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CASO ROMANO

Turchia e Qatar, l'asse della jihad dietro la consegna

Il prezzo da pagare non è solo quello del riscatto: anche l’Italia è stata costretta a subire la strumentalizzazione del proselitismo fondamentalista dei Fratelli Musulmani, sponsorizzati dal Qatar e dalla Turchia di Erdogan, il cui ruolo nella trattativa mostra quanto sia pericolosa anche quando finge di esserti amica.
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Attualità 13_05_2020

Rapita, convertita, velata e rimandata in Italia per il tramite dei servizi segreti turchi e con il riscatto pagato in Qatar. Alla gioia per la liberazione di Silvia Romano e il suo ritorno a casa, ha fatto seguito un gran rumore provocato dai contorni ‒ a dir poco inquietanti ‒ assunti dall’intera vicenda, compresa l’inopportuna spettacolarizzazione dell’arrivo della giovane all’aeroporto di Ciampino. Un poco ingessati dalla mascherina ma prodighi di sguardi ammiccanti rivolti alle telecamere, il presidente del consiglio, Giuseppe Conte, e il ministro degli esteri, Luigi Di Maio, si sono letteralmente lanciati sulla ragazza una volta scesa dal velivolo, avidi di visibilità mediatica (sintomo da Coronavirus?) al fianco di quello che mostravano al pubblico come un loro trofeo. Ma l’effetto della messinscena può aver ingannato solo i followers più cecamente accaniti, perché la cerimonia voluta da Conte e Di Maio non ha fatto altro che piegare l’Italia a svolgere la funzione di piattaforma per la propaganda dell’islamismo radicale, dando oltretutto agli estremisti l’incentivo per nuovi rapimenti in aree di crisi.

Il prezzo da pagare non è stato semplicemente quello del riscatto, come già accaduto in passato anche ad altri paesi occidentali. L’Italia è stata infatti costretta a subire la strumentalizzazione di cui è stata vittima la stessa Silvia Romano, trasformata in Aisha quale simbolo del proselitismo fondamentalista praticato dai numerosi militanti e frequentatori della vasta rete di moschee, centri culturali e scuole religiose diffuse ormai a macchia d’olio all’interno del territorio italiano (ed europeo), che fanno capo, direttamente o indirettamente, all’organizzazione transnazionale islamista dei Fratelli Musulmani: quella che dal 1928, anno della sua fondazione in Egitto, continua a coltivare l’ambizione della restaurazione del Califfato mondiale attraverso il jihad nella forma del terrorismo di Al Qaeda o dell’ISIS (e pertanto di Al Shabab in Somalia, come di Boko Haram in Nigeria); del rovesciamento dell’ordine mediorientale al fine d’instaurare regimi fondamentalisti antioccidentali (Primavera Araba); della penetrazione del tessuto sociale, culturale, politico e, naturalmente, religioso dei paesi europei.

Dei Fratelli Musulmani sono sponsor conclamati, guardo caso, il Qatar degli emiri Al Thani, già di casa in Italia, e la Turchia di Erdogan. Mentre andava in onda la messinscena di Conte e Di Maio a Ciampino, il sultano-presidente-dittatore non ha perso tempo e ha rivendicato per sé tutti i meriti della liberazione di Silvia Romano, mostrandocela sull’agenzia stampa Anadolu felice e sorridente in presunti abiti “tradizionali” somali con su un gilet dell’esercito turco, al cui centro spiccava una mezzaluna che richiamava molto più il Califfato ottomano, che la bandiera della Repubblica di Ataturk. 

La base militare inaugurata in Somalia nel 2016 è un puntello significativo della proiezione geopolitica turca in Africa, che si nutre di rapporti economici, nonché culturali e religiosi con diversi paesi (numerosi sono gli studenti e i giovani professionisti africani basati ad Ankara, Istanbul e in altre località della Turchia, tra cui spiccano quelli di origine somala). A livello politico e istituzionale, la relazione speciale con Mogadiscio si basa sul legame che Ankara ha stabilito insieme a Doha con il presidente Mohamed Abdullahi “Farmajo”, rinsaldato dalla donazione da parte turca di materiale sanitario per fronteggiare il COVID-19, come enfatizzato da Erdogan in un discorso pronunciato domenica 12 maggio, nello stesso giorno del ritorno di Silvia Romano in Italia: solo una coincidenza?

A causa degli stretti rapporti con il governo della Somalia, che investono anche il campo militare, e della conoscenza più che diretta delle reti di terroristi e miliziani che vanno e vengono tra Medio Oriente e Nord Africa (si veda il traffico di jihadisti tra Siria e Libia), il pragmatismo della necessità ha spinto le autorità italiane a richiedere i buoni uffici dell’intelligence di Ankara e di Doha, quest'ultima già implicata in numerosi casi di sequestri e riscatti pagati a gruppi estremisti e terroristici. La domanda, allora, sorge spontanea: la Turchia e il Qatar hanno avuto un ruolo nel processo di conversione “non forzata” di Silvia Romano? Tale processo è stato parte integrante di una strategia negoziale elaborata da Ankara e Doha, o da queste comunque condivisa? A quale islam è stata convertita? A giudicare dagli attori coinvolti, i suoi “maestri” di religione devono essere stati tutt’altro che moderati, come dimostra la tunica verde indossata dalla giovane italiana, in realtà tipico simbolo di sottomissione delle donne somale al fondamentalismo. 

In attesa di riposte, una conferma l’abbiamo già: la vicenda di Silvia Romano ci dice infatti quanto il Qatar e la Turchia di Erdogan siano pericolosi soprattutto quando fingono di esserti amici.