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DOPO LA SENTENZA

Usa, la libertà di religione è ora in pericolo

Dopo la sentenza della Corte Suprema degli Usa, che ha imposto a tutti gli stati la legalizzazione delle "nozze" gay, ci si chiede quanto possa durare la tutela della libertà di religione. Benché la sentenza la protegga e affermi che i religiosi saranno liberi di predicare in difesa della famiglia naturale, ci sono tutti i presupposti per una futura repressione di chi si oppone alle "nozze" gay.

Libertà religiosa 28_06_2015
Protesta cattolica di fronte alla Corte Suprema

Il giorno dopo la sentenza della Corte Suprema che ha imposto a tutti gli Stati degli Stati Uniti d’introdurre nelle loro leggi il «matrimonio» omosessuale, l’America s’interroga: «è in pericolo la libertà religiosa? Si potrà ancora parlare male delle “nozze” tra omosessuali senza essere arrestati i base alle leggi sull’omofobia? Preti e pastori saranno costretti a “sposare” persone dello stesso sesso?». La sentenza fa seguito a una del tutto analoga della Corte Suprema messicana dello scorso 19 giugno, contro cui hanno protestato con una durissima lettera i vescovi cattolici del Messico, i cui argomenti sono così simili a quelli della decisione di Washington da fare fortemente sospettare che i due tribunali siano ispirati dalle stesse fonti e lobby

Ora dopo ora emerge come il quesito sia molto serio. Il giudice Kennedy, il magistrato cattolico che con il suo voto ha fatto pendere l’ago della bilancia – cinque giudici hanno votato a favore, quattro (tutti a loro volta cattolici) contro – dalla parte del “matrimonio” omosessuale, se n’è subito preoccupato. Scrive infatti nella sentenza che «le religioni, e coloro che aderiscono con sincera convinzione a dottrine religiose, potranno continuare a sostenere che per precetto divino il matrimonio fra persone dello stesso sesso non può essere ammesso».

Questa frase, che ha tutta la forza di una sentenza della Corte Suprema, ha già cominciato a essere oggetto di studio da parte dei giuristi, tanto più che molti Stati americani hanno leggi sull’omofobia. La sentenza, dunque, afferma che tesi contrarie al «matrimonio» omosessuale potranno continuare a essere sostenute dalle «religioni» e da «coloro che aderiscono con sincera convinzione a dottrine religiose». E la tesi che si potrà sostenere senza andare in prigione è che il «matrimonio» gay non può essere ammesso «per precetto divino». Queste affermazioni vanno lette con attenzione. La Costituzione americana prevede una fortissima protezione della libertà religiosa, non facile da erodere neppure da parte della Corte Suprema. Ma questa protezione tutela, appunto, le religioni. E le tutela quando si comportano da religioni. Se dunque un non credente volesse sostenere che il «matrimonio» omosessuale è inammissibile sulla base di argomenti puramente laici, rischierebbe di cadere sotto le leggi sull’omofobia. Ma anche se un prete, un pastore, un laico cristiano invocassero argomenti di buon senso e di bene comune anziché i «precetti divini» non starebbero esercitando la libertà religiosa, e dunque cadrebbero fuori dall’eccezione.

Nella sua opinione in dissenso che accompagna la sentenza contro la quale ha votato, non un neo-laureato in legge ma il presidente della Corte Suprema degli Stati Uniti, il giudice John Roberts, svela il trucco. Insiste sul fatto che mentre la Costituzione tutela due cose, la libera espressione e il «libero esercizio» della religione, qui con un gioco di prestigio il «libero esercizio» sparisce. «Bontà sua – scrive Roberts – la maggioranza dei miei colleghi afferma che le persone religiose potranno continuare a “pensare” e “insegnare” la loro dottrina sul matrimonio. Però il Primo Emendamento della Costituzione Americana prevede il loro libero “esercizio” della religione. In un modo che non lascia bene sperare per il futuro, la maggioranza si astiene scrupolosamente dall’usare questa parola».

Detto in altre parole, preti e pastori potranno predicare dal pulpito che il «matrimonio» omosessuale è sbagliato, facendo molta attenzione a usare come argomento i «precetti divini» e non argomentazioni naturali, perché altrimenti cadrebbero fuori dal discorso strettamente religioso e dentro le leggi sull’omofobia. Ma potranno rifiutarsi di «sposare» due persone dello stesso sesso? O di accoglierli come padrini o madrine di battesimo? Nulla è meno certo, e in America non c’è un Concordato che regoli i rapporti fra Stato e Chiesa.

Il nostro giornale ha già dato conto della causa pendente a Coeur d’Alene, nell’Idaho, la capitale americana dei matrimoni, dove il sindaco cerca di obbligare i pastori di una comunità pentecostale a celebrare «matrimoni» omosessuali perché la loro chiesa sul lago è un luogo ideale per le fotografie ed escludere i gay dalle nozze nuoce al turismo. Prima di arrivare a questo, come succede già in Canada – il caso della Trinity Western University, di cui pure abbiamo parlato su queste colonne, insegna – si cercherà di ritirare il riconoscimento legale e le esenzioni fiscali alle università dove s’insegnano tesi ostili al «matrimonio» omosessuale o dove gli studenti dello stesso sesso, ancorché «sposati», non possono dormire nella stessa stanza. 

Anche qui non si tratta di speculazioni, ma di parole del presidente della Corte Suprema Roberts, il quale paventa che dopo la sentenza del 26 giugno le università cristiane statunitensi non potranno più adottare regole di comportamento che implichino un giudizio negativo sull’omosessualità e le agenzie di adozione, molte delle quali cattoliche, non potranno rifiutarsi di consegnare bambini alle coppie omosessuali. Dal canto loro, nelle opinioni in dissenso il giudice Scalia ha scritto che «la sentenza minaccia la libertà religiosa che la nostra nazione ha cercato tanto a lungo di proteggere» e il giudice Thomas che ci sono «conseguenze potenzialmente rovinose per la libertà religiosa».

Thomas prevede che si partirà dal ritirare i benefici fiscali a istituzioni religiose che rifiutano il «matrimonio» omosessuale – l’avvocato generale dello Stato, su incarico del presidente Obama, ha già annunciato che procederà in questo senso – e che presto i giudici passeranno a occuparsi delle «chiese che rifiutano di accettare e di celebrare matrimoni omosessuali». «La maggioranza dei miei colleghi – scrive Thomas – non sembra turbata da questa conseguenza inevitabile. Fa solo un debole gesto verso la libertà religiosa in un singolo paragrafo. E anche quel gesto indica un equivoco su che cos’è la libertà religiosa nella nostra tradizione nazionale. La libertà religiosa è più della protezione della possibilità per le organizzazioni e persone religiose di “parlare e insegnare” (…) È libertà di “agire” nelle materie che in modo molto generale hanno a che fare con la religione». Per questo, conclude Thomas, la materia del «matrimonio» omosessuale avrebbe dovuto essere lasciata ai parlamenti federale e statali, dove almeno i parlamentari avrebbero potuto inserire clausole di salvaguardia specifica per la libertà religiosa.

Ma questo non è avvenuto. I giudici americani hanno già deciso che i fotografi sono obbligati a fotografare un «matrimonio» omosessuale, i pasticceri a preparare torte per «John e Jim sposi», e che una fioraia non può rifiutarsi di preparare una composizione con un festone che inneggia alle «nozze» tra due lesbiche. I giudici dissidenti della Corte Suprema – che non sono «fondamentalisti» allarmisti ma alcune delle menti giuridiche più note degli Stati Uniti – sembrano non avere torto quando concludono che il prossimo passo sarà obbligare anche università cristiane, agenzie di adozione, preti e pastori a obbedire alla nuova dittatura dell’omosessualismo. O a finire in prigione. Altro che diritti riconosciuti agli omosessuali che non minacciano né fanno del male a nessun altro!