Un Nobel all'utopia del disarmo nucleare
Il Premio Nobel per la Pace, quest'anno, è stato assegnato a un altro collettivo: Ican, cartello di Ong che promuovono la messa al bando delle armi nucleari, tramite trattato internazionale. Il loro lavoro è solo agli inizi, il fine appare utopico e il Nobel serve come incoraggiamento (e come segnale a Trump).
Non il Papa, nemmeno Federica Mogherini, nomi che circolavano alla vigilia dell’assegnazione del Nobel per la Pace, ma a un’organizzazione, l’Ican. Si tratta di un cartello di Ong pacifiste che si battono per il disarmo nucleare, tramite trattato internazionale che le metta al bando. Ormai è diventata quasi una consuetudine assegnare il Nobel per la Pace a collettivi e per la seconda volta in quattro anni a organizzazioni che si battono per il disarmo e l’eliminazione di armi di distruzione di massa. Nel 2013, nei mesi di crisi sulle armi chimiche in Siria, il Nobel per la Pace era stato assegnato all’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opac) e il Comitato lo aveva motivato con “l’impegno a favore dell’eliminazione delle armi e degli arsenali chimici nei vari scenari di guerra in tutto il mondo”. Adesso tocca all’organizzazione per la messa al bando delle armi nucleari. E si può anche capire il perché.
Ican è un progetto nato per volontà di Beatrice Finh, svedese, 37 anni, pluri-laureata e “sognatrice: “Le armi nucleari sono vecchie, sono strumenti del passato non adeguate ai tempi e alle nuove sfide: cambiamento climatico, terrorismo, criminalità organizzata”, dice a proposito della mission della sua organizzazione. Ad oggi, sono 468 le Organizzazioni non Governative in 101 Paesi che hanno aderito al progetto di Beatrice Fihn, nato nel 2007 in Australia e oggi con sede in Svizzera. Le organizzazioni italiane che hanno aderito a Ican sono otto: Senzatomica, Rete disarmo, Associazione italiana medicina per la prevenzione della guerra nucleare, Peacelink, Cormuse, Wilpf Italia, World Foundation for peace, Archivio disarmo. Ieri hanno lanciato l’appello a Gentiloni perché ottenga il ritiro degli arsenali nucleari della Nato dal nostro paese. Il Nobel è inteso come un incoraggiamento per un lavoro appena iniziato. Un primo successo tangibile, l’Ican lo ha ottenuto solo quest’anno: il 7 luglio scorso l'Onu ha adottato il Trattato per la proibizione delle armi nucleari, a cui gli Stati possono aderire dal 20 settembre. 53 Paesi l'hanno già firmato, quando lo ratificheranno per loro diventerà un impegno vincolante. Per ora solo il Brasile ha ratificato. Deve essere ratificato da almeno 50 paesi per entrare in vigore.
Ma nessun paese possessore di armamenti nucleari ha firmato il trattato (e nemmeno l’Italia), né pensa di aderirvi. Dopo l'assegnazione del Nobel, la Finh ha ribadito la sua filosofia: “Continuare a basare la propria sicurezza sulle armi atomiche è un atteggiamento inaccettabile. Stiamo cercando di mandare forti segnali a chi ha queste armi, Corea del Nord, Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna, India e Pakistan: è inaccettabile la minaccia di uccidere civili”. Ma, tanto per cominciare, gli Stati Uniti sono stati altrettanto chiari nella loro risposta al Nobel: “nessuno Stato che possieda armi nucleari o la cui sicurezza dipenda da quel genere di armamento appoggerà il trattato Onu che punta a proibire simili arsenali”, si legge nella nota della Casa Bianca. “L'annuncio odierno (del Nobel all'Ican, ndr) non sposta gli Usa dalla loro posizione sul trattato: non lo sosterranno e non lo firmeranno. Vi è un deterioramento nella sicurezza globale e una crescita nella capacità nucleare di alcuni Stati. Il trattato non renderà il mondo più sicuro, non porterà all'eliminazione di un solo ordigno atomico e non migliorerà la sicurezza di un solo Stato. Piuttosto, il trattato rischia di minare gli attuali sforzi per indirizzare la proliferazione globale e le sfide alla sicurezza”.
Le altre potenze nucleari per ora tacciono. Nessuna ha mai mostrato alcuna intenzione di disarmare o ridurre il proprio arsenale. Anzi, il trend è opposto: il Pakistan ha battuto il record di produzione di armi atomiche, la Russia sta modernizzando il suo arsenale strategico, la Corea del Nord si è dotata della sua prima bomba termonucleare, gli Usa hanno ripreso in considerazione di schierare nuovi armamenti dopo due decenni di stasi. La corsa agli armamenti è ripresa alla grande. Cosa potrebbe risolvere un trattato firmato da nazioni che non hanno l’atomica per indurre chi ce l’ha a rinunciarvi? La risposta è scontata. Neppure il Trattato di non Proliferazione, ratificato da tutte le grandi potenze, ha avuto successo: c’erano solo cinque potenze nucleari quando entrò in vigore, adesso le potenze nucleari sono nove. L’unico paese che ha accettato di sua sponte di rinunciare all’“arma totale” fu solo il Sud Africa, dopo la fine del regime di Apartheid. Caso unico e mai ripetuto.
Solo un incoraggiamento, dunque? Il Nobel, almeno dal premio assegnato a Barack Obama nel suo primo anno di amministrazione (sempre per incoraggiamento) pare anche seguire una certa agenda americana, pur senza mai ammetterlo. Anche in questo caso, è la stessa Finh ad aver commentato, all'indomani della vittoria elettorale del presidente repubblicano: “L'elezione di Donald Trump ha messo a disagio molte persone, dato che lui ha la possibilità, da solo, di ricorrere all'arma nucleare. Se vi spaventa che il presidente americano abbia il nucleare, dovreste essere contrari alle armi atomiche in generale”. Il 4 ottobre, come risposta alla dichiarazione di Trump contro l'accordo sul nucleare iraniano, Fihn aveva scritto in un tweet: “Donald Trump è un imbecille”. Punto e fine. Commento da Washington, di Vittorio Zucconi (La Repubblica): “Il Nobel per la pace a un'organizzazione per la messa al bando delle armi nucleari è evidentemente uno sberleffo a Donald Trump, nelle ore in cui sta per procedere con la decertificazione dell'accordo di non proliferazione nucleare con l'Iran”. Solo coincidenze?