"Vaiolo delle scimmie razzista", l'assurda battaglia dell'Oms
Schiere di esperti internazionali al lavoro per cambiare il nome alla malattia che, secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, può suscitare forme di razzismo. Spreco di risorse inutile. Ma davvero sono queste le priorità che riguardano i problemi globali della salute?
È stata consuetudine che virus e malattie potessero prendere il nome del ricercatore che li ha scoperti o del luogo in cui sono stati individuati per la prima volta. La malattia di Lyme, ad esempio, si chiama così dal nome della città del Connecticut, negli Stati Uniti, in cui furono segnalati i primi casi nel 1975. È causata da un batterio chiamato Borrelia Burgdorferi in onore del suo scopritore, il batteriologo Willy Burgdorfer. Il virus di Marburg e la febbre emorragica altamente letale che provoca prendono il nome dalla città tedesca di Marburg dove il virus fu isolato nel 1967 dopo lo scoppio di una epidemia tra il personale di laboratorio che stava lavorando su colture ricavate dai reni di scimmie verdi ugandesi.
Non si era visto niente di male, inappropriato, offensivo in questa consuetudine. Tuttavia l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) nel 2015 ha deciso che bisogna adottare una diversa, più corretta procedura che consiste nell’attribuire alle nuove malattie, ai virus e ai batteri che le causano nomi che «evitino di recare offesa a qualche gruppo culturale, sociale, nazionale, regionale, professionale o etnico»: niente più nomi di persona, animali e luogo.
Ancora non si era però proposto di cambiare nome alle malattie già scoperte finché, a partire dallo scorso maggio, casi sempre più numerosi di vaiolo delle scimmie, per decenni endemico solo in Africa occidentale e centrale, sono stati registrati in altri continenti, tanto che a luglio l’Oms ha dichiarato la malattia emergenza sanitaria pubblica di portata internazionale. Allora è nata la preoccupazione per le conseguenze delle “sfumature razziste” del nome della malattia e a giugno un gruppo di scienziati ha chiesto all’Oms di dare nuovi nomi al virus e alla malattia.
Il direttore dell’agenzia Onu, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha assicurato che l’Oms avrebbe lavorato al caso. Ma cambiare il nome di un virus comporta dei problemi, primo fra tutti e non da poco la discontinuità nella letteratura scientifica. Per il momento quindi il nome resta – si rammarica l’Oms – che però è almeno riuscita a rinominarne le sue due varianti. Quella nota come “variante del bacino del Congo” adesso si chiama Clade I e quella nota come “variante dell’Africa occidentale” si chiama Clade II. L’annuncio è stato dato il 12 agosto ed è stato commentato con entusiasmo per il grande risultato raggiunto. «Siamo molto felici che ora possiamo chiamarle Clade I e Clade II piuttosto che fare riferimento a queste varianti usando le regioni africane – ha commentato Ahmed Ogwell, direttore ad interim degli Africa Centers for Disease Control and Prevention – siamo davvero soddisfatti di questo cambiamento nella denominazione che rimuoverà lo stigma dalle varianti».
Anche Fadela Chaib, portavoce dell’Oms, si è detta molto contenta e inoltre ha garantito che l’Oms si assume la responsabilità di rinominare le malattie qualora i termini usati siano stigmatizzanti: «Ma per il momento – ha detto – il piano è cambiare nome al vaiolo delle scimmie».
Almeno due sono le considerazioni, anzi le domande, da fare su questa vicenda. La prima riguarda le priorità dell’Oms e degli organismi partner. Sostituire il nome di una malattia, di un virus o delle sue varianti richiede infatti una quantità notevole di tempo e risorse, sottratte alla loro finalità primaria di prevenire e curare le malattie, possibilmente estirparle, qualunque nome abbiano.
Modificare il nome delle malattie è compito diretto dell’Oms che lo affida allo WHO-FIC, acronimo di: International Classification of Diseases and the Who Family of International Health Related Classifications. Nel caso del vaiolo delle scimmie, l’Oms ha aperto una consultazione e inoltre chiunque lo desideri può proporre dei nuovi termini collegandosi con la Proposal Platform messa a disposizione dall’agenzia. I nomi dei virus invece sono responsabilità dell’ICTV, acronimo dell’International Committee on the Taxonomy of Viruses, dove è già in corso il processo per stabilire come chiamare il virus del vaiolo delle scimmie. Un sottocomitato dell’ICTV è incaricato infine di rivedere i nomi delle varianti. Il suo presidente, Colin McInnes, spiega che oltre tutto il nome del virus è improprio perché le scimmie non ne sono l’ospite naturale, sono solo i primi animali su cui è stata osservata la malattia.
Allo studio dei nomi da dare alle varianti ha lavorato un gruppo internazionale di esperti. L’Oms ha convocato l’8 agosto virologi, studiosi di biologia evolutiva, rappresentanti di istituti di ricerca da tutto il pianeta i quali hanno riesaminato la filogenesi e la denominazione delle varianti del virus, ne hanno discusso caratteristiche ed evoluzione, differenze filogenetiche e cliniche, potenziali conseguenze sulla salute pubblica e sulla futura ricerca virologica ed evolutiva. Gli esperti si sono quindi detti concordi sull’adozione dei nuovi nomi che, in linea con le procedure attuali, le identificano con numeri romani – Clade I, Clade II – e sul fatto di utilizzare lettere dell’alfabeto latino minuscole per le sottovarianti.
La domanda è: era proprio necessario tutto questo, riesame incluso, quando si trattava soltanto di cambiare due nomi?
L’altra domanda è: davvero era necessario cambiare il nome delle varianti per non recare offesa a un «gruppo culturale, sociale, nazionale, regionale, professionale o etnico» che peraltro continuerà a rischiare lo stigma sociale finché non si troverà un altro nome per il vaiolo delle scimmie? A luglio la città di New York ha scritto una lettera al direttore dell’Oms per ricordargli gli effetti «potenzialmente devastanti e stigmatizzanti» del termine in uso. Vi si legge: «Continuare a usare il termine ‘vaiolo delle scimmie’ per descrivere l’attuale epidemia può riaccendere sentimenti razzisti, specialmente contro i neri e altre persone di colore».
Le malattie da rinominare sono almeno 11, sette delle quali hanno nomi “potenzialmente devastanti e stigmatizzanti” per i neri e per altre persone di colore: la febbre Crimea-Congo, la febbre di Lassa, la febbre del Nilo, la febbre della Rift Valley, l’Ebola, la Zika e la chikungunya.