Ucraina, che faranno i russi dopo la sconfitta di Kharkiv
A Kharkiv gli ucraini hanno sfondato il fronte per la prima volta e hanno liberato Izyum e Kupjansk. La sconfitta russa mette in luce ancora una volta la carenza di truppe russe rispetto alla lunghezza del fronte da presidiare. Come conseguenza, Putin potrebbe ordinare una mobilitazione più ampia, anche contro la Nato, che aiuta l'Ucraina.
Con un’operazione condotta con brigate leggere altamente mobili seguite da unità meccanizzate appoggiate da un robusto supporto d’artiglieria semovente, l’esercito ucraino ha sfondato le linee russe sul fronte settentrionale nel settore compreso tra Kharkiv e la grande base logistica di Izyum su cui confluivano dal territorio russo i rifornimenti che consentono di alimentare lo sforzo bellico nel settore settentrionale del fronte del Donbass
L’offensiva ha colto di sorpresa i comandi russi e le deboli guarigioni composte per lo più da uomini della Guardia Nazionale russa lasciate a presidiare con un paio di battaglioni 50 chilometri di fronte dopo il ritiro di unità di prima linea per rinforzare il fronte meridionale. Già l’8 settembre gli ucraini vantavano oltre 20 insediamenti strappati ai russi e di essersi incuneati nell’area in mano al nemico per una profondità fino a 50 chilometri” liberando un’estensione di territorio di circa 700 chilometri quadrati. Il 9 settembre la falla si era allargata senza significativi interventi di rinforzi russi, se non quelli di aeronautica e artiglieria per rallentare l’avanzata nemica: la penetrazione ucraina aveva raggiunto i 100 chilometri di profondità fino al fiume Oskil e veniva conquistata dopo duri scontri Balaklija, 50 chilometri a nord di Izyum. Le avanguardie ucraine hanno raggiunto le porte di Kupjansk tagliando così le più importanti linee di comunicazione stradali e ferroviarie tra la cittadina e Izyum, caposaldo per le operazioni nel nord del Donbass.
L’arrivo di unità meccanizzate ucraine, molto più adatte delle forze leggere impiegate nella prima fase dell’offensiva a combattere in ambiente urbano e contro linee difensive fortificate, indicavano la determinazione a conquistare Kupjansk e anche Izyum costringendo i russi ad arretrare sensibilmente le loro posizioni e a rinunciare alle operazioni nel settore settentrionale del Donbass. Kiev ha rivendicato l’uccisione di mille militari di Mosca tra l’8 e il 9 settembre e la conquista in quel settore di un’area di 2.500 chilometri quadrati. L’estensione dei territori ritornati sotto il controllo ucraino si sta ampliando ulteriormente. I russi hanno evacuato Kupjansk e si sono ritirati da Izyum arretrando le loro linee verso est.
Il ministero della Difesa russo, senza parlare di sconfitta, disfatta o rotta, ha reso noto il 10 settembre che le truppe russe si stavano “raggruppando” lasciando Balaklija e Izjum verso il territorio di Donetsk rivendicando l’uccisione di 2mila combattenti ucraini e stranieri e la distruzione di oltre 100 veicoli corazzati e unità di artiglieria. Solo nel tardo pomeriggio di sabato da un comunicato sul canale Telegram del ministero della Difesa russo è stato reso noto il ritiro delle truppe schierate a Balakleya e Izyum. I soldati, spiegava la nota, verranno ridispiegati come rinforzi nel Donbass per “raggiungere gli obiettivi prestabiliti dell’operazione militare speciale” e che durante lo spostamento “il nemico è stato attaccato con una potenza di fuoco che ha visto coinvolte aviazione, truppe missilistiche e artiglieria per impedire qualsiasi danno alle truppe russe”.
Toni tesi a evitare di parlare di disfatta ma interpretati in modo ben diverso dalla popolazione. Le autorità russe e filorusse di tutti i territori dell’est ucraino hanno invitato i civili a fuggire in Russia e lunghe code di veicoli hanno visto da sabato migliaia di persone lasciare il Donbass e la regione di Kharkiv. Gli ucraini annunciano avanzate anche nel Donbass dove avrebbero raggiunto l’aeroporto di Donetsk e sul fronte meridionale dove, nel settore di Kherson, i russi avevano finora contenuto l’offensiva ucraina oltre il fiume Inhulets provocando forti perdite al nemico (10mila morti e feriti in poco più di una settimana di scontri secondo Mosca) e dove sarebbero affluiti 1.300 militari ceceni, già protagonisti di importanti vittorie russe nel Donbass e probabilmente inviati sul fronte meridionale per frenare la controffensiva delle truppe di Kiev.
Gli sviluppi delle prossime ore indicheranno se la ritirata russa diventerà una rotta si tutti i fronti o se risulterà contenuta. Zelensky ha annunciato la liberazione da inizio settembre di oltre 3mila chilometri quadrati di territorio (cioè un’area vasta quanto la Valle d’Aosta, pari allo 0,5 per cento dell’estensione dell’Ucraina di cui un quarto del territorio era in mano ai russi e ai fllo-russi del Donbass a fine agosto). Il ritiro rapido da Kupjansk e Izyum sembrerebbe indicare la volontà di Mosca di arretrare le sue linee di difesa, accorciando le linee di rifornimento, ma perdendo la possibilità di minacciare da nord i centri nodali della difesa ucraina nella provincia di Donetsk incentrati intorno a Slovyansk e Kramatorsk.
Se le fonti ufficiali di Mosca puntano a negare la disfatta, sui canali social russi e delle repubbliche di Donetsk e Luhansk, non sono mancate critiche esplicite rivolte ai comandanti e alla gestione delle operazioni in Ucraina dove si lamenta una costante carenza di truppe che limita o rallenta i successi nelle offensive e lascia settori scoperti alla mercé dell’iniziativa di un nemica le cui capacità risultano decisamente irrobustite, specie alla luce del crescente supporto dei paesi della NATO. Un problema noto fin dall’avvio della “operazione speciale” in Ucraina ma che è apparso in tutta la sua gravità in queste settimane in cui gli ucraini sono passati all’offensiva prima nella regione di Kherson e poi in quella di Izyum/Kharkiv.
Non si può escludere che la ampiamente preannunciata controffensiva ucraina a sud fosse in realtà un grande diversivo per assorbire forze russe da altri settori. E’ evidente che il supporto anglo-americano e più in generale di paesi NATO alle operazioni nel settore di Izyum è stato molto rilevante, non solo sotto il profilo degli armamenti e delle informazioni d’intelligence che hanno permesso di individuare i punti deboli e meno presidiati delle linee russe ma anche nell’organizzazione di brigate leggere altamente mobili per condurre operazioni di penetrazione in profondità in territori nemici scarsamente presidiati. Ciò detto rimane inspiegabile la ragione per cui su un fronte di 50 chilometri i russi abbiano mantenuto un numero così limitato di forze e perché, dopo lo sfondamento, Mosca non abbia inviato rinforzi per tappare la falla, tenuto conto delle molte unità militari presenti nei territori russi a ridosso del confine.
Forse non a caso il presidente Zelensky, pur celebrando la vittoria, ha ribadito che Mosca spera di "spezzare" la resistenza ucraina in inverno, contando sui problemi di riscaldamento e su un possibile indebolimento del sostegno occidentale a Kiev a causa dell'aumento dei prezzi dell'energia in Europa. La vittoria militare consolida il presidente Volodymyr Zelensky nel momento in cui le forti perdite subite sui fronti del Donbass e nella testa di ponte oltre il fiume Inhulets nel sud (10 mila morti e feriti ucraini secondo Mosca) sembravano mettere a dura prova la sua linea politica e strategica incentrata sulla riconquista completa dei territori perduti. Inoltre Zelensky ha potuto presentare i risultati della vittoriosa controffensiva al segretario di Stato statunitense Anthony Blinken e al primo ministro polacco Mateusz Morawiecki, forse non a caso in visita a Kiev proprio ieri e oggi.
Nelle prossime ore sarà possibile prendere in considerazione l’entità completa della sconfitta russa e l’impatto che avrà sulle operazioni nel Donbass e sul Fronte Meridionale mentre di fronte a Kharkiv viene segnalato, ma non confermato, il ritiro di tutte le forze russe oltre i confini nazionali. Un ennesimo ritiro che indicherebbe la necessità russa di accorciare il fronte per la cronica carenza di truppe. Kiev potrebbe essere tentata dallo sfruttare il successo conseguito buttando nella battaglia tutte le truppe disponibili per far crollare le difese russe a Kherson e nel Donbass, ma molto dipenderà anche dalle valutazioni degli anglo-americani che supportano i comandi ucraini.
La sconfitta potrebbe determinare pesanti conseguenze a Mosca con la rimozione di vertici politici e militari, ma potrebbe imporre cambiamenti rilevanti nel modo con cui la Russia affronta questa guerra, combattuta finora con forze palesemente insufficienti. La priorità di ridurre al minimo indispensabile perdite e numero di militari impegnati si è rivelata un limite fin dall’inizio del conflitto, pur tenendo in considerazione che probabilmente a Mosca sembrano aver valutato che il tempo giochi a loro favore, indebolendo gli ucraini e gli europei alle prese con una gravissima crisi energetica ed economica. Se il Cremlino ha finora puntato a condurre l’“operazione speciale”, limitandone il più possibile l’impatto sulla popolazione e l’economia, dopo la sconfitta di queste ore potrebbero crearsi le condizioni per almeno due sviluppi: da un lato il crollo della fiducia nella dirigenza politica e militare, dall’altro il rafforzamento del richiamo patriottico alla riscossa nazionale.
Un contesto quest’ultimo che potrebbe favorire l’invio di truppe fresche da altre regioni della Federazione, una maggiore mobilitazione di riservisti e arruolamenti allargati, non più su base volontaria fino alla mobilitazione, parziale o addirittura generale, che renderebbe però impossibile non definire “guerra” quella in corso in Ucraina. Uno sviluppo che risulterebbe giustificato dal sempre più pesante ruolo giocato sui campi di battaglia da Usa, Gran Bretagna, Polonia e altre nazioni Nato, che Mosca aveva in più occasioni stigmatizzato fino ad annunciare la scorsa settimana che gli Stati Uniti erano a un passo dal coinvolgimento diretto nel conflitto.
Pur senza prendere in esame il possibile impiego di armi nucleari tattiche, paventato da alcuni analisti dopo il ritiro russo da Kharkiv, il combinato tra la sconfitta subita in queste ore, il marcato coinvolgimento militare dei paesi Nato e le sanzioni economiche imposte dall’Occidente, potrebbero costituire in Russia il collante ideale per innalzare il livello di mobilitazione nazionale contro un nemico che a questo punto non può più essere solamente il governo di Kiev ma l’intero Occidente.