Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
INCRIMINAZIONI

Usa verso il 2024: Trump alla gogna, Biden protetto dai media

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Piovono incriminazioni su Donald Trump. L’ultima riguarda l'assalto al Campidoglio. Ma senza avere le prove di un suo coinvolgimento, l'accusa si concentra sulle presunte menzogne volte a frodare il voto. Intanto Biden è nei guai a causa degli affari sospetti del figlio, ma nessuno ne parla. 

Esteri 03_08_2023
Manifestazione pro incriminazione di Trump

Piovono incriminazioni su Donald Trump. L’ultima in ordine di tempo arriva direttamente sui fatti di Washington, del 6 gennaio 2021. L’ex presidente, che allora era ancora in carica, è accusato di aver tentato di ribaltare l’esito delle elezioni presidenziali, con “disonestà, frode e dissimulazione”, incoraggiando così l’assalto del Campidoglio nel giorno in cui il Congresso stava certificando la vittoria di Joe Biden.

Lo stesso atto di accusa riconosce a Trump il “diritto, come ogni americano, di parlare pubblicamente delle elezioni e anche di denunciare, falsamente, che vi siano state frodi tali da ribaltarne l’esito, durante il voto e dichiararsi il vincitore”. Ma quindi dove è il problema? Di aver “agito” sulla base di queste “menzogne”, facendo pressione sugli Stati per ottenere un riconteggio, sul Congresso e sul vicepresidente Mike Pence, per non certificare il voto, ostruendo così la pacifica transizione di potere.

Come nelle precedenti accuse a Trump, quella di New York sul caso Stormy Daniels (pagata per tacere su una relazione segreta) e quella della Florida sui documenti trattenuti nella residenza personale, l’accusa gioca sul filo del rasoio. Il procuratore speciale Jack Smith, per i fatti del 6 gennaio, non ha indicato alcuna prova sul legame fra Donald Trump e gli estremisti che hanno assaltato il Campidoglio. Non ha neppure indicato la scoperta di ordini in tal senso, neppure un’istigazione diretta all’insurrezione. L’accusa, dunque, si basa sulla teoria della “menzogna fraudolenta” che si traduce in un reato di cospirazione volta a frodare gli Stati Uniti: l’ex presidente avrebbe mentito sistematicamente per rimanere al potere. Ma si tratta, a questo punto, di un processo alle intenzioni, esattamente come il “processo” condotto dalla Commissione 6 gennaio al Congresso, voluta da Nancy Pelosi quando la Camera era a maggioranza democratica. Un’inchiesta politica, le cui conclusioni non avevano il valore di una sentenza.

A giudicare Trump, al tribunale federale del District of Columbia sarà Tanya Chutkan, giudice nominato da Obama, durissima contro coloro che avevano partecipato all’assalto al Campidoglio: processando 38 degli assalitori ha spiccato sentenze di condanna dai 10 giorni ai 5 anni, anche nei casi in cui lo stesso Dipartimento di Giustizia non raccomandava il carcere. La galera come deterrente per scoraggiare simili rivolte in futuro: questa la tesi della Chutkan.

Per i Repubblicani si tratta, ancora una volta, di un processo politico. Non solo e non tanto per la scelta del giudice, che viene estratto a sorte (nel processo in Florida, ad esempio, Trump sarà giudicato da Aileen Cannon, da lui nominata), quanto perché, come nel caso dei documenti trattenuti, l’accusa parte direttamente dal Dipartimento di Giustizia, dunque dal governo federale. Quindi da Joe Biden, in estrema sintesi.

Il dubbio viene (ma “a pensar male si fa peccato”) perché il presidente stesso è nella bufera giudiziaria, a causa del figlio Hunter. In un’audizione a porte chiuse alla Camera, un ex socio d’affari di Hunter Biden ha rivelato che il padre fosse tenuto sempre al corrente degli affari con il figlio. Il socio stesso, Devon Archer, afferma di aver assistito ad almeno venti conversazioni telefoniche, in viva voce, con Joe Biden, allora vicepresidente.

Da quel che sappiamo, da questa deposizione, Hunter Biden avrebbe usato ampiamente l’influenza del padre per concludere i suoi affari. Il caso più eclatante resta quello di Burisma, colosso del gas ucraino, di cui Biden jr era membro del consiglio d’amministrazione. L’azienda era sotto indagine in Ucraina e Joe Biden avrebbe fatto pressioni sull’allora presidente Petro Poroshenko per ottenere la fine dell’indagine e il licenziamento del procuratore di Kiev, Viktor Shokin, in cambio di aiuti economici urgenti che altrimenti sarebbero rimasti bloccati. Un ricatto vero e proprio, ammesso con gran leggerezza dallo stesso Joe Biden, nel corso di una conferenza al Council on Foreign Relations del 2018: “Me ne vado tra sei ore. Se il pubblico ministero non viene licenziato, non avrete i soldi”. E poi aveva concluso: “Beh, è stato licenziato”. Questo episodio viene ora confermato dall’audizione di Devon Archer e si arricchisce di nuovi dettagli: il proprietario di Burisma, Mykola Zlochevsky e un dirigente dell’azienda, Vadym Pozharski, avrebbero fatto pressioni su Hunter Biden per ottenere aiuto dal padre contro la magistratura ucraina.

Paradossalmente, quello che la stampa ha ribattezzato “Ukraine Gate” è stato alla base del primo impeachment a … Donald Trump (non all'ex vicepresidente Biden). Perché l’allora presidente, volendo far luce sul passato di Biden, aveva chiesto al successore di Poroshenko, l’attuale presidente ucraino Volodymyr Zelensky, di fornirgli le prove dello scandalo. Anche qui, in cambio di aiuti economici e militari. Quindi è Trump che è stato accusato di aver voluto ricattare l'Ucraina. 

In pratica, Joe Biden, che ha sempre negato di essere a conoscenza degli affari sporchi di cui viene accusato il figlio, potrebbe essere accusato di falsa testimonianza, tanto per cominciare, e di una serie di altri illeciti, fra cui attività di lobby non registrate per conto di Stati terzi, di traffico di influenze e di aver ricattato uno Stato partner (se lo fa Trump è impeachment, se lo fa Biden no?). Ma proprio come nel 2019, quando l’impeachment a Trump aveva mediaticamente cancellato i sospetti su Hunter Biden e sul padre, oggi che quei sospetti si infittiscono e trovano le prime conferme, l’incriminazione a Trump occupa tutto lo spazio dei media. È un antipasto di come verrà condotta la prossima campagna elettorale, se dovesse ripetersi il duello Trump contro Biden.