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CRISI POLITICA

Un Parlamento ormai delegittimato

Questo Parlamento ha gestito tutta la delicata fase della pandemia di Covid. Dovrà decidere sul Dl Zan e su altre leggi importanti sul piano etico e delle libertà personali. E deve eleggere il prossimo Presidente. Ma è un Parlamento schiacciato dalla legislazione per decreti e i gruppi si sono talmente frammentati da non essere più riconoscibili

Editoriali 09_05_2021
Parlamento

Per oltre un anno gli italiani sensibili ai valori della democrazia hanno avvertito il profondo disagio di essere governati a colpi di Dpmc. Il Governo Conte ha fatto un uso incessante di quello strumento, dietro il paravento dell’emergenza sanitaria. Illustri costituzionalisti, Sabino Cassese su tutti, ne hanno però ravvisato il limite, considerando illegittimo il ricorso sistematico ai Dpmc per prendere decisioni così impattanti sulla vita e sulle libertà dei cittadini, senza passare per il Parlamento. E alcuni giudici hanno accolto ricorsi di cittadini che contestavano sanzioni inflitte sulla base di quei decreti.

In altre parole, si è detto che l’esecutivo giallorosso si sarebbe dovuto confrontare più spesso con le Camere prima di stabilire divieti, permessi, misure preventive e repressive in relazione al Covid. Il governo Draghi ha cambiato strada e ha fin da subito optato per la decretazione d’urgenza attraverso decreti legge che, come si sa, necessitano della conversione in legge entro 60 giorni e quindi vengono comunque condivisi nelle aule parlamentari con le forze politiche d’opposizione. Fin da subito, però, producono effetti sulle libertà individuali, essendo considerati necessari e urgenti.

Ma al di là degli equilibri tra il potere legislativo e il potere esecutivo, equilibri messi a dura prova e sostanzialmente ribaltati in epoca di pandemia, è caduto nel dimenticatoio ogni ragionamento sull’opportunità di tenere in vita un Parlamento completamente delegittimato per una serie di evidenti ragioni. Le Camere in questa legislatura hanno avuto un ruolo assai marginale, proprio per il succitato straripamento dei poteri e delle funzioni del Governo, ma vi è anche da sottolineare che nelle Camere si sarebbe comunque fatto fatica ad andare oltre la ratifica di decisioni prese altrove (Palazzo Chigi), considerati due fattori. Anzitutto la paura di gran parte dei parlamentari di non essere ricandidati in caso di elezioni anticipate. Inoltre, la frantumazione delle pattuglie parlamentari che, anche a causa del ricorrente trasformismo, ha profondamente mutato la geografia dei vari schieramenti. Un Parlamento irriconoscibile, si potrebbe dire.

Pesa peraltro come una grave ipoteca sulla legittimità delle attuali Camere l’esito del referendum dell’anno scorso sulla riduzione del numero di parlamentari, che ha dato esito positivo. Gli italiani hanno bocciato l’attuale composizione di Camera e Senato e votato a favore di una loro struttura più snella. Chi occupa lo scranno parlamentare fa dunque parte di organi costituzionali non più conformi alla volontà popolare e destinati a sottoporsi, a partire dal prossimo rinnovo, a una robusta cura dimagrante.

In molti Stati europei ed extraeuropei i cittadini, pur nel rispetto delle misure di contenimento e distanziamento, sono stati chiamati alle urne per rinnovare le assemblee rappresentative. In Italia, invece, sono stati rinviati quasi tutti gli appuntamenti elettorali, anche quelli degli ordini professionali. Tutto congelato fino alla fine della pandemia. Nel frattempo, la pattuglia più folta, a Montecitorio e a Palazzo Madama, quella grillina, forte di un 33% di consensi  raccolti alle elezioni politiche del marzo 2018, continua a dettare legge pur avendo perso oltre la metà dei voti nel Paese, stando a tutti i sondaggi. Forse perché ha tradito gran parte delle promesse fatte agli elettori in campagna elettorale, perché ha scoperto il fascino del potere e ha dimenticato fin da subito il proposito di “aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno”. Dopo soli tre anni da quel trionfo elettorale, in casa grillina è arrivata l’implosione, con la guerra a suon di carte bollate tra la vecchia guardia e Davide Casaleggio e la scissione tra la piattaforma Rousseau e il Movimento. Peccato che quella piattaforma sia la vera cassaforte dei dati degli iscritti al Movimento e abbia ospitato tutte le votazioni on line sulle alleanze che Di Maio e soci hanno intrecciato e sulle scelte che hanno fatto in qualunque ambito.

Passaggi da un gruppo all’altro e cambi di casacca, a onor del vero, ci sono in ogni legislatura e si sono verificati anche questa volta, sia perché le regole grilline impedirebbero a chi è già al secondo mandato di potersi ripresentare, sia perché la compattezza dei singoli gruppi è stata messa a dura prova dall’evanescenza dell’azione politica di tutti i partiti, intimoriti dallo schiacciante potere della Presidenza del Consiglio e incapaci di qualsiasi azione critica o di stimolo. Quindi un simulacro di Repubblica Parlamentare, non altro.

Peccato, però, che questo Parlamento sia chiamato a prendere decisioni su temi assai delicati e decisivi per il futuro del Paese. Si pensi anzitutto al disegno di legge Zan e, in generale, a tutte le proposte di legge su temi etici e sensibili, destinate a incidere sugli assetti valoriali della società. C’è poi la legge elettorale, che rischia di essere confezionata ad uso e consumo di una classe dirigente animata da un invincibile istinto di autoconservazione, anziché tendere a dare stabilità e ad assicurare governabilità all’Italia.

Last but not least, l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, in calendario a inizio 2022. Il successore di Sergio Mattarella verrà eletto, a meno di clamorose rotture entro agosto (inizio del semestre bianco, durante il quale il Capo dello Stato non può sciogliere le Camere), dall’attuale Parlamento delegittimato. Deputati e senatori che in alcuni casi rappresentano solo se stessi e che sono comunque in sovrannumero rispetto alla nuova e ridotta composizione votata dai cittadini con il referendum del settembre scorso, sceglieranno l’inquilino del Quirinale che rimarrà in carica fino al 2029. Peraltro le trame parlamentari che porteranno alla sua elezione risulteranno viziate da equilibri artefatti e alterati proprio dal disallineamento tra volontà popolare e consistenza delle pattuglie parlamentari dei singoli partiti.

A prescindere da chi sarà il prescelto, l’auspicio più ragionevole è che presto possa tornare ad esserci una corrispondenza tra le scelte degli elettori e la guida delle istituzioni e che quanto sta accadendo in questa legislatura possa essere ricordato come un qualcosa di eccezionale e non ripetibile.