Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Nostra Signora del Pilar a cura di Ermes Dovico
Venerdì della Bussola

"Troppa voglia di guerra", Toni Capuozzo racconta la guerra senza retorica

La realtà della guerra è tutt’altro che romantica, si sa come inizia ma non come o quando finisce. Difficile parlare anche di una pace giusta. E alla larga dal conformismo giornalistico. Ecco i temi del videoincontro con Toni Capuozzo.

Cultura 12_10_2024
Toni Capuozzo (La Presse)

Al di là delle analisi su chi abbia ragione o torto nei conflitti, si nota che oggi c’è troppa voglia di guerra. L’opinione pubblica è concentrata su alcuni conflitti. Malgrado il pericolo che queste guerre portano alle regioni interessante, si nota una specie di “voglia di guerra”, nei politici, negli opinionisti. La guerra viene descritta come “desiderabile” per sanare certe situazioni e si perde la sua dimensione reale. Attorno a questi temi si è svolta la diretta di ieri dei Venerdì della Bussola, intitolata “Troppa voglia di guerra” e condotta dal direttore Riccardo Cascioli. Ospite il giornalista inviato di guerra Toni Capuozzo, noto al grande pubblico per i suoi reportage su tutti i fronti caldi negli ultimi decenni.

Toni Capuozzo ha tenuto a farci capire la realtà della guerra, tutt’altro che romantica, né ineluttabile. Ha scritto il libro per ragazzi “Cos’è la guerra?” illustrato e organizzato a domande e risposte. «Sono nato all’indomani della fine della Seconda Guerra Mondiale, nel 1948, in un’Italia in cui c’erano ancora le tracce della guerra – dice Capuozzo - I nonni e i genitori sapevano cosa fosse la guerra, vissuta in prima linea o nelle retrovie. Spesso raccontavano poco, per gettarsi alle spalle l’orrore, convinti che i figli sarebbero potuti crescere in un mondo senza guerre».

Fuor di ogni retorica, della guerra restano solo i cimiteri: «Se noi guardiamo a cosa sia realmente la guerra essa è la conta dei morti. Vince, non chi subisce meno morti, ma chi riesce a tollerare più morti. Gli Usa persero in Vietnam anche se erano la potenza più forte, perché la televisione raccontava le morti dei civili e mostrava il ritorno delle bare avvolte nella bandiera a stelle e strisce». La guerra è inoltre per definizione imprevedibile, si sa come e quando iniziarla, ma mai quando e come finirla. «Si scivola nella guerra senza sapere come uscirne. Chi si aspettava, il 7 ottobre, il giorno dell'orrore di Hamas, dei civili uccisi nei kibbutz e in un festival musicale che, un anno dopo, saremmo stati ancora nel bel mezzo di una guerra e con il rischio di un conflitto più vasto? Ho detto sin dall’inizio di aver dubitato delle parole con cui Draghi disse ‘o il condizionatore o la pace’, come se le sanzioni alla Russia avessero potuto porre fine al conflitto: siamo al terzo inverno di guerra in Ucraina e non se ne vede la fine». 

Sulla giustezza delle cause in guerra Capuozzo la smitizza portando ad esempio le storie degli ultimi caduti degli ultimi istanti di conflitto. «Nel 1918 l’ultimo morto italiano perì in una carica di cavalleria negli ultimi due minuti prima che entrasse in vigore l’armistizio. Perché una carica all’ultimo momento? Per raggiungere la linea più avanzata possibile, visto che l'armistizio prevedeva che l'ultima linea del fronte sarebbe diventata quella del confine. Fu dunque una specie di corsa degli ultimi sconti di stagione. Quel tenente romano, di origine umbra, se avesse resistito ancora per un paio di minuti sarebbe tornato a casa assieme agli altri reduci. Questo ti dà il senso dell'inutilità. Non ho mai trovato un luogo in cui, alla domanda “ne valeva la pena?” qualcuno rispondesse “sì”». E riportando l’azione all’oggi: «Verrà un giorno, anche in Ucraina e Russia, si chiederanno “ne valeva la pena?”. In due paesi europei, in Ucraina soprattutto le perdite pesano di più sulla sua popolazione, in un’Europa che è già in sofferenza per mancanza di nascite».

Si parla di pace giusta, ma Capuozzo non crede che nel conflitto ucraino possa emergere un vincitore: «Una vittoria totale vorrebbe dire o il crollo della Russia o il crollo dell’Ucraina, ma non possiamo auspicare né l’una né l’altra. La Russia perché ricorrerebbe all’atomica, l’Ucraina perché una nazione indipendente cesserebbe di esistere. Meglio che conservi l’80% dei territori che ancora controlla. Vale la pena di rischiare per il 20% di territorio occupato?» Però sarebbe come darla vinta all’aggressore? «Sono fortemente legato ai valori occidentali. Però talvolta cerco di guardarmi anche da fuori, non possiamo raccontarcela e cantarcela da soli. La Russia ha aggredito in Ucraina, ma anche noi abbiamo invaso paesi. La Russia bombarda i civili. Certo. Ma credete che non siano morti civili in Afghanistan, in Serbia, in tutte le imprese militari occidentali nel mondo? Spesso veniamo accusati di avere una moralità sussultante, pronta ad accusare gli altri e a chiudere gli occhi sui nostri crimini. Nella Seconda Guerra Mondiale non possiamo nascondere che è stata chiusa da due bombe atomiche lanciate su civili, non su militari, deliberatamente usate contro i civili. E questo lo hanno fatto i buoni, che (per fortuna) hanno vinto la guerra. In guerra il principio è uccidere quanto più puoi ed è difficile rimare buoni quando questo è lo scopo».

Il fattore odio, soprattutto nel Medio Oriente, è importante, perché, dice Capuozzo. «Nel Medio Oriente c’è da considerare il peso delle religioni, il peso dell’islam, dell’ebraismo, entrambe religioni che non conoscono il perdono, che danno dignità alla vendetta». E «In entrambi, ebrei e islamici, sono cresciute le componenti fondamentaliste».

Cascioli chiede come fare a spiegare la guerra ai ragazzi: «Difficile, perché i ragazzi leggono poco – spiega Capuozzo - Per questo ho scritto apposta un libro per loro che cerca di essere il meno pesante possibile, con molte figure e fatto a domande e risposte. Siamo tutti bambini quando ci rapportiamo alla guerra, visto che nessuno di noi l’ha vissuta. Spiegare non vuol dire giustificare, ma dare elementi di razionalità per non finire in preda al terrore».

Nella stampa si tende spesso a fare il tifo, ricorda Cascioli. Si viene spesso etichettati. «Purtroppo c’è molto conformismo, in un giornalismo disabituato ad andare sul campo. Non si tende a dubitare di quel che dice un altro. E le guerre di oggi si combattono anche con l’informazione, la guerra psicologica è molto importante». E l’inviato veterano porta un esempio in cui la stampa è quasi unanime: «I nostri giornalisti, oggi, non capiscono perché gli israeliani hanno sparato ai caschi blu. Il quadro è quello di una forte ostilità di Israele nei confronti delle Nazioni Unite, perché a Gaza le scuole Onu fanno da scudo a Hamas e in Libano, al di là del buon lavoro dei nostri militari in Libano, il quadro della missione Unifil, così come stabilita, è quello di una missione impossibile. (…) Dal punto di vista di Israele, Unifil non è solo una missione fallita, ma uno scudo umano di Hezbollah: si scopre che un suo bunker è a 150 metri da una base Unifil. Ed è possibile che Unifil abbia chiuso un occhio. I militari israeliani hanno colpito le telecamere di Unifil perché temono il lavoro di osservazione dei loro movimenti. E temono che le strutture di Unifil, oltre a fare da scudo a Hezbollah facciano anche da occhio elettronico a favore di Hezbollah».

La maggior parte delle guerre sono fatte per i confini. Ma Capuozzo va in controtendenza, con il suo nuovo libro Vite di confine. «Quel confine è Gorizia: era quello fra il mondo delle democrazie e quello del socialismo reale, c’è stato un muro fino a trent’anni fa. Oggi Gorizia e Nova Gorica saranno assieme capitali europee della cultura. Sono in controtendenza. Lì è finalmente un confine che è ragione di opportunità».