Vaticano-Cina, un idillio fuori luogo
L'incontro ad alto livello tra il ministro degli Esteri cinese Wang Yi e l’omologo vaticano Paul Richard Gallagher, ha un che di bizzarro se si pensa alla realtà della Chiesa in Cina e a Hong Kong, oltre che all’emergenza coronavirus.
È vero che la diplomazia ha un linguaggio tutto suo e persegue vie proprie, ma il rapporto tra Cina e Santa Sede fa l’effetto di un cerchio in un negozio di oggetti quadrati: non c’entra nulla con la realtà cui si riferisce. Così l’incontro avvenuto venerdì scorso a Monaco, a margine della Conferenza internazionale sulla Sicurezza, tra il ministro degli Esteri cinese Wang Yi e l’omologo vaticano Paul Richard Gallagher, ha un che di bizzarro se si pensa alla realtà della Chiesa in Cina e a Hong Kong, oltre che all’emergenza coronavirus.
L’incontro rappresenta sicuramente un fatto storico, visto che si tratta del contatto a più alto livello tra Cina e Santa Sede da quel lontano 1951 quando i comunisti che avevano preso il potere due anni prima espulsero l’allora nunzio apostolico, monsignor Antonio Riberi. E ha un significato inequivocabile: i rapporti diplomatici migliorano e si avvicina il momento del riallacciamento ufficiale delle relazioni diplomatiche.
I comunicati resi noti sia dalla Segreteria di stato Vaticana che dal governo cinese rendono l’idea di un idillio. Da parte vaticana si è sottolineata «la particolare importanza» del famoso accordo provvisorio del settembre 2018 sulla nomina dei vescovi (accordo che resta tuttora segreto); si è poi «rinnovata la volontà di proseguire il dialogo istituzionale a livello bilaterale per favorire la vita della Chiesa cattolica e il bene del Popolo cinese». Sul terreno però le cose stanno ben diversamente: l’accordo è stato firmato nel bel mezzo di una campagna di repressione contro le chiese cristiane e da allora le cose, per i cattolici che non hanno ceduto al Partito Comunista, si sono fatte ancora più dure: arresti, chiese rase al suolo, controlli sempre più rigidi. Con in più lo smarrimento di vedere che la Santa Sede appoggia la Chiesa patriottica, controllata dal Partito.
Ironia della sorte, monsignor Riberi fu cacciato dalla Cina – e nessun nunzio ci è mai tornato da allora – proprio per aver resistito all’instaurazione di una Chiesa nazionale: «Qualsiasi Chiesa cattolica cosiddetta indipendente – diceva - è semplicemente una Chiesa scismatica e non la vera e unica Chiesa cattolica». Parole che sempre venerdì 14 febbraio da New York ha casualmente usato il cardinale Joseph Zen, arcivescovo emerito di Hong Kong - per descrivere la situazione attuale. «L’Associazione patriottica – ha detto Zen – è sempre stata oggettivamente scismatica». E tale rimane, ma con l’accordo del settembre 2018, la Santa Sede l’ha praticamente legittimata, voltando le spalle ai cattolici che per decenni hanno sofferto una dura persecuzione per rimanere fedeli alla Chiesa. I comunisti, dice il cardinale Zen, «non accettano mai compromessi, vogliono la resa incondizionata». È quello che infatti stanno ottenendo.
La stessa vicenda del vescovo di Hong Kong lo dimostra: sebbene l’annuncio ufficiale non ci sia ancora stato, la scelta è caduta sul candidato pro-Pechino, monsignor Peter Choy (clicca qui). E sempre a proposito di Hong Kong, il controllo di Pechino si fa più stretto non solo per quel che riguarda la Chiesa: mercoledì scorso, riporta il Guardian, è stato nominato a capo dell’Ufficio governativo che si occupa di Hong Kong e Macao Xia Baolong, molto vicino al presidente Xi Jinping, noto soprattutto per la distruzione di croci e chiese nella provincia del Zhejiang, di cui è stato governatore fino al 2017. Anche la sua nomina ha un significato chiarissimo: la volontà di Pechino di riportare ordine nell’ex colonia britannica, dove da mesi continuano le manifestazioni soprattutto giovanili, che stanno mettendo in difficoltà il regime.
Di fronte a questo quadro, le sperticate lodi del ministro degli Esteri vaticano nei confronti del regime maoista suonano quanto meno inopportune. Anche se sono la dimostrazione di quel che afferma il cardinale Zen, ovvero che nell’accordo la Santa Sede ha dato tutto senza ricevere nulla in cambio.
Quanto poi a parole se non altro sfortunate, ci pensa la seconda parte del comunicato, in cui si apprezzano «gli sforzi per debellare l’epidemia» di coronavirus in corso. Apprezzamenti fatti al momento sbagliato, visto che negli stessi giorni sono cominciati ad emergere dettagli sui metodi brutali del governo cinese per isolare le persone affette dal virus (clicca qui). Nulla di sorprendente per chi conosce la realtà del regime cinese, ma in Vaticano si preferisce non vedere.