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EPIDEMIE E POLITICA

Coronavirus, il vero problema è il regime cinese

Xi Jinping, con un proclama in stile maoista, annuncia la “guerra di popolo” al Coronavirus, per impressionare l’opinione pubblica internazionale. Le autorità cinesi tirano fuori che il contagio possa passare attraverso le banconote: roba da romanzi distopici. E che pure serve al Partito comunista, insieme ad altri artifici, per usare mezzi brutali. L’Occidente non ha nulla da eccepire?

Attualità 17_02_2020 English Español

Come sconfiggere il diffondersi costante dei casi di polmonite da Coronavirus? Il presidente cinese Xi Jinping non ha dubbi: con la guerra. Anzi: con la “guerra di popolo”. Sembra di essere tornati ai tempi dei proclami maoisti: il leader comunista cinese ha chiamato il Paese a una grande mobilitazione popolare, e ha messo in moto tutta la macchina dello Stato, da quella sanitaria a quella militare alle strutture del Partito Unico per sconfiggere la minaccia del virus.

Un’ostentazione muscolare diretta soprattutto ad impressionare l’opinione pubblica internazionale, che guarda con crescente preoccupazione ai numeri dei contagiati e soprattutto dei morti, in costante ascesa. Per ora, come sappiamo, i casi della nuova polmonite fuori dalla Cina restano sporadici, legati esclusivamente ai movimenti fuori dai confini di persone cinesi portatrici del virus.

Tuttavia, secondo le autorità cinesi, ci potrebbe essere una modalità di contagio che non prevede il contatto diretto tra persone: le banconote. Da parte del vicegovernatore della Banca Centrale, Fan Yifei, è stato annunciato che le banconote verranno messe in quarantena per 10-14 giorni e disinfettate: i biglietti saranno ripuliti con raggi ultravioletti e alte temperature e poi sigillati. Dopo il periodo di “quarantena”, la cui durata dipenderà dalla gravità dell'epidemia, i biglietti potranno essere rimessi in circolazione. Nel Paese, in molti già stanno optando per gli acquisti online.

Per molti aspetti, questa notizia è davvero interessante. Le banconote - che passano di mano in mano, e che possono effettivamente essere un ricettacolo di microrganismi - non sono mai state oggetto di attenzioni mediche e non sono mai state considerate un mezzo di trasmissione di malattie se non in un suggestivo romanzo di fantascienza dello scrittore americano Frank Herbert (autore del celebre Dune).

In questo romanzo, intitolato Il morbo bianco, uno scienziato americano di origine irlandese, John O’Neill, che ha visto la sua famiglia interamente uccisa in un attacco terroristico, decide di vendicarsi della folle crudeltà dell’umanità diffondendo un virus letale proprio attraverso delle banconote da lui contaminate. Un’idea terribilmente efficace, perché nulla circola diffusamente e rapidamente quanto le banconote. I cinesi ora sembrano prendere sul serio l’ipotesi contenuta in questo romanzo di fantascienza, ma gli esiti potrebbero essere altrettanto degni di scenari di narrativa distopica: un sequestro di massa di denaro, un controllo totale e assoluto delle spese e dei consumi attraverso la tracciabilità del denaro virtuale, e magari, con pretesti igienico-sanitari, l’eliminazione definitiva della valuta cartacea.

Anche questo potrebbe essere parte della cosiddetta “guerra” dichiarata al Coronavirus dal Partito e dallo Stato cinese. I mezzi che si stanno utilizzando, del resto, sono già molto drastici: l’intera provincia dell’Hubei, l’epicentro dell’epidemia, è stretta in una sacca controllata militarmente con l’uso della forza autorizzato e praticato nei confronti di chiunque vi si opponga.

I famosi ospedali costruiti nel giro di pochi giorni, di cui il regime si è vantato con il mondo (e qualcuno anche da noi ha pure espresso ammirazione per l’”efficienza cinese”), si stanno rivelando, grazie alle comunicazioni di osservatori neutrali, come qualcosa di tremendo, che fa impallidire il ricordo degli antichi lazzaretti degli appestati. Se infatti non è impossibile, grazie al lavoro quasi forzato di migliaia di lavoratori, realizzare in pochi giorni degli edifici, perché questi diventino ospedali occorre ben altro: attrezzature, apparecchiature mediche, e soprattutto personale medico e infermieristico a sua volta attrezzato. Tutto questo non è accaduto, e questi ospedali, secondo quanto segnala lo scienziato Steven Mosher - presidente del Population Research Institute, che sta tenendo monitorata con grande attenzione l’epidemia cinese - sono dei grandi depositi di ammalati sistemati su brandine.

In questo, dunque, consisterebbero le misure di isolamento atte a contenere l’epidemia: misure brutali, disumane. Motivate dalla pragmatica visione comunista del “bene collettivo” che prevale su quello individuale. Ciò spiegherebbe il perché dell’impennata della curva di mortalità degli ultimi giorni: non potendo in realtà vincere la “guerra” con mezzi farmaceutici per ora inefficaci, la soluzione è l’isolamento dei malati. Come si faceva in Europa, nel tanto vituperato Medioevo, con gli appestati.

L’Occidente non sembra aver nulla da eccepire nei confronti di queste misure coercitive: la paura che un virus - intorno al quale si sta costruendo un panico diffuso pur non sapendo ancora quanto contagioso possa essere, e con una mortalità che continua ad attestarsi sul 2% - possa diffondersi anche in Europa o in altri continenti, sembra far chiudere gli occhi su quello che il Partito Comunista cinese va praticando. La grande paura è che il virus non trovi ostacoli sul suo cammino.

Per questo l’opinione pubblica occidentale, pilotata da media compiacenti, sembra non preoccuparsi dei mezzi con i quali il regime cinese sta facendo la sua guerra al Coronavirus, pur di raggiungere il fine del successo. E tutto questo potrebbe anche rivelarsi una grande operazione propagandistica: la Cina mostrerà al mondo che è in grado di sconfiggere anche le più minacciose epidemie, e addirittura potrà vantarsi di aver vegliato efficacemente sulla sicurezza mondiale. Il regime comunista  riceverà ringraziamenti e congratulazioni, e magari l’OMS proporrà il “modello cinese” come esempio da seguire. Altrove ci si compiacerà di successi collaterali, magari promettendo la realizzazione di vaccini che impediranno altre future paure.

Al di là di ipotesi, sospetti, congetture e scenari immaginari o, meglio, prossimi venturi, se - come probabile - questa epidemia si rivelerà di carattere stagionale, e cesserà con il rialzo delle temperature e l’avvento della primavera, resta il fatto che tutta l’operazione Coronavirus sta coinvolgendo ingentissime risorse economiche, scientifiche, umane. Risorse che sicuramente sarebbe meglio investire per prevenire e curare quelle epidemie che già esistono, che fanno ogni anno un numero impressionante e vergognoso di vittime, ma che non fanno notizia, che non sono sulle prime pagine, che non evocano scenari da fantascienza, ma che sono una tragica realtà per milioni di esseri umani sofferenti.

Le vere sfide per l’epidemiologia, per la medicina, non vengono dalle pandemie potenziali, ma da quelle attuali, che peraltro hanno alle spalle una lunga storia: sfide nuove e allo stesso tempo antiche, battaglie ancora non vinte, anche se avrebbero dovuto esserlo da tempo.