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NUOVI DIRITTI

Utero in affitto, un Ddl figlio di altre leggi ingiuste

La proposta di legge presentata da cinque parlamentari, che parlano furbescamente di «gravidanza solidale», è lo sbocco inevitabile di alcune premesse contenute sia nella Legge 40 sulla fecondazione extracorporea che nell’abortista 194. Oltre a dire “no” all’utero in affitto, bisogna quindi abrogare totalmente quelle leggi.

Vita e bioetica 21_04_2021

Gli onorevoli Guia Termini (Gruppo misto ex M5s), Doriana Sarli (Gruppo misto ex M5s), Riccardo Magi (Gruppo misto: Azione, +Europa, Radicali italiani), Nicola Fratoianni (SEL), ed Elisa Siragusa (Gruppo misto ex M5s), hanno presentato una proposta di legge per legittimare la pratica dell’utero in affitto che, furbescamente, viene definita nel testo come «gravidanza solidale».

La proposta ha suscitato comprensibile scalpore, ma in realtà è la conclusione inevitabile di alcune premesse contenute sia nella legge 40/2004, la norma che ha legittimato le pratiche della fecondazione extracorporea, che nella legge 194 sull’aborto. La ratio della legge 40 - ossia la sua natura, il suo fine principale, il suo intimo principio ispiratore - è la seguente: è legittimo produrre artificialmente un bambino. Se questo è il suo fine sarebbe contraddittorio escludere alcuni mezzi per soddisfare tale finalità come l’eterologa, la fecondazione post mortem et similia. Parimenti sarebbe contraddittorio escludere la pratica della maternità surrogata perché uno degli strumenti possibili per dare piena attuazione alla ratio della legge.

Rimarrebbe l’inciampo dello sfruttamento della donna che presta a pagamento o per scopi di liberalità (più teorici che pratici) il proprio utero. L’inciampo è facilmente superabile facendo ricorso questa volta alla ratio della legge 194. Il fine principale di questa norma è la legittimazione della pratica abortiva. La premessa a questa legittimazione è il principio di autodeterminazione: la donna ha il pieno dominio sul proprio corpo e sul bambino nel proprio grembo.

Troviamo questi due principi anche nella pratica della maternità surrogata: dato che «l’utero è mio e ci faccio quello che voglio», la donna può decidere anche di affittarlo (assoluto dominio sul proprio corpo) e decidere di consegnare il bambino che ha portato in grembo a terze persone (assoluto dominio sul bambino). Il bambino nel ventre delle donne può dunque essere soppresso, fatto nascere e tenuto oppure fatto nascere e alienato. Se il bambino poi non fosse geneticamente figlio della gestante, le premesse prima indicate relative alla ratio della legge 194 sono ancora valide: la madre biologica può decidere di portare avanti lei stessa la gravidanza oppure «appartarla» ad altri. Il dominio sul figlio si può esprimere anche in tal modo, potremmo dire anche «a distanza», «da remoto».

La proposta di legge mirante a legittimare la pratica dell’utero in affitto convalida ancora una volta la tesi secondo la quale i paletti inseriti in una legge che contraddicono la sua ratio sono destinati a saltare tutti perché una legge non può entrare in contraddizione con se stessa. È per questo che alla pratica abortiva chirurgica si è poi aggiunta quella chimica; è per questo che i divieti di eterologa, di produzione limitata di embrioni, di accesso ad alcune categorie di coppie, eccetera, presenti nella legge 40 sono stati eliminati per via giurisprudenziale; è per questo che l’aiuto al suicidio si è aggiunto alle altre pratiche eutanasiche consentite dalla legge 219/17; è per questo che varie forme di omogenitorialità sono state permesse dai giudici nonostante le restrizioni presenti nella legge sulle unioni civili; è per questo che i tempi del divorzio si sono accorciati. Tutte queste implementazioni in realtà erano già presenti potenzialmente nella ratio delle relative leggi. Si è quindi attualizzato ciò che già in potenza era insito nella struttura intima delle norme, nel loro DNA giuridico.

Dunque, una volta legittimato un principio generale - sì all’aborto, all’eutanasia, alla fecondazione artificiale, alle unioni civili omosessuali, al divorzio - non si può dire no alle logiche conseguenze di quel principio. La natura di una legge dunque non può essere repressa, contenuta tramite paletti, perché sarebbe come costruire una gabbia di paglia per un elefante. La natura di quest’ultimo lo porta ad abbattere ogni ostacolo.

Perciò è giusto, perché necessario, tendere all’abrogazione totale di queste leggi così da eliminare la ratio stessa, senza compromessi, perché ogni compromesso - anche volendoci muovere sul piano meramente pragmatico degli effetti - non sarebbe in grado di arginare la spinta propulsiva insita nella natura di simili normative ingiuste. Queste leggi sono come animali feroci che vanno solo abbattuti perché impossibili da addomesticare.