L'EDITORIALE
Una Luce illumina le tenebre
Il Natale lo desidero e lo prego come il rinnovarsi di un dialogo profondo tra laici veramente laici, cioè non laicisti, e cristiani non clericali. Gente che vive la laicità come attesa, gente che vive la fede come testimonianza dell’incontro con Cristo.
Editoriali
23_12_2011
L’annunzio della incarnazione di Dio in Gesù Cristo ci coglie in un momento complesso e contraddittorio.
Da un lato l’esperienza dell’uomo di oggi sembra destinata a un inesorabile e definitivo fallimento. «E’ possibile che l’uomo muoia», diceva sant’Ireneo tanti secoli fa. «E’ possibile che l’uomo, nella sua umanità, muoia», ricordava spesso il papa Giovanni Paolo II. Una vita senza più nessun punto di riferimento sostanziale, dal punto di vista teorico e pratico. Un individualismo proteso all’affermazione di sé come perseguimento del proprio benessere ad ogni costo. Una violenza che dilaga in tutti gli strati della vita sociale, affermata e vissuta come soluzione di problemi che sembrano impossibili a risolversi se non con la violenza. Violenza di omicidi, e spesso anche di suicidi conseguenti.
Una vita brutta, come il Papa ci ricorda continuamente. Brutta perché priva di tensione alla libertà, a seguire il bene, il bello, il giusto. Ed è un’immagine universalmente diffusa che rischia di dare alla parola vita un’accezione totalmente ridotta alla pura sopravvivenza fisica.
Ma dice il profeta nella prima messa del Natale: «Il popolo che camminava nelle tenebre – e certamente le tenebre sono la cifra di questa nostra società - vide all’improvviso una grande luce». Cristo è la luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo. E’ la luce che rivela all’uomo tutto ciò che egli porta nel cuore, ma soprattutto rivela all’uomo quella presenza assolutamente incredibile e pure realissima del mistero di Dio che si fa compagnia all’uomo. Si fa compagnia all’uomo e non solo gli rivela teoricamente la sua identità, ma lo mette in grado di perseguire questa identità attraverso l’appartenenza alla Chiesa - che è luogo dove Cristo si incontra qui ed ora - e diventa cammino educativo per lo sviluppo integrale della propria personalità umana e cristiana.
Chi è stato veramente nella profondità delle tenebre, trasale di gioia all’idea che la luce viene. E ne scopre i preannunzi, l’alba. L’alba - ci ricordava spesso monsignor Giussani - è il momento più bello della giornata perché pur carico di tutte le incertezze, le equivocità e le paure della notte, già si intravvede che la luce sta nascendo e vincerà le tenebre, restituendo la vita delle persone e delle cose alla loro consistenza, alla loro bellezza.
Credo che questo sia un momento terribile ma di una terribilità che può diventare una grande positività. Bisogna che i cristiani scommettano un’altra volta sulla fede, sulla fede in Cristo come unica possibilità di salvezza. E occorre che tanti uomini di buona volontà amino il mistero e la verità più di se stessi. Uno dei maestri di questo popolo laico, Vaclav Havel, si è spento qualche giorno fa. Egli aveva giocato tutta la sua vita su ciò che don Giussani chiamava il cuore dell’uomo. E su questo cuore, per questo cuore, ha coagulato un popolo di veramente laici, che hanno potuto poi abbracciarsi con i grandi cristiani come il cardinale Tomášek, «la grande quercia», come lo definiva Giovanni Paolo II. In questo grande abbraccio, pur nella distinzione, è accaduto un evento storico per la Cecoslovacchia: la grande rivoluzione che ha messo fine al comunismo senza rompere neppure il vetro di una finestra, come amava affermare Vaclav Havel.
Il Natale lo sento, lo desidero e lo prego come il rinnovarsi di un dialogo profondo tra laici veramente laici, cioè non laicisti, e cristiani non clericali. Gente che vive la propria laicità come attesa, gente che vive la fede come testimonianza dell’incontro accaduto con Cristo.
Da questo dialogo forse può nascere un contributo decisivo al cambiamento in meglio dell’uomo e del mondo.
* Vescovo di San Marino - Montefeltro