Una donna e un cardinale per salvare i cattolici cinesi
Finalmente c'è chi ha decodificato le parole urlate dalla donna cinese in piazza San Pietro al Papa, prima di venire schiaffeggiata. Era un appello accorato per ripensare la politica di riconciliazione della Santa Sede con Pechino, che sta sacrificando centinaia di migliaia di cattolici cinesi. Un gesto che fa il paio con la lettera del cardinale Zen ai suoi confratelli. Segnali di una situazione intollerabile che richiede la nostra solidarietà.
E alla fine c’è stato chi è riuscito a decodificare le frasi urlate dalla donna cinese a papa Francesco lo scorso 31 dicembre in piazza San Pietro, prima di essere schiaffeggiata dal Papa che voleva divincolarsi. E la soluzione del mistero cambia notevolmente lo scenario. Ci ha pensato un americano residente a Taiwan, Eric Mader, a lavorare a lungo sul filmato, con l’ausilio di amici cinesi. Il risultato - la frase decodificata con tutte le spiegazioni del caso - è pubblicato sul suo blog, Clay Testament, ed è stato tradotto in italiano da Vik van Brantegem, che per molti anni è stato assistente della Sala Stampa della Santa Sede e che ora dirige il sito korazym.org.
Cosa ha detto dunque la donna cinese? «Why destroy their faith? Why destroy the Chinese? [Look for] the Chinese [feelings]. [Talk] to me!» (tra parentesi le parole con un piccolo margine di incertezza). In italiano suonerebbe così: «Perché distruggere la loro fede? Perché distruggere i cinesi? Cerca di capire come si sentono i cinesi. Parla a me». Il riferimento, chiaro, è alla situazione dei cattolici in Cina dopo la firma dell’accordo segreto tra governo di Pechino e Santa Sede.
Perché cambia lo scenario? Perché appare evidente che non si è trattato del gesto maleducato di una fedele che cercava una stretta di mano col Pontefice quale trofeo di una visita a Roma. Era piuttosto la voce disperata dei cattolici cinesi perseguitati dal regime e abbandonati dalla Santa Sede in questa politica di riconciliazione con Pechino, che ogni giorno di più si rivela essere invece una resa senza condizioni al potere comunista. Non a caso la donna si era fatta il segno della croce poco prima che il Papa le arrivasse a tiro: cercava il coraggio e la protezione dall’alto per quel gesto estremo, urlare al papa quell’appello accorato ad ascoltare la voce di una Chiesa perseguitata. Tanta era la forza che aveva dentro che quando ha visto il Papa girarsi per andare dalla parte opposta, ha avuto i riflessi per prendergli il braccio e tirarlo a sé con forza e trattenerlo perché potesse ascoltare le sue parole.
Parole che il Papa non avrà certo capite, e chissà se – nel tentativo di liberarsi - si è almeno reso conto del dolore e della passione da cui quel gesto e quelle parole nascevano. Certamente non sarà stato aiutato dai suoi collaboratori e dai tanti vaticanisti di corte che hanno fatto a gara per insultare la povera cinese e derubricare il tutto a gesto maleducato e mancanza di rispetto per il Pontefice. Curiosamente nessun collega sul posto si è dato da fare per rintracciare la donna cinese e chiederle ragione del suo gesto; meglio non approfondire, non si sa mai. Del resto anche le scuse successive del Papa erano per il gesto in sé, una macchia sull’immagine del Pontefice, non erano dirette personalmente alla signora schiaffeggiata.
Ad ogni modo, il gesto della donna cinese fa il paio con la lettera che il cardinale Joseph Zen Ke-kiun ha scritto lo scorso settembre ai suoi confratelli del Sacro Collegio e che è stata resa nota proprio nei giorni scorsi. Un appello per non rimanere insensibili davanti a quanto sta accadendo ai cattolici cinesi, vittima prima del suddetto accordo e poi degli orientamenti pastorali che aggravano ulteriormente la situazione. Anche quello di Zen appare come un gesto estremo, quello di un pastore che vede uccidere il suo gregge e proprio con la complicità attiva di chi dovrebbe proteggerlo.
L’arcivescovo emerito di Hong Kong le ha provate tutte per farsi ascoltare in Vaticano, ha scritto ben tre volte lettere dettagliate al Papa, è venuto di persona a Roma apposta per dargliele in mano nella impossibilità di fidarsi di eventuali mediatori, ha cercato di spingere sulla Segreteria di Stato, ha rivolto appelli denunciando pubblicamente la ignobile politica della Segreteria di Stato vaticana. Alla fine si è rivolto a tutti i cardinali con una lettera che accompagnava il dono del suo ultimo libro che ben spiega la situazione della Chiesa in Cina, nella speranza che almeno da loro possa nascere un movimento di ripensamento che arrivi fino alla Segreteria di Stato e al Papa.
Peraltro i fatti confermano continuamente l’aumento della persecuzione religiosa contro i cattolici: proprio l’8 gennaio, un nuovo rapporto della Commissione esecutiva del Congresso Usa sulla Cina ha documentato che dopo l’accordo Cina-Santa Sede del settembre 2018 «le autorità locali cinesi hanno incrementato la persecuzione dei fedeli cattolici, distruggendo chiese, rimuovendo croci, continuando ad arrestare il clero clandestino. Le organizzazioni nazionali cattoliche guidate dal Partito comunista hanno anche pubblicato un piano per “sinicizzare” il Cattolicesimo in Cina».
Cose che trovano però sorda la diplomazia vaticana, che pare disposta a sacrificare la verità nella speranza di un successo diplomatico. Il gesto della donna cinese in piazza San Pietro e la lettera del cardinale Zen ai suoi confratelli sono il segno di una situazione intollerabile, che richiede la massima attenzione e solidarietà da parte dei cattolici.