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REDEMPTORIS CUSTOS/7

Un modello sicuro per gli educatori: san Giuseppe

Anche Gesù, in ragione della natura umana unita a quella divina, ebbe bisogno di essere educato. Sotto la guida di Maria e Giuseppe, il Figlio di Dio fatto uomo poté crescere “in sapienza, in età e in grazia”. In particolare san Giuseppe dovette svolgere i doveri propri del padre, come istruirlo nella Legge e in un mestiere e inserirlo nella vita sociale. Così lui e la Vergine emergono come «modelli di tutti gli educatori» (san Giovanni Paolo II).

Ecclesia 19_06_2021 English Español

A proposito della paternità di san Giuseppe, vale la pena tornare su un aspetto oggi trascurato ma fondamentale: l’educazione. Nella società edonistica in cui viviamo si va diffondendo un doppio errore (ma di identica radice culturale), che consiste da un lato nel rivendicare un “diritto al figlio” e, dall’altro, a non curarsi dell’educazione della prole. Questo secondo errore, a sua volta, può declinarsi o in un impegno educativo completamente assente oppure in una cattiva educazione, non orientata alla volontà divina.

L’esempio dello sposo di Maria, invece, ci serve ancora una volta come stella polare. «Lo Spirito Santo ha onorato san Giuseppe con il nome di padre», come scriveva Origene, perché lui educò Gesù. I suoi meriti sono evidenti. Anche in assenza della generazione biologica, a motivo della singolarità di Gesù, san Giuseppe accolse quel Figlio come un dono. Il glorioso patriarca, insieme a Maria, fece inoltre sì che il loro matrimonio raggiungesse, per dirla con san Tommaso, «quella perfezione che è relativa all’educazione della prole». Il Doctor Angelicus spiegava infatti che «la natura non intende solo la generazione della prole, ma il suo sviluppo e la sua promozione fino allo stato perfetto dell’uomo». Perciò, per prole «non va intesa solo la procreazione, ma anche la sua educazione, alla quale è ordinata tutta la scambievole attività del marito e della moglie…». E quale educazione riuscì meglio di quella del Figlio di Dio fatto uomo?

I Vangeli non ci dicono granché sul modo concreto in cui Maria e Giuseppe educarono Gesù, ma ci informano che i due sposi si curarono di trasmettere al Bambino i riti religiosi del popolo eletto (la circoncisione, la presentazione al Tempio, la celebrazione della Pasqua a Gerusalemme…) e sottolineano la sua pronta sottomissione ai genitori. In particolare, soffermandosi sul ruolo di san Giuseppe, l’esortazione apostolica Redemptoris Custos ricorda: «La crescita di Gesù “in sapienza, in età e in grazia” (Lc 2,52) avvenne nell’ambito della Santa Famiglia sotto gli occhi di Giuseppe, che aveva l’alto compito di “allevare”, ossia di nutrire, di vestire e di istruire Gesù nella legge e in un mestiere, in conformità ai doveri assegnati al padre».

L’educazione di Gesù è stata necessaria per realizzare il progetto che il Padre eterno aveva su di Lui e si fonda sulla coesistenza delle due nature, la divina e ovviamente l’umana (che è il presupposto per qualsiasi opera educativa), nell’unica Persona del Figlio di Dio.

Il Catechismo dedica a questo affascinante tema una sezione specifica (“L’anima e la conoscenza umana di Cristo”, CCC 471-483). Da un lato, in virtù della natura divina, «la conoscenza umana di Cristo […] fruiva in pienezza della scienza dei disegni eterni che egli era venuto a rivelare» (CCC 474). Allo stesso tempo, al punto 472 insegna:

«L’anima umana che il Figlio di Dio ha assunto è dotata di una vera conoscenza umana. In quanto tale, essa non poteva di per sé essere illimitata: era esercitata nelle condizioni storiche della sua esistenza nello spazio e nel tempo. Per questo il Figlio di Dio, facendosi uomo, ha potuto accettare di “crescere in sapienza, età e grazia” (Lc 2,52) e anche di doversi informare intorno a ciò che nella condizione umana non si può apprendere che attraverso l’esperienza [Cfr. Mc 6,38; 8,27; Gv 11,34; ecc.]. Questo era del tutto consono alla realtà del suo volontario umiliarsi nella “condizione di servo” (Fil 2,7)».

Questa scelta inaugurava, come più avanti ricorda sempre il Catechismo, «l’opera di restaurazione di ciò che la disobbedienza di Adamo aveva distrutto» (CCC 532).

In questo spazio si inseriva appunto l’azione quotidiana di Maria e Giuseppe, con le rispettive peculiarità del compito materno e paterno. Chiaramente l’opera educativa della Santissima Vergine deve essere stata «molto incisiva e profonda e ha trovato nella psicologia umana di Gesù un terreno molto fertile», come spiegava san Giovanni Paolo II nell’Udienza generale del 4 dicembre 1996. Ma «altrettanto e forse ancora di più», scriveva padre Tarcisio Stramare, «si deve dire del ruolo educativo di san Giuseppe, trattandosi di un figlio di sesso maschile, circostanza che ha comportato un maggiore contatto e confronto con la figura paterna, tenuto conto che nella tradizione ebraica tra i doveri del padre verso il figlio c’è espressamente quello di “istruirlo nella Torà e in un mestiere”» (San Giuseppe. Fatto religioso e teologia, Shalom, 2018, p. 435).

Già san Tommaso si era espresso nel medesimo senso, sottolineando l’importanza del padre: «È chiaro che per l’educazione dell’uomo non solo è richiesta la cura della madre, dalla quale è nutrito, ma molto più la cura del padre, che deve istruirlo, difenderlo e perfezionarlo nei beni sia interiori che esteriori…».

L’azione educativa di Giuseppe, accanto a Maria, è stata dunque di assoluto rilievo nella crescita di Gesù, che ha avuto nei suoi genitori due maestri di umanità. Giuseppe esercitò i suoi diritti-doveri verso il Figlio divino con l’autorità che gli veniva dal ruolo di capo della Santa Famiglia. Un’autorità che Giuseppe (così come la sua sposa nei confronti del Figlio) visse non come un potere arbitrario ma nell’unico modo capace di servire un disegno d’amore, cioè in umile obbedienza alla volontà del Padre celeste. Questa verità cozza evidentemente con le idee di educazione, di paternità e maternità che sono diffuse oggi dalla cultura dominante.

In definitiva, come concluse papa Wojtyla nella già citata Udienza generale: «Maria e Giuseppe emergono perciò come modelli di tutti gli educatori. Essi li sostengono nelle grandi difficoltà che oggi incontra la famiglia e mostrano loro il cammino per giungere ad una formazione incisiva ed efficace dei figli. La loro esperienza educatrice costituisce un punto di riferimento sicuro per i genitori cristiani, chiamati, in condizioni sempre più complesse e difficili, a porsi al servizio dello sviluppo integrale della persona dei loro figli, perché vivano un’esistenza degna dell’uomo e corrispondente al progetto di Dio».