Tutti già pronti ad assediare il governo Meloni
Finanza internazionale, Bce, Commissione: ci sono molti segnali che sia pronto, contro il governo Meloni, quell'attacco concentrico che nel 2011 portò alla caduta dell'esecutivo Berlusconi. Sarà solo un modo di saggiare il suo europeismo, in attesa dei nomi del governo?
Sembra un film già visto 11 anni fa, ma il contesto nazionale e internazionale è profondamente diverso. Nel 2011 un governo c’era già, era quello guidato da Silvio Berlusconi, l’ultimo votato dai cittadini nelle elezioni del 2008. Proprio in questo periodo, tra ottobre e novembre, quel governo fu messo nel mirino dagli speculatori internazionali che lo costrinsero a dimettersi. Arrivò Mario Monti e da allora non ci sono più stati governi scelti dai cittadini.
Le elezioni del 25 settembre hanno decretato la netta vittoria del centrodestra, anche grazie alla legge elettorale che premia le coalizioni. Si profila un governo guidato da Giorgia Meloni, leader del partito più votato. Anche questa volta sembra che qualcuno non accetti, fuori dai confini italiani, l’esito delle urne e voglia ignorare la volontà popolare. Questa volta, però, il clima è ben diverso perché c’è stata una pandemia, c’è una guerra dagli esiti incerti, arriviamo da una legislatura ibrida, con governi di compromesso o di solidarietà nazionale e dunque i cittadini sono ben contenti di poter essere finalmente governati da chi hanno scelto nel segreto dell’urna. Ma chi è stato premiato dagli elettori per essersi opposto fieramente a tutte le politiche fatte nella scorsa legislatura dai tre governi che si sono succeduti (Conte 1, Conte 2, Draghi) riuscirà a governare? Più che altro, lo faranno governare?
I primi segnali non sono incoraggianti. Al di là delle polemiche, in parte gonfiate dai media, tra Mario Draghi e la premier in pectore, Giorgia Meloni, sui ritardi nella gestione dei progetti del Pnrr, rimangono le difficoltà finanziarie. Gli analisti dell’agenzia internazionale Moody’s hanno mandato un avvertimento all’Italia circa un possibile declassamento dei rating italiani, attualmente rimasti a Baa3, qualora non venissero raggiunti risultati tangibili in termini di riforme. Le riforme, per la verità, non le ha fatte nessuno nelle ultime due legislature, ma questa volta i poteri finanziari internazionali pretendono che le faccia in poco tempo un governo di centrodestra a guida Meloni.
Le famiglie italiane arrancano perché il loro potere d’acquisto si è sensibilmente ridotto, a causa dell’esplosione dell’inflazione. Molti cittadini stanno intaccando i loro risparmi per far fronte al caro bollette e al conseguente aumento dei prezzi di molti generi di prima necessità. E allora cosa dovrebbe fare l’Italia per non sprofondare in termini di credibilità internazionale e per non vedersi declassata? Dovrebbe varare politiche fiscali ed economiche lungimiranti e frenare l’indebitamento. Ma perché questo non è stato fatto finora? Perché si è continuato ad elargire bonus a destra e a manca, alimentando sacche di parassitismo senza generare reali opportunità di lavoro per le nuove leve? Fare le riforme del Pnrr potrebbe bastare di per sé ad evitare che l’Italia scivoli lentamente verso la recessione?
L'agenzia di rating Moody’s specifica nel suo rapporto che il taglio del rating potrebbe avvenire "se dovessimo prevedere un significativo indebolimento delle prospettive di crescita a medio termine del Paese, forse a causa della mancata attuazione delle riforme che favoriscano la crescita, comprese quelle previste dal Pnrr".
Ma al di là delle nubi che si addensano all’orizzonte in termini di rating, c’è da registrare un altro segnale analogo a quello del 2011, quando la Banca centrale europea, per provocare la caduta del governo Berlusconi e gettare nel caos l’economia italiana, decise una cessione massiccia di titoli di Stato italiani. Sembra che anche su questo versante si stia procedendo in quella direzione.
La Bce non ha utilizzato ad agosto e settembre la flessibilità nei reinvestimenti di titoli del piano pandemico Pepp per sostenere i titoli italiani. Non c'è stato quindi un sostegno specifico di Francoforte per il Paese nel periodo prima e dopo le elezioni del 25 settembre. L'esposizione netta della banca centrale verso l'Italia è al contrario scesa di 1,24 miliardi. A giugno e luglio l'ammontare era aumentato di 9,76 miliardi. La ritirata della copertura della Bce sulle obbligazioni sovrane dell’Italia e di altri Paesi potrebbe non essere casuale, anzi potrebbe essere legata a ragioni politiche. In fondo tutto è avvenuto tra agosto e settembre, quando si era già capito che il vento soffiava nella direzione della vittoria del centrodestra.
Si spera davvero che non sia così e che questo riassestamento sia solo legato a una sorta di attendismo da parte della Bce e non a un suo pregiudizio anti-italiano. Se l’Europa si mettesse nelle condizioni di intervenire su spread o debito solo in caso di estrema necessità, finirebbe per tenere sotto scacco l’Italia e magari, come accaduto nel 2011, per imporre anche un nuovo assetto governativo, con chiare ingerenze nella vita politica di uno Stato sovrano dell’Unione. A meno che non sia solo una manovra per saggiare l’effettivo grado di europeismo del nascente governo italiano, anche sulla base degli uomini che verranno scelti per i ministeri chiave.