«Una riforma al mese», scommessa complicata
Salvo imprevisti, sarà Matteo Renzi a guidare il prossimo governo italiano. Ma con quale maggioranza? E con che Paese disastrato avrà a che fare? Renzi promette "una riforma al mese", ma sarà difficilissimo fare i conti con la realtà.
Il governo Renzi, che a meno di sorprese vedrà la luce in settimana, alimenta enormi aspettative da parte dell’opinione pubblica e anche degli addetti ai lavori. Dopo le inerzie del governo Letta, che sulle questioni cruciali dell’economia ha spesso puntato sul rinvio, non trovando la “quadra” al suo interno, l’esecutivo che il sindaco di Firenze si accinge a costituire dovrebbe avere una partenza sprint e agire fin da subito sul mondo del lavoro per far ripartire l’occupazione. La prima riforma che Renzi vorrebbe varare è proprio quella del mercato del lavoro, unitamente all’Italicum. Seguiranno, a stretto giro, riforma della pubblica amministrazione e riforma fiscale.
“Una riforma al mese”, ha promesso il Presidente del Consiglio incaricato. Riuscirà a far seguire i fatti alle parole? Lo scetticismo di taluni è comprensibile. Tanti premier in passato hanno giocato sull’effetto annuncio, lanciando proclami ad effetto in grado di ringalluzzire i cittadini italiani. Il dinamismo e l’entusiasmo di Renzi rappresentano sicuramente un buon viatico, ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Soprattutto perché la maggioranza che sosterrà il suo esecutivo è la stessa, assai eterogenea, che sosteneva il governo Letta.
Forse il futuro premier dimentica che i processi decisionali in questo Paese sono inevitabilmente condizionati dalla zavorra di una burocrazia paralizzante, nelle mani di funzionari e direttori che pilotano l’attività dei Ministeri e dettano le priorità e i tempi di assunzione delle decisioni.
Le carriere degli attuali burocrati o, se preferite, dei grand commis, sono state indirizzate e spalleggiate dalla classe politica della prima e della seconda Repubblica, con un’altissima predominanza di figure riconducibili al mondo ex comunista e al defunto pentapartito e refrattarie al cambiamento e all’innovazione. Affinchè un governo, sia pur animato dalle migliori intenzioni, possa sconfiggere questa ragnatela che imbriglia le decisioni delle pubbliche amministrazioni, occorre davvero tanto tempo e non è detto che il governo Renzi ne abbia.
L’orizzonte del 2018 appare alquanto velleitario. Il Nuovo Centrodestra ha già fatto sapere che non è disposto ad appoggiare un governo di centrosinistra e che quindi non accetterà di farsi risucchiare nell’orbita renziana. Forza Italia continuerà ad assicurare lealtà a Renzi sul versante delle riforme, anche per legittimare il ruolo di Berlusconi come “rifondatore” della Repubblica e per accreditarsi come l’unico interlocutore di centrodestra autorevole , ma non potrà accontentarsi di andare a votare fra quattro anni, quando, con ogni probabilità, il Cavaliere non sarà più spendibile per campagne elettorali trascinanti né per candidature a Palazzo Chigi o in Parlamento, anche per intuibili ragioni anagrafiche.
Lo stesso Renzi, che ha combattuto contro Letta e contro il governo delle larghe intese, non potrà blindarsi a Palazzo Chigi per quattro anni, restando alleato di una forza come il Nuovo Centrodestra, che ha posizioni assai distanti da quelle di Renzi su temi sensibili come quelli etici e su argomenti come la redistribuzione del reddito, la giustizia, l’imposizione fiscale, la politica in difesa delle famiglie e, non ultimo, la nuova legge elettorale.
Per queste ragioni, è assai probabile che, una volta approvata la riforma elettorale e una volta recuperati consensi che il Pd in queste ore sta perdendo (molti elettori del “popolo delle primarie” non hanno capito la staffetta a Palazzo Chigi e hanno criticato la “smodata ambizione” del sindaco di Firenze), il premier “in pectore” troverà il pretesto per riportare il Paese alle urne e per cercare una legittimazione elettorale piena, al fine di proseguire il lavoro iniziato alla Presidenza del Consiglio.
D’altra parte, anche le elezioni regionali in Sardegna hanno decretato la crisi di Pd e Forza Italia, che hanno perso oltre due punti percentuali a testa, e il trionfo dell’astensionismo (quasi un avente diritto su due non si è recato alle urne). I grillini non hanno presentato una propria lista, forse per evitare altri scivoloni come quello in precedenti consultazioni elettorali regionali (Basilicata e Sicilia), mentre puntano ad un successo alle elezioni europee, alle quali Renzi dovrà ben figurare, se vorrà evitare un processo interno al suo stesso partito.
All’estero, se si eccettuano gli incoraggiamenti di Blair, tutti gli osservatori si mostrano cauti di fronte al cambio di guida del governo italiano e preferiscono attendere Renzi alla prova dei fatti. Illusorio pensare che emergenze così radicate come quelle della disoccupazione o dell’elefantiasi burocratica o della scure fiscale possano superarsi in pochi mesi. L’inversione di tendenza che Renzi ha promesso di imprimere su quei tre fronti dovrà essere marcata e inequivocabile e soprattutto apparire tale. In questo senso, il futuro premier dovrà sperare nella clemenza del mondo dei media, affinché gli dia la possibilità di prendere le misure del suo nuovo incarico e di marcare a fondo il suo cambio di passo nelle questioni essenziali, senza pretendere di giudicarlo immediatamente e in maniera affrettata.