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Un angolo di Assisi nel cuore di Napoli

Comprende chiesa, monastero e convento il complesso di Santa Chiara a Napoli, innalzato da Roberto d’Angiò e dalla moglie Sancia di Maiorca tra il 1310 e il 1328, in virtù della forte devozione da entrambi nutrita nei confronti dei due Santi di Assisi. La chiesa è il cuore della cittadella francescana abitata da frati minori.

Cultura 25_04_2015
La chiesa di Santa Chiara a Napoli

Comprende chiesa, monastero e convento il complesso di Santa Chiara a Napoli, innalzato da Roberto d’Angiò e dalla moglie Sancia di Maiorca tra il 1310 e il 1328, in virtù della forte devozione da entrambi nutrita nei confronti dei due Santi di Assisi. Il miracolo Eucaristico di Bolsena del 1264 determinò la dedicazione all’Ostia Santa del tempio, successivamente intitolato a Santa Chiara. La chiesa è il cuore della cittadella francescana abitata da frati minori residenti nel convento e dalle monache Clarisse del monastero.

A dirigere il cantiere del grande edificio gotico fu chiamato l’architetto Gagliardo Primario che l’aprì al culto nel 1340. La facciata in tufo giallo a larga cuspide, con un grande rosone, in parte ricostruito, al centro, è preceduta da un pronao a tre arcate ogivali. L’interno è una navata unica, coperta da capriate, su cui si affacciano dieci cappelle per lato. La zona presbiteriale è dominata dalla presenza del sepolcro di Roberto d’Angiò che i fratelli fiorentini Bertini realizzarono nel Trecento utilizzando marmo bianco e marmo dipinto per creare una degna sepoltura al sovrano. Il sepolcro, sorretto da figure allegoriche nel piano inferiore, al centro rappresenta il re con la sua famiglia e, nel piano superiore, il re assiso sul trono. Rispettivamente a destra e a sinistra sono collocati altri due monumenti funebri: quello del figlio, il Duca di Calabria, è opera del senese Tino di Camaino mentre quello di Maria di Durazzo risulta essere di ignota fattura.

L’altare maggiore antistante, che conserva la trecentesca struttura originaria, è un traforo di archetti e colonnine ed è sormontato da un Crocefisso ligneo del XIV secolo. Il coro delle Clarisse, cui si accede attraverso una scalinata, custodisce tracce di un affresco con la Lamentazione sul Cristo morto di Giotto. Il soggiorno del genio fiorentino a Napoli, nominato pittore di corte dal sovrano angioino, coadiuvato dalla sua bottega, è documentato nel 1328, anno in cui per le Clarisse realizzò le Storie, in parte cancellate,  del Nuovo Testamento e dell’Apocalisse. 

Nel corso del rifacimento settecentesco della chiesa, i cui affreschi e stucchi andarono perduti con il bombardamento del 1943, all’architetto Ferdinando Fuga fu chiesto di rinnovare il pavimento secondo lo stile dell’epoca. Il disegno realizzato solo con marmi pregiatissimi, tra cui il bianco di Carrara, il giallo di Verona, il rosso di Francia, è ancora ammirabile in loco.Sempre al XVIII secolo risale la ristrutturazione del meraviglioso chiostro trecentesco, a opera del maestro Domenico Vaccaro che lasciò invariata la sequenza dei sessantasei archi a sesto acuto e impreziosì pilastri ottagonali con splendide maioliche colorate. Il Vaccaro modificò completamente il giardino, suddividendolo in viali e circondandolo con un ambulacro le cui pareti furono decorate con affreschi barocchi. Prossimamente riaprirà il campanile angioino, chiuso dall’ epoca dell’ultima grande guerra, offrendo a fedeli e turisti la possibilità di salire fin sulla sua cima da cui si potrà godere di un panorama mozzafiato.