Vaccino anti-malaria, il successo dopo il fallimento
L'Oms ha approvato il 6 ottobre il nuovo vaccino per la malaria. In Africa, dove la malattia miete ancora il maggior numero di vittime, si spera in una pronta distribuzione. Potrebbe salvare decine di milioni di vite. Ma, benché sia un successo, è la prova di una sconfitta: le politiche per debellare la malaria in Africa sono finora fallite.
L’Oms ha approvato il 6 ottobre il primo vaccino efficace contro la malaria, l’RTS,S (nome commerciale Mosquirix) della Glasxo-SmithKline. L’annuncio è stato accolto con entusiasmo perché la malaria, insieme all’Aids e alla tubercolosi, è tra le malattie che mietono più vittime in Africa. Secondo il rapporto Oms più recente, nel 2019 i casi accertati di malaria nel mondo sono stati 229 milioni e 409.000 i morti, in gran parte bambini. L’allarme maggiore riguarda il continente africano dove si concentra il 94% sia dei casi (oltre 215 milioni) che dei morti (384mila). In Africa inoltre da alcuni anni non si registrano sostanziali progressi nel contrasto alla malattia e, anzi, è possibile che la situazione peggiori perché sta aumentando la resistenza delle zanzare portatrici del plasmodio agli insetticidi e del plasmodio ad alcuni farmaci.
Il Mosquirix dal 2019 è stato utilizzato in alcuni programmi pilota di immunizzazione in Ghana, Kenya e Malawi. Ne sono state somministrate 2,3 milioni di dosi, in gran parte a bambini di età inferiore a cinque anni, e ha dato discreti, se non ottimi risultati. Si è infatti dimostrato efficace solo al 55%. Tuttavia è già molto, spiegano i vertici dell’Oms, perché vuol dire salvare ogni anno decine di migliaia di vite umane. Piuttosto, per poterne estendere l’uso ad altri Paesi, adesso la sfida è trovare fondi sufficienti per produrlo in grandi quantità e distribuirlo ai Paesi più poveri, che in gran parte sono anche tra quelli più colpiti dalla malaria. La Glasxo-SmithKline si è impegnata a fornirne 15 milioni di dosi all’anno, al costo delle spese di produzione aumentate di non più del 5%, fino al 2028. Ma per distribuire il vaccino anche a paesi meno a rischio si stima che occorreranno da 50 a 110 milioni di dosi all’anno. Il GAVI, l’ente internazionale per i vaccini, deciderà a breve se e come eventualmente finanziare un programma di vaccinazioni su vasta scala.
“È per noi un momento entusiasmante – ha commentato il dottor Kwame Amponsa-Achiano, direttore del progetto pilota in Ghana, durante la conferenza stampa tenuta dall’Oms – con le vaccinazioni su larga scala il totale dei casi scenderà a un minimo”. “È così che combattiamo la malaria, mettendo uno sull’altro dei mezzi imperfetti” ha detto prudentemente Ashley Birkett, presidente del Path, una organizzazione non governativa che ha contribuito a finanziare lo sviluppo del vaccino. Invece il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha parlato di “momento storico”: “il tanto a lungo atteso vaccino per i bambini è un passo avanti straordinario per la scienza, per la salute dei bambini e per il controllo della malaria”.
Un vaccino abbastanza efficace contro la malaria, dopo decenni di tentativi, è senza dubbio una conquista che salverà tante vite, ma è anche l’evidenza di un fallimento: quello di non essere riusciti in Africa, e altrove dove ancora la malaria flagella la popolazione, a eliminarla del tutto come hanno fatto tanti Paesi, tra cui l’Italia. I “mezzi imperfetti” di cui parla Ashley Birkett sono le terapie per curare gli ammalati, rese effettivamente sempre più accessibili, e, per prevenire, le zanzariere trattate con insetticidi e gli spray per uso personale e domestico: due miliardi di zanzariere donate e più o meno altrettante bombolette di insetticidi.
“L’unica prevenzione possibile è di tipo ‘meccanico’: la zanzariera. Far arrivare le zanzariere ovunque, questa è la vera sfida dei prossimi anni” proclamava il Programma malaria dell’Unicef alla fine del 2009. Quell’anno l’allora direttore generale dell’Unicef, Ann Veneman, aveva assicurato che entro il 31 dicembre 2010, termine fissato dal Segretario generale dell’Onu, all’epoca Ban Ki-Moon, sarebbe stata disponibile una copertura universale degli “interventi essenziali per il controllo della malaria”, in grado di azzerare il numero dei morti entro il 2015: “siamo pronti – aveva dichiarato – per la prima volta nella storia, a rendere la malaria una causa rara di mortalità e malattia. La malaria ha i giorni contati”.
Così non è stato perché quel che si deve fare, per debellare la malaria, è noto e lo era anche allora: bisogna, e basta, togliere alle zanzare, che ne sono il vettore, il loro habitat. Occorrono grandi opere di bonifica e disinfestazione delle zone malariche. Zanzariere e spray, che riducono di notte e nelle abitazioni il rischio di contagio, dovrebbero avere la funzione proteggere per quanto possibile la popolazione mentre sono in corso progetti di risanamento ambientale, in attesa che diano risultati definitivi.
Dove la malaria imperversa, è perché i governi africani, colpevolmente, non hanno investito le risorse necessarie a intraprendere i programmi di disinfestazione e bonifica che hanno liberato dalla malaria decine di Paesi: non per mancanza di fondi, ma per inerzia, indifferenza, scarso o nullo controllo su aree del territorio nazionale infestate da gruppi armati e inaccessibili per mancanza di infrastrutture.
Ma il primo danno, immenso lo ha fatto l’Oms che solo nel 2005 ha riabilitato il DDT, l’insetticida il cui utilizzo era stato decisivo per la scomparsa della malaria in Europa Occidentale e in Nord America, ma che fu tolto dal commercio negli anni 70 del secolo scorso in seguito a una campagna dell’Agenzia Americana per la Protezione dell’Ambiente che ne denunciò effetti cancerogeni e inquinanti tali da far prevedere un’imminente catastrofe ecologica. Una tempestiva smentita sulla base di studi nel frattempo effettuati non valse a far revocare il bando del DDT.