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LA STORIA

"Mia moglie morta post vaccino, conteggio Aifa errato"

L'escamotage di Aifa per escludere i decessi vaccino-correlati è di restringere la morte entro i 14 giorni dall'inoculo. Ma così sono esclusi i tantissimi decessi successivi, ma i cui sintomi iniziali si sono verificati subito. Come il caso di Antonella da Foligno, morta a 55 anni per vasculopatia due mesi dopo l'inoculo, ma che ha accusato i primi sintomi subito. E ora il marito, documenti alla mano, punta il dito contro il metodo di conteggio: "Esami ok prima dell'iniezione, subito dopo invece è stato un disastro. Devono dimostrare perché il vaccino non c'entra, non il contrario". 

Attualità 18_02_2022

Entro 14 giorni dal vaccino. È questo l’assurdo tetto che Aifa inserisce come primo discrimine per una sospetta morte da vaccino. Il meccanismo, ancor più stringente del discusso algoritmo dell’Oms, è descritto a pagina 24 del report sulle reazioni avverse presentato dall’Agenzia del farmaco. 223 delle 758 segnalazioni di morte sospetta arrivate, infatti, “sono state escluse perché il decesso avveniva oltre le due settimane dalla vaccinazione”.

Tradotto in parole povere: tutti i decessi avvenuti 14 giorni dopo la vaccinazione, indipendentemente dalla dose, sono sistematicamente esclusi. Con questo limite temporale, anche Camilla Canepa, ad esempio, che è morta 16 giorni dopo la vaccinazione, sarebbe esclusa dal computo dei decessi Covid correlati. E questo nonostante la perizia della Procura di Genova attesti che la morte è stata indotta da una trombocitopenia indotta dal vaccino, come unica causa possibile.

Insomma, si rischia di morire troppo tardi per potersi considerare vittime di vaccino, però non si tiene conto che a determinare il computo dei giorni deve invece essere la comparsa dei sintomi da reazione avversa, perché si può morire anche successivamente i 14 giorni, ma si possono aver sviluppato sintomatologie importanti vaccino correlate prima di quel lasso temporale. A quel punto la data del decesso, con una reazione avversa insorta subito dopo, cambierebbe non poco lo stato dell’arte.

Di questo non si tiene conto, eppure moltissimi decessi sono avvenuti dopo i 14 giorni, mentre lo sviluppo della sintomatologia che poi ha portato la morte è avvenuto subito dopo l’inoculo.

È il caso di Antonella di Foligno, la cui storia è raccontata dal marito Giulio D’Epifanio alla Bussola con il solo intento, non recriminatorio, di contribuire a riflessioni etiche e metodologiche sui metodi di conteggio utilizzati per valutare il rischio.

“Mia moglie è morta due mesi dopo il vaccino, ma ha iniziato a stare male già quattro giorni dopo l’inoculazione” - spiega Giulio -. 55 anni, impiegata pubblica, due figli. Antonella non aveva nessuna patologia in corso né era in cura per cose importanti.

“Ha fatto il vaccino il 10 giugno scorso non perché era entusiasta, ma per quel cosiddetto “senso di responsabilità” di cui parlavano in tv tutti, da Mattarella in giù fino all’ultimo deputato, prima che diventasse obbligatorio per la sua età”.

Dieci giorni prima, però, Antonella si sottopone ad uno screening. “Gli esami del sangue del 1° giugno rivelavano che tutto era nella norma, ma in quelli effettuati il 16 luglio emergevano variazioni significative per emoglobina, linfociti, eosinofili e altri valori sballati, soprattutto emergevano (così è scritto) aggregati piastrinici”.

Nel frattempo, quattro giorni dopo l’inoculo, Antonella aveva iniziato ad accusare gonfiore alle gambe e ai polsi e un arrossamento sospetto agli occhi. Il medico l’aveva liquidata come una congiuntivite, nessuno sospettava invece che il sistema immunitario stesse iniziando a muoversi oltre misura.

Dopo gli esami fuori norma, la reumatologa sospetta un lupus. Ma l’anomala produzione di anticorpi che fa scendere l’emoglobina non insospettisce nessuno. “Abbiamo capito che c’era in atto un’infiammazione dei vasi sanguigni, ma quando ci siamo resi conto della gravità della cosa era ormai troppo tardi”. Antonella entra in terapia intensiva a Bari, dove da pochi giorni si era trasferita per stare vicino ai genitori, ma non c’è stato nulla da fare: tutti gli organi erano ormai compromessi. Il 19 agosto la scheda di morte del Policlinico di Bari recita così: Insufficienza renale acuta ed alveolite emorragica in quadro di vasculite; insufficienza multiorgano”.

Si poteva evitare? È la prima domanda che Giulio si fa: “Ciò che mi sconcerta è che i medici non abbiano seriamente considerato che potesse trattarsi di segnali riconducibili a effetto avverso da vaccinazione, ipotesi cautelativa questa che doveva, anche solo nel dubbio, essere considerata a tutela del cittadino che responsabilmente aderisce ad una raccomandazione dello Stato”.  

Così che, secondo Giulio, “invece di attivare un percorso diagnostico cautelativo urgente (ad esempio la prescrizione immediata di una TAC agli organi interni) fin dall’inizio dei segnali, si è indugiato con i soliti esami di routine “come se” si fosse, malgrado la vaccinazione documentata, in una situazione solita e si avesse tempo”. 

La segnalazione ad AIFA.

Altro punto di sconcerto per Giulio: “La segnalazione ad AIFA non è spontaneamente partita, né dalla struttura sanitaria di ultima istanza né dal suo medico curante”. Solo dopo che Giulio aveva manifestato le sue perplessità, confidenzialmente ad un suo amico di infanzia medico con contatti presso il Ministero della Sanità, Giulio è stato contattato da un responsabile locale di AIFA che gli ha chiesto il certificato formale di vaccinazione, lo stesso che era stato già trasmesso il 15 di Agosto e che doveva essere nella cartella clinica”. Poi si chiede: “Perché AIFA non mi ha chiesto se avevo anche dati clinici per ricostruire l’evoluzione degli eventi, ad esempio le analisi del sangue fatte da mia moglie poco prima della vaccinazione?”. 

Il sospetto che si tratti di effetti perversi di un metodo discutibile c’è. Giulio si chiede: “Il rapporto AIFA potrebbe fuorviare il medico di base che, perfino in buona fede, tenderebbe a sottovalutare segnali strani. Invece di farsi venire, anche solo per precauzione, dubbi”.  Nel caso di Antonella, secondo suo marito, “un approccio meno dogmatico sull'assoluta sicurezza della vaccinazione, avrebbe anticipato un percorso diagnostico senza perdere tempo in fantasiose ipotesi alternative il cui riscontro avrebbe comunque richiesto molte settimane”.

Anomalie nella metodologia AIFA.  

Secondo Giulio, che si trova ora nella drammatica situazione di dover cercare praticamente da solo le cause della morte della moglie, “se un evento avverso grave è compatibile con il vaccino e di per sé statisticamente raro senza il vaccino, per escludere che sia stato il vaccino occorrerebbe dimostrare che è esistita un'altra causa trigger (tipicamente un virus, un farmaco specifico, etc.) indipendente dal vaccino stesso che, per pura sfortunata coincidenza, si è attivata proprio nell’intervallo temporale appena dopo la vaccinazione ma indipendentemente da essa”. In pratica: AIFA dovrebbe dimostrare non che è stato il vaccino, ma il contrario e cioè trovare una causa diversa. 

Ma è questo effettivamente che manca e AIFA si rifiuta di trovare. 

Nel caso di Antonella, test clinici alla mano, non è emersa nessuna condizione sospetta incipiente e concomitante con la vaccinazione. “Quali sarebbero dunque, per gli esperti di AIFA, le cause scatenanti l’infiammazione se non il vaccino, che, puntualmente, ha iniziato a manifestare i suoi sintomi appena quattro giorni dopo essere stato inoculato?”, è la sua conclusione non prima di un’amara constatazione: “Se il caso di mia moglie non viene ufficialmente neppure contato tra gli effetti avversi gravi, allora quanti saranno i casi effettivi non contati da AIFA?”.