Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santo Stefano a cura di Ermes Dovico
INTERVISTA

Una condanna giuridicamente scandalosa

Il penalista Mauro Ronco: «A Berlusconi è stato contestato lo stile di vita più che dei fatti illeciti. E non ci sono elementi che giustifichino la condanna per concussione e prostituzione minorile. Addirittura si arriva a punire le intenzioni».

Politica 26_06_2013
Berlusconi condannato

Non si placano le reazioni e i commenti alla sentenza del Tribunale di Milano che ha condannato in primo grado Silvio Berlusconi a sette anni di detenzione e alla interdizione perpetua dai pubblici uffici per concussione e prostituzione minorile, relativamente al “caso Ruby”. Si tratta di una sentenza pesantissima che – sebbene ci sia ora un processo di appello – non potrà non avere ripercussioni sia sul governo sia sul futuro delle aziende che fanno capo a Berlusconi. Ma è anche una sentenza che ha provocato reazioni caratterizzate da un’indebita confusione di piani tra l’aspetto morale della vicenda, i suoi eventuali profili penali e le inevitabili conseguenze politiche. Proprio per fare chiarezza anzitutto sull’aspetto penale della vicenda, abbiamo chiesto un’analisi al professor Mauro Ronco, ordinario di Diritto Penale all’Università di Padova e già componente del Consiglio Superiore della Magistratura. 

Professor Ronco, davanti a una sentenza così pesante - che ne segue altre tutte sfavorevoli a Berlusconi -, viene spontaneo chiedersi se ci sia davvero un accanimento nei confronti del leader del Pdl, oppure se ci sono davvero le prove inoppugnabili per una condanna del genere.
Mi si chiede se vi siano "davvero le prove inoppugnabili" per la condanna pronunciata contro Berlusconi. Il problema va sdoppiato in due aspetti distinti. Il primo riguarda la quaestio facti, da risolversi attraverso la valutazione probatoria. La seconda riguarda i profili giuridici relativi alla verifica se i fatti, eventualmente ritenuti probatoriamente esistenti, concretizzino i reati contestati.

Alla prima questione si può rispondere in modo compiuto soltanto in base a una conoscenza diretta degli atti processuali. Tuttavia, a una visione dall'esterno, appare chiaro che le prove testimoniali erano tutt'altro che allineate rispetto alla ipotesi dell'accusa, tanto è vero che il Tribunale ha ritenuto la falsità delle numerosissime fonti di prova che hanno riferito cose in contrasto con tale ipotesi. E' molto raro, se non addirittura costituente un unicum, che un così alto numero di testimoni sia messo in disparte in forza di una accusa di falsità. Peraltro non può trascurarsi di rilevare che le ipotesi accusatorie poggiavano su un terreno estremamente friabile e mal sicuro, poiché la contestazione riguardava fatti difficilmente conoscibili nella loro interezza e precisione da parte di testimoni esterni, bensì situazioni di vita sfumate  e incerte, quali sono per loro natura i rapporti più o meno intimi tra le persone, il grado della confidenza, il superamento della soglia di rapporti consentiti o il permanere delle varie persone in situazione di ambiguità difficilmente accertabili nel loro esatto tenore. Non è errato sostenere che l'ipotesi di accusa si muoveva intorno alla contestazione di uno stile di vita, piuttosto che focalizzarsi intorno a ben precisi fatti illeciti. In una situazione del genere, che la dottrina penalistica avrebbe unanimemente riconosciuto, almeno fino a qualche anno fa, come estranea all'ambito della prova penale, è ovvio che vi siano state testimonianze incerte e contraddittorie, più o meno orientate in senso accusatorio o difensivo a seconda delle diverse modalità con cui è stata percepita da ciascuno una realtà sfuggente e non ben definita. Quindi, sul terreno della quaestio facti, pur non potendo esprimere opinioni assolutamente certe, ritengo quanto meno azzardato il sospetto generalizzato di falsità nei confronti di coloro che si sono discostati dall'accusa.

E per quanto riguarda i profili giuridici?
Sul piano giuridico mi sento di esprimere opinioni in assoluta divergenza con quelle accolte dal Tribunale di Milano. Ritengo infatti che né il delitto di concussione, né quello di prostituzione minorile siano sussistenti. La prostituzione minorile postula infatti l'esistenza della nota fondamentale dello sfruttamento sessuale a fini commerciali che, nella vicenda in oggetto, è del tutto assente. Anche se, alla stregua di una giurisprudenza estensiva, anche un isolato atto sessuale retribuito è considerato atto di meretricio per il fruitore della prestazione, nel concetto di prostituzione deve ricorrere uno scambio diretto tra atto sessuale e utilità economica. Tale scambio postula un nesso di tipo sinallagmatico o contrattuale. Nel caso di specie, anche nell'ipotesi accusatoria, non c'è mai stato tale scambio, in quanto le dazioni del premier mai hanno avuto il carattere di controprestazione, bensì quello, totalmente diverso, di liberalità o di regalia disancorate da un rapporto prostitutivo. Estendere la norma punitiva a tale tipo di vicende significa applicarla in senso analogico, contro il dettato del diritto sia ordinario che costituzionale.

C’è anche l’accusa di concussione.
Questa poi è addirittura paradossale. Per la prima volta, credo, in Italia o in qualsiasi paese del mondo, l'invito a un funzionario di tenere un comportamento di minor rigore verso un minore, ben frequente nell'esperienza ordinaria, è stato ricondotto entro i parametri di un reato gravissimo, che si realizza quando un Pubblico ufficiale minacci un danno ingiusto a taluno per ottenerne un vantaggio patrimoniale o comunque di tipo economico. Qui siamo di fronte non tanto all'applicazione, vietata, di una norma penale, bensì, addirittura, alla interpretazione che parifica temerariamente alla minaccia di un danno ingiusto la raccomandazione o il consiglio a un funzionario di tenere un comportamento più comprensivo delle problematiche di un minore.

C’è però la famosa telefonata in Questura, e qui le versioni dei funzionari sono discordanti…. 
Non mi pare che ci siano versioni discordanti tra i funzionari. Piuttosto vi è concordanza tra essi, a quanto mi è dato capire, circa il fatto che nessuna minaccia di un danno ingiusto è stata loro rivolta. Dove stia pertanto la concussione, non si comprende. 

A leggere i resoconti, si ha l'idea che non ci siano parti lese, visto che nessuno ha denunciato Berlusconi, tanto meno la ragazza che sarebbe stata sfruttata da minorenne. Ma è possibile un processo penale senza parte lesa?
E' vero che nella vicenda in questione non ci sono parti lese. Questo fatto dimostra l'assenza di una offesa purchessia a soggetti privati. Resta la pretesa offesa di tipo pubblicistico. Tale offesa è palesemente inesistente nel caso delle telefonate ai funzionari di Polizia, poiché nessuna minaccia di danno ingiusto è stata arrecata ad alcuno, né alcun arricchimento si è verificato. L'idea che il senatore Berlusconi avrebbe fatto la raccomandazione per evitare che la giovane donna facesse rivelazioni dannose è una mera ipotesi circa intenzioni indimostrate. Punire le intenzioni costituisce nella storia del diritto penale una delle più gravi violazioni della libertà personale che si possano riscontrare.

Nella sentenza si accusa oltre 30 testimoni di aver detto il falso, il che peraltro dovrebbe aprire un maxiprocesso. Ammesso anche che tutti i testi siano a libro paga di Berlusconi non dovrebbe essere prima provata la corruzione?  
Le cose sono più complesse. L'abilità dei pubblici ministeri fa sì che essi operino step by step. Prima i giudici danno impulso ai pubblici ministeri con la denuncia. Poi i pubblici ministeri iscrivono la persona nel registro degli indagati. Poi ne viene data notizia sui mezzi di informazione. I testimoni si spaventano, in relazione alla gravità delle sanzioni in cui incorrerebbero ove venissero condannati per il delitto di falsa testimonianza (punito con la pena da 2 a 6 anni di reclusione).  Non è detto che tutti i testimoni siano dei cuor di leone. E' avviato in questo modo un enorme procedimento in cui il senatore Berlusconi resta sullo sfondo il principale imputato.

La sentenza è stata più pesante di quanto richiesto dall'accusa: non è inusuale?
Condannando il senatore Berlusconi in modo più grave di quanto richiesto dai pubblici ministeri il Tribunale mostra la sua indipendenza. Nell'ideologia dell'indipendenza del giudice ciò che conta è apparire indipendenti. Mostrando l'indipendenza dall'accusa, il Tribunale indirettamente manda un messaggio del tipo: "Non è vero che la Procura di Milano e, in specie, la dottoressa Boccassini hanno agito ad personam, contro Berlusconi. Essi hanno agito in modo equilibrato, per tutela solo della legge, tanto è vero che la pena da loro richiesta è inferiore alla pena giusta che il Tribunale nella sua indipendenza e prudenza gli ha comminato".