Vaccino, fretta statistica: bisogna morire in 14 giorni
Il caso di Francesca Tuscano, morta a causa del vaccino e risarcita perché deceduta entro il 14esimo giorno dall'inoculo e quello di Camilla Canepa che non dovrebbe avere diritto ad un indennizzo, pur essendo morta per lo stesso motivo, ma 16 giorni dopo la puntura, svela la grottesca beffa di fissare un limite di 14 giorni. «È statistico, fissato prima della pandemia», spiega Palù alla Bussola. In realtà è un errore scientifico a priori che ha l'effetto di restringere il campo delle reazioni avverse, escludendo quelle che portano a un esito fatale nel tempo: la statistica dei decessi, infatti, si sta formando in questi mesi.
Appena 24 ore separano il destino di due giovani donne vittime del vaccino: ai famigliari di una verrà riconosciuto un risarcimento di 77mila euro, ai genitori dell’altra invece, molto probabilmente non verrà riconosciuto nulla, anche se per entrambe la trombocitopenia diagnosticata come causa della morte è vaccino correlata. Solo che per la prima, Francesca Tuscano morta a Genova a 32 anni il 4 aprile di un anno fa, il decesso è avvenuto entro i 14 giorni dalla somministrazione del vaccino Astrazeneca, mentre la seconda, Camilla Canepa, di appena 18 anni, ha chiuso per sempre gli occhi appena 16 giorni dopo l’inoculo.
È la beffa, la tragica beffa che solo in Italia può assumere contorni così grotteschi. La perizia medico legale ordinata dalla Procura di Genova ed effettuata dal medico legale Luca Tajana e dell’ematologo Franco Piovella ha stabilito come “il decesso della paziente è ragionevolmente da riferirsi a effetti avversi da somministrazione di vaccino anti Covid- 19”. Questo non avrà effetti penali sui medici vaccinatori, ma in caso di pronunciamento positivo del giudice, potrà averli in sede civile perché grazie ad una norma inserita nel Decreto legge 4/2022, il Sostegni ter, e che stanzia la cifra di 50 milioni di euro per l’anno in corso, ad ogni decesso da vaccino verranno corrisposte 77mila e 400 euro.
Al di là dello sconcerto sull’eseguità della cifra che lo Stato riconosce a chi, essendo stato obbligato a vaccinarsi pena la sospensione dal lavoro, ha sacrificato la vita nel nome del totem vaccinale, la notizia relativa alla Tuscano suscita più di una problematica. A cominciare dal criterio con il quale si è arrivati a stabilire la vaccino correlazione: la donna, infatti, è morta entro i 14 giorni dalla vaccinazione e questo è il termine temporale entro cui l’Aifa prende in considerazione una sospetta morte da vaccino.
Anche nel report sulla sicurezza dei vaccini anticovid pubblicato all’inizio dell’anno, l’agenzia del farmaco aveva proprio messo come elemento di discrimine tra le varie reazioni avverse proprio quelle avvenute entro il 14esimo giorno dall’inoculo e quelle invece insorte fuori dai 14 giorni. Anche appena 16 giorni dal vaccino, come è infatti il caso di Camilla Canepa. Fosse morta 24 ore prima e anche per i genitori della giovane di Sestri Levante si sarebbero potute aprire le porte di un risarcimento
In ragione di questo discrimine, infatti, ben 223 eventi fatali su 758 sospettati come vaccino correlati erano stati scartati dal report Aifa (QUI a pagina 24) proprio perché avvenuti dopo quel lasso temporale. Anche la Bussola aveva raccontato il dramma di un marito di Foligno che cercava giustizia per la moglie morta 4 mesi dopo il vaccino, ma che aveva incominciato ad accusare i primi malesseri che poi la portarono al decesso, appena un giorno dopo la vaccinazione.
14 dunque. Appena 14 giorni è un tetto limite che stringe le maglie al tal punto da far pensare che sia stato pensato apposta per limitare il più possibile il riconoscimento di un risarcimento.
Ma da dove nasce questo numero? Perché 14 e non 15 ad esempio, come se la proteina spike seguisse il calendario di Frate Indovino e decidesse di uccidere alla scadenza delle due settimane come un impiegato pronto a timbrare il cartellino, mentre appena un giorno dopo, nulla le potrebbe mai venir imputato?
La ragione di questa decisione, appena 14 giorni, non ha criteri scientifici, ma statistici. È lo stesso presidente dell’Aifa Giorgio Palù a dirlo alla Bussola in una conversazione telefonica: «Si tratta di un riferimento puramente statistico da linee guida internazionali precedenti la pandemia», ci spiega. Palù non ha chiarito quali siano le linee guida dato che nel farraginoso algoritmo Oms, già disincentivante di suo, non vi è questo riferimento.
In ogni caso è curioso come, mentre a fronte di tutto, si tende sempre a esternare prove scientifiche di ogni decisione, in questo caso non ci sono studi o prove che il vaccino smetta di provocare reazioni avverse allo scadere delle due settimane. Il riferimento statistico, che pure deve essere tenuto conto come uno degli elementi, non può infatti essere l’unico riferimento, perché in questo modo diventa solo arbitrio irrazionale.
Anche perché lo stesso Palù ha confermato che i 14 giorni sono stati stabiliti in ambito internazionale sui danni da vaccino precedentemente la pandemia su altri tipi di vaccino. Invece oggi il criterio viene applicato su eventuali reazioni a un vaccino del quale ancora non conosciamo molte sue interazioni né reazioni avverse.
Accettando questo criterio, si accetta per “buono” solo il decesso di chi muore sostanzialmente “fulminato” dal farmaco in pochi giorni, mentre chi sviluppa patologie importanti a seguito del vaccino e poi muore molti mesi dopo, basti pensare ad un tumore, questo non verrà mai intercettato come effetto avverso.
Ecco perché bisognerebbe integrare i criteri di correlazione tra vaccino e reazioni avverse in modo da renderli più aderenti alla scienza e meno alla statistica, che per sua natura non è l’emblema della giustizia dato che la statistica è quella scienza per la quale se Mario mangia un pollo e Carlo no, in media gli tocca un mezzo pollo a testa.
In realtà però, a ben guardare non è neppure statistico il criterio utilizzato. È del tutto arbitrario perché con i nuovi vaccini si sta raccogliendo la statistica degli eventi avversi in questi mesi. Non ha alcun senso stabilire a priori una finestra temporale se ancora non sappiamo per quanto tempo durano gli eventi avversi. Anzi, forse potrebbe essere un errore scientifico clamoroso e macroscopico. Un errore voluto per restringere “a priori” il campo di indagine perché con questo criterio sarebbero escluse in partenza le malattie autoimmuni e i tumori che hanno tempi lunghi per svilupparsi e manifestarsi.