasia
La Pontificia Accademia per la Vita organizza un convegno con la World Medical Association: in nome del dialogo si abbandona l'annuncio delle verità non negoziabili, accogliendo la "dolce morte" come un dato di fatto con cui provare ad accordarsi. Basti guardare alle posizioni assunte dalla maggioranza dei relatori.
“Eutanasia nei paesi Bassi: bilanciare autonomia e compassione”. Non è il titolo di una relazione presentata dai Radicali, ma della sessione di un convegno organizzato dalla Pontificia Accademia per la Vita (dal 16 al 17 novembre) insieme alla World Medical Association. È così, all’insegna del “dialogo” e dello “spirito di apertura e di rispetto”, che in Vaticano si parlerà del “fine vita”. Nessuna menzione della verità sulla vita come mai negoziabile, né della visione cattolica sull’uomo a cui non si fa accenno se non in una sessione in cui si guarda alla morte a partire dal cristianesimo, l’islam l’ebraismo e l’ortodossia messi tutti sullo stesso piano.
Purtroppo però non c’è da sorprendersi, perché da quando la Chiesa ha deciso di mettere la sua stessa dottrina in secondo piano, quasi fosse un’onta, il passo per mettere in discussione ciò che è evidente (quindi non discutibile) è breve. Per questo nei titoli delle relazioni tenute da medici e teologi invitati non vi è traccia di alcuna condanna aperta e ferma all’eutanasia o della difesa della vita dal concepimento alla morte naturali. Figurarsi della spiegazione del perché l’eutanasia è sempre e moralmente inaccettabile (Catechismo della Chiesa cattolica). Troppi muri difensivi farebbero male ai promotori della morte su richiesta, con buona pace degli innocenti che pagheranno con la vita l’assenza di barriere protettive.
È così che, dopo l’apertura del convegno da parte di monsignor Vincenzo Paglia, chiamato da papa Francesco alla guida della Pontificia Accademia per la Vita e dopo la sessione su “Eutanasia nei paesi Bassi: bilanciare autonomia e compassione”, interverrà, ad esempio, René Héman, presidente dell'Associazione dei medici tedeschi, che nel marzo scorso si è detto d’accordo con la fondazione Levenseindenkliniek (una clinica dell’eutanasia) sul fatto che quanti scelgono l’obiezione di coscienza debbano comunque aiutare il paziente a trovare un altro medico disposto ad ucciderli, collaborando così con un male assoluto, aggiungendo che si tratta di “una responsabilità morale e professionale”.
Subito dopo, a parlare di “Suicidio assistito in Svizzera: pratiche e sfide”, ci sarà la dottoressa Yvonne Gilli, membro del Green Party svizzero ma soprattutto rappresentate della sezione svizzera del colosso abortista Planned Parenthood, di cui se non sono chiare le posizioni personali in merito al tema, si conoscono quelle sulla necessità di controllare le nascite e di ridurre la popolazione attraverso la contraccezione. Nel pomeriggio si dibatterà poi di “Eutanasia, suicidio assistito e common law”, come se l’eutanasia fosse ormai un dato di fatto con cui bisogna fare i conti. E subito dopo Volker Lipp, professore di diritto civile all’università Georg-August di Gottingen, terrà una lezione su “Eutanasia e suicidio assistito”, nella convinzione che siano necessari strumenti legali per obbedire alle volontà del paziente. Lipp è infatti convinto che nel caso in cui il malato sia incosciente (vedi Eluana Engalro) si debba agire in presenza di un “testamento biologico” o secondo le disposizioni di un tutore, dimenticando così l’agire secondo giustizia del diritto naturale, da sempre difeso dal Magistero della Chiesa come unico argine al potere del più forte. Non solo, perché Lipp è anche favorevole alla sospensione di alimentazione e idratazione.
Il secondo giorno del convegno, sarà aperto da Heidi Stensmyren, presidente dell’Associazione dei medici svedesi, contraria all’eutanasia, ma anch’essa favorevole a quella “mascherata” sotto il nome di “sedazione terminale”, per cui, ha spiegato il medico “è consentito avviare un trattamento sintomatico in dosi tali che possano accelerare la morte”. Addio, dunque, all’asserzione chiara e indiscutibile del Catechismo per cui la sedazione non può essere praticata con il fine di uccidere e per cui “un’azione oppure un'omissione che, da sé o intenzionalmente, provoca la morte allo scopo di porre fine al dolore, costituisce un'uccisione gravemente contraria alla dignità della persona umana e al rispetto del Dio vivente, suo Creatore” (N° 2277).
Ma il vero specchio dell’impostazione del convegno è la posizione bioetica descritta dal secondo relatore della mattina, Stefano Semplici, (Commissione internazionale di bioetica dell’Unesco) sulla necessità di bilanciamento degli opposti (ad esempio pro eutanasia e contro eutanasia), per cui, secondo la logica hegeliana, fra una tesi e un’antitesi bisogna trovare una sintesi, che se per Hegel è assoluta, ma che in realtà è fallace poiché la verità non può nascere da una contraddizione. È così, infatti, che Semplici può giustificare l'equivocità della legge 194 sull’aborto come un buon compromesso e la sentenza del 1975 della Corte costituzionale che “riconosceva il fondamento del principio della tutela del concepito e, al tempo stesso, l’impossibilità di garantire ad esso «una prevalenza totale ed assoluta» rispetto alla volontà e agli interessi di chi è già persona e non solo lo diventerà: la madre”.
Sulla "sedazione terminale" interverrà anche la francese Anne de la Tour, presidente della società francese di cure palliative, che nel caso di Vincent Lambert, il paziente francese incapace di esprimersi, la cui famiglia lottò perché non fosse privato di alimentazione e idratazione contro la volontà della ex moglie che voleva la sua morte per fame e per sete, difese la sentenza europea a favore dell'eutanasia dell'uomo dicendo che “non è sempre facile per la famiglia accettare” e che se ci fosse stato il “testamento biologico” questo “dramma familiare non si sarebbe verificato”.
Guardando invece ad alcuni scritti di Ralf Jox, dell’università di Monaco, chiamato ad esprimersi in merito a “Fine vita e dibattito pubblico in una società democratica”, si legge che la privazione di alimentazione e idratazione è omicidio. Peccato che Jox, in nome della difesa della vita, nel 2014 presentò insieme ad altri colleghi una proposta di legge per la legalizzazione del suicidio assistito in Germania, spiegando che “chiunque è serio nel proteggere la vita, deve mettere in campo regole per il suicidio assistito responsabile”.
Anche in questo caso una bella sintesi con cui ci si illude che si possa accontentare tutti (pro life e pro choice) evitando scontri. Viene da chiedersi se avverrà così che, in nome della difesa della vita, si accetterà la normalizzazione dell’omicidio legale pur dichiarandosi cristiani pro life. E vien proprio da pensare che l’astuzia luciferina si è affinata sempre più.
Infatti, mettendo in discussione le evidenze in nome del dialogo, della conciliazione e della pace hegeliana (quella che ha prodotto il marxismo e il totalitarismo comunista), il Vaticano apre la porta a posizioni diaboliche alimentando una grande confusione su ciò che andrebbe difeso senza compromessi come un bene indiscutibile. E dimenticando che sul male assoluto e intrinseco di un atto, ossia con il diavolo, non si può negoziare senza perdere totalmente il solo “spirito” che il mondo come non mai odia, ma che continua ad essere l’unico a poterlo salvare, quello di Cristo. Che dolore e che tragedia, quindi, nel vedere il Volto della Verità relativizzato per vergogna dalla Chiesa stessa (che dovrebbe proclamarlo con fierezza), ormai pronta a lasciare l’uomo in preda allo smarrimento e alla violenza del potere in cambio del piatto di lenticchie di una falsa pace. Che comunque, presto o tardi, finiranno, lasciando morire di fame (e di sete) i suoi figli.