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DIPLOMAZIA

Trump prova il colpo gobbo in Corea

Stop al programma nucleare di Pyongyang in cambio di investimenti miliardari americani: la strategia del presidente americano punta a sfilare la Corea del Nord dall'rea di influenza cinese. Se riuscisse sarebbe un colpo magistrale degno del Nobel per la Pace.

Editoriali 19_05_2018
Trump e Kim

Difficile spiegare perché per Trump il presidente siriano Bashar Assad sia “un animale” mentre il sanguinario dittatore nordcoreano Kim Jong-un, ora che si è detto pronto al dialogo, sia diventato quasi un amico da proteggere. La risposta ai curiosi mutamenti dello scenario geopolitico va forse cercata negli obiettivi strategici statunitensi.

La dura reazione di Kim all’avvio delle manovre militari congiunte tra le forze Usa e sudcoreane ha rialzato la tensione a meno di un mese allo storico incontro tra Trump e Kim previsto a Singapore il 12 giugno. In Corea del Nord non andrà a finire come in Libia, ha detto Donald Trump, intendendo così scongiurare l’ipotesi di una deposizione “manu militari” del leader nordcoreano come avvenne nel 2011 con il rais libico.

Il parallelo tra Corea del Nord e Libia era stato formulato dal nuovo consigliere alla sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Bolton, che aveva proposto il "modello libico" del 2003 per il processo di denuclearizzazione nordcoreano. Un richiamo non alla guerra voluta da Barack Obama, Nicolas Sarkozy e David Cameron contro Muammar Gheddafi, ma a quel processo che indusse il Colonnello libico, dopo gli interventi militari che fecero cadere i Talebani in Afghanistan e Saddam Hussein in Iraq, a consegnare volontariamente le sue armi di distruzione di massa agli anglo-americani.
Se mai esiste un parallelo tra i regimi nord coreano e libico questo andrebbe cercato proprio nella valutazione che nessuno avrebbe osato attaccare Gheddafi nel 2011 se il raìs non avesse rinunciato anni prima alle sue armi chimiche e al programma atomico.

Il presidente americano ha minimizzato la reazione di Pyongyang, che ha sospeso i colloqui con Seul e lanciato un monito agli Usa in seguito alle esercitazioni militari nel Sud.
Trump vuole entrare nella Storia firmando un accordo che lo rilancerebbe sul piano internazionale come sul fronte interno facendo forse dimenticare il Russiagate. Un successo che potrebbe garantirgli quel Nobel per la Pace che al suo predecessore venne addirittura dato sulla fiducia, appena insediatosi alla Casa Bianca.

Il presidente americano vuole un accordo di pace in Corea e rassicura affermando che Kim, se denuclearizza come ha già cominciato a fare smantellando il principale sito atomico del Paese, avrà tutte le protezioni che merita. “In Libia abbiamo decimato il Paese. Non c'è stato un accordo per tenere in piedi Gheddafi, nessuna assicurazione di una sua protezione. E in Corea del Nord se non facciamo l'accordo si ripeterebbe quel modello" che ha portato solo a una grande instabilità, ha affermato Trump aggiungendo però che, senza accordo, il modello libico sarà “molto probabile”.

Quindi Washington è pronta a tollerare e addirittura sostenere la sopravvivenza del regime comunista di Kim se disarma gli arsenali nucleari, ma resta nemica di Assad in Siria e auspica un “regime change” in Iran, paesi che le armi atomiche ancora non le hanno.
Una politica poco incoerente ma che conferma come il possesso di armi nucleari costituisca oggi l’unica garanzia di non subire “attacchi preventivi” statunitensi.

Del resto l’obiettivo di Washington, emerso nei giorni scorsi dalle parole del segretario di Stato Mike Pompeo, è investie miliardi di dollari in Corea del Nord una volta siglato l’accordo di pace. Non è quindi difficile intuire che dietro al tentativo di “comprare” la Corea del Nord con investimenti statunitensi e sudcoreani, si cela la volontà di strappare la Corea del Nord dall’area di influenza cinese traghettando il regime verso l’Occidente.

Difficile ritenere che cambiamenti così radicali e profondi in una società nordcoreana rimasta isolata dal mondo per 70 anni non abbiano anche ripercussioni sul regime di Kim, ma è evidente che se Pyongyang uscisse dall’orbita cinese per Xi Jinpng sarebbe uno smacco di portata formidabile. Un duro colpo alla pretesa cinese di ampliare la propria influenza anche sugli oceani e porsi come punto di riferimento per i Paesi dell’Asia/Pacifico.

La portavoce della Casa Bianca Sarah Sanders ha sottolineato come il presidente Trump sia più che mai pronto ad incontrare Kim. "I preparativi vanno avanti e al momento non c'è alcun cambio di programma". Pyongyang ha però ribadito che "dialogo e giochi di guerra sono inconciliabili". La Corea del Nord non riavvierà i colloqui con Seul finché Usa e Corea del Sud terranno le manovre militari aeree attualmente in corso.

E a Washington si ipotizza che dietro ai toni nuovamente duri di Pyongyang si nasconda la volontà cinese di rialzare la tensione sulla Corea in concomitanza con l’aspro confronto tra Usa e Cina sulla questione dei dazi commerciali. Il presidente Usa ritiene Pechino responsabile del voltafaccia nordcoreano reso noto, forse non a caso, poco dopo l’incontro tra Xi e Kim.