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PECHINO E IL VATICANO

Unità della Chiesa in Cina? Purché non sia una resa

Accordi Cina-Vaticano: per la rivista dei gesuiti americani, America, può essere una buona notizia. Per i cattolici cinesi di Hong Kong, estensori di una lettera aperta "ai vescovi di tutto il mondo" e per il cardinal Joseph Zen, un accordo oggi, a queste condizioni, è invece un disastro.

Libertà religiosa 14_02_2018
Il cardinal Joseph Zen

Accordi Cina-Vaticano: per la rivista dei gesuiti americani, America, può essere una buona notizia. Per i cattolici cinesi di Hong Kong e per il cardinal Joseph Zen, è invece un disastro.

Con argomenti simili a quelli usati dal segretario di Stato vaticano mons. Pietro Parolin, nella sua intervista rilasciata a Vatican Insider, anche l’articolo di America a firma di padre Drew Christiansen, conclude che vi siano speranze per una riconciliazione e una riunificazione della Chiesa, tuttora spaccata in una fedele a Roma e l’altra fedele al Partito. “Troppi cattolici, soprattutto quelli americani – scrive padre Christiansen, tuttora vedono la situazione dei cattolici cinesi con le lenti della Guerra Fredda. Molti stranieri ignorano i cambiamenti che hanno coinvolto i cattolici cinesi negli ultimi decenni. Ignorano altresì la trasformazione dell’atteggiamento del cattolicesimo ufficiale nei confronti del comunismo e a favore dell’inculturazione del Vangelo nella cultura locale. Alla luce di questi sviluppi, le nuove iniziative vaticane per la nomina dei vescovi e la promessa della normalizzazione della vita della Chiesa in Cina, non sono novità, ma i risultati di una tendenza di lungo periodo nella vita della Chiesa locale e delle relazioni fra Vaticano e Pechino”. Nel breve articolo si ritiene anche che “Papa Francesco abbia le sue ragioni teologiche per un avvicinamento con Pechino, la cui politica è quella di ‘sinicizzare’ la religione, dandole cioè un carattere cinese. Una delle pietre angolari della sua (del Papa, ndr) esortazione apostolica Evangelii Gaudium è che ogni cultura produce la sua sintesi unica con il Vangelo”. Il problema, semmai, per l’estensore dell’articolo, pare essere solo l’atteggiamento della Chiesa sotterranea, quella che non ha mai accettato le ingerenze del regime comunista. Dice, infatti, Christiansen che: “Per il bene degli stessi cattolici, la Chiesa ha avuto e tuttora ha interesse a ristabilire l’ordine nelle chiese locali in Cina. Con le tensioni interne alla Chiesa sotterranea ben in mente, è facile comprendere come la Santa Sede sembri considerare che il bene comune richieda unità fra i vescovi cinesi e relazioni diplomatiche fra il Vaticano e la Cina”.

Di tenore opposto è la lettera aperta dei cattolici cinesi, residenti a Hong Kong (unico angolo di Cina in cui godono di piena libertà di religione). Fra i firmatari vi sono accademici, avvocati, attivisti per i diritti umani. “Eminenza e eccellenza reverendissime – scrivono rivolgendosi ai “vescovi di tutto il mondo” - siamo un gruppo di cattolici. Di recente, sono emerse alcune notizie che indicano che la Santa Sede e il governo della Repubblica popolare cinese raggiungeranno presto un accordo sulla questione della nomina dei vescovi, come pure sul riconoscimento di sette ‘vescovi’ illeciti. Siamo profondamente scioccati e contrariati. Con il nostro amore e sostegno alla Santa Madre Chiesa, noi speriamo che lei e tutte le conferenze episcopali siano attente a tali sviluppi”. Prima di tutto perché, “Secondo l’insegnamento della Santa Madre Chiesa, i vescovi sono i successori degli apostoli, con il dovere di guidare e prendersi cura del gregge (…) Eppure, i sette ‘vescovi’ illeciti non sono stati nominati dal papa, e la loro integrità morale è discussa. Essi non godono della fiducia dei fedeli e non hanno mai espresso il loro pentimento in pubblico. Se essi vengono riconosciuti come legittimi, i fedeli della Cina sarebbero gettati nella confusione e nel dolore e si creerebbe uno scisma nella Chiesa in Cina”. Il cardinal Joseph Zen, nella sua risposta al segretario di Stato vaticano, ribadisce questo concetto: “(…) Parolin non può negare che, per il momento, ci sono due comunità con due strutture basate su due principi diversi, opposti. Una struttura è fondata sul principio del Primato di Pietro su cui Gesù ha stabilito la sua Chiesa, l’altra struttura è imposta da un Governo ateo intento a creare una Chiesa scismatica soggetta al suo potere”.

Per di più, il Partito Comunista Cinese, proprio in questo periodo, non sembra affatto propenso al dialogo, tantomeno alla concessione di maggior libertà religiosa. Da febbraio è in vigore la nuova legge che vieta l’ingresso nelle chiese dei minorenni, perché la frequentazione della Messa minerebbe la loro educazione, secondo le autorità di un regime dichiaratamente ateo. Scrivono i firmatari della lettera aperta: “Il Partito comunista cinese, sotto la leadership di Xi Jinping, ha distrutto croci e chiese diverse volte, e l’Associazione patriottica mantiene il suo controllo sulla Chiesa con mano pesante. La persecuzione religiosa non si è mai fermata. Xi ha anche chiarito che il Partito rafforzerà il suo controllo sulle religioni. In tal modo, non vi è possibilità che la Chiesa potrà godere di maggiore libertà. In più, il Partito comunista cinese ha una lunga storia di non tenere fede alle sue promesse”. Anche il cardinal Zen si chiede francamente: “Riusciremo in questo dialogo? C’è speranza di successo? C’è almeno un minimo di fondamento nella presente situazione, quando il Partito Comunista Cinese è più che mai potente e prepotente? Quando, sia le sue azioni come i suoi pronunciamenti sono nella direzione di un più ferreo controllo di ogni religione, ma in modo speciale delle religioni cosiddette ‘straniere’.”

“Crediamo che la persecuzione dei cristiani in Cina addolori Sua Santità. Per questo, sollecitiamo che ogni accordo sia fondato sulla protezione della libertà religiosa e la fine della persecuzione religiosa”, scrivono gli intellettuali firmatari della lettera aperta. Contestando il fatto che il dialogo attualmente in corso non ne tenga conto a sufficienza. E così la pensa il cardinal Zen: “Il dialogo per essere vero deve partire da una posizione di eguaglianza. Non c’è vero dialogo tra il carceriere e i prigionieri, tra il vincitore e i vinti. Ma i nostri sembra proprio che partano da una posizione di debolezza. Fonte attendibile dice che la Delegazione vaticana non ha potuto discutere sul caso del Vescovo Giacomo Su Zhi Min nelle mani del Governo da più di vent’anni, perché loro hanno rifiutato. A me sembra che i nostri avrebbero dovuto lasciare il tavolo delle trattative e tornare a casa. Accettare il loro rifiuto equivale a mettersi in ginocchio fin dall’inizio”.

E allora, nessun accordo è meglio di un cattivo accordo? “Lo Spirito di Dio talvolta non ci permette di procedere (v. Atti 16,6). Sebbene la forza del male sia in crescita, il tempo appartiene a Dio. Mettendo la nostra fiducia nel Signore, la notte buia potrà passare. Affrettarsi per un risultato immediato, facendo un passo falso, può portare a un fallimento totale”, scrivono gli autori della lettera aperta. “Dopotutto noi non siamo i vinti – spiega dal canto suo il cardinal Zen - I nostri diplomatici non sanno che i fedeli della comunità clandestina costituivano, e forse ancora costituiscono, la maggioranza? Che in diversi luoghi hanno chiese e cattedrali? Che in città, dove ovviamente non possono avere chiese, dicono Messe nelle case private non disturbati dalle autorità di pubblica sicurezza che sono pure al corrente di tutto”.