Trionfalismo inopportuno per il ritorno di Chico Forti
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Condannato negli Usa, il 65enne trentino torna in patria in pompa magna, accolto dal premier. Maggiore sobrietà non avrebbe guastato, anzi, avrebbe evitato di creare un precedente.
C’era bisogno di così tanto clamore su Enrico (Chico) Forti? E Giorgia Meloni ha fatto bene a salutare con tale enfasi il momento del suo arrivo in Italia? Sono domande che rimangono senza risposta perché davvero è sembrato di assistere nelle ultime ore a una parata di star, in particolare esponenti di area governativa che si compiacevano di essere riusciti a riportare a casa un condannato all’ergastolo.
Chico Forti è arrivato nel carcere di Verona dove sconterà la sua pena. Il 65enne trentino aveva lasciato l'istituto penitenziario di Rebibbia a Roma dove era stato trasferito subito dopo essere atterrato a Pratica di Mare e dopo aver trascorso 24 anni in carcere negli Usa. Appena arrivato, ha inoltrato agli uffici competenti la richiesta per avere un permesso urgente per raggiungere Trento e vedere la madre. La donna, Maria Lonar Forti, ha 96 anni e non vede il figlio dal 2008.
Al di là di questi aspetti umani, rimane la questione della strumentalizzazione, da parte del governo, di un evento del genere per fini elettorali. L’episodio crea peraltro un precedente che potrà agevolmente essere invocato da altri detenuti all’estero per richiedere analogo impegno da parte del governo italiano presso lo Stato in cui sono detenuti. Non è un caso che sul punto abbia rilasciato dichiarazioni il padre di Ilaria Salis.
Forti è stato trasferito in Italia dopo 24 anni, dopo aver ricevuto una condanna all'ergastolo in Florida per l'omicidio di Dale Pike, avvenuto il 15 febbraio del 1998. L'aereo con a bordo Forti è arrivato all'aeroporto militare di Pratica di Mare, dove ad attenderlo c’era proprio il premier Giorgia Meloni. «Ho sognato ogni giorno questo momento», ha detto Chico Forti, intervistato dal Tg1. Chico Forti ha ribadito di ritenersi innocente: «Dovevo dichiararmi colpevole per avere l'estradizione, è l'unico motivo per cui l'ho fatto», ha detto al Tg1.
«Faremo un'istanza per avere il permesso per il detenuto di visitare la madre che ha 96 anni e non si può muovere. La mamma, Loner Forti, si trova a Trento e credo non veda il figlio da circa dieci anni». A dirlo è l'avvocato Carlo Della Vedova, legale in Italia di Chico Forti. Anche l'aspetto umanitario, ha puntualizzato l'avvocato, ha «accelerato la procedura ed è anche stato considerato dalla Corte di Appello di Trento quando è stata recepita la sentenza americana».
Enrico (Chico) Forti ha incontrato la Meloni che lo scorso marzo in occasione della sua missione negli Stati Uniti aveva ottenuto il consenso al trasferimento del connazionale, ai sensi della Convenzione di Strasburgo. Da qui è partito l'iter che si è concluso in tempi record mercoledì 15 maggio quando si è svolta l'udienza nella quale Forti ha firmato l'accordo con il giudice federale statunitense per scontare il resto della pena in Italia sulla base del diritto italiano. Lo sottolineano fonti di palazzo Chigi.
A Chico Forti sarà notificato l'ordine di esecuzione della pena, firmato dal procuratore generale di Trento. Una volta risolto il nodo politico nei mesi scorsi, la parte esecutiva è stata di competenza del ministero della Giustizia che, con un lavoro dietro le quinte, ha coordinato le procedure affrontando le questioni tecniche sia sul fronte americano sia italiano.
Il Presidente del Consiglio si è chiaramente intestato il successo dell’operazione e ha scritto su Facebook: «Chico Forti è tornato in Italia. Fiera del lavoro del Governo italiano. Ci tengo a ringraziare nuovamente la diplomazia italiana e le autorità degli Stati Uniti per la loro collaborazione». D’altronde, in occasioni simili, anche altri governi avevano esibito a mo' di trofei detenuti italiani rimpatriati. Neppure la Meloni ha resistito alla tentazione.
«È un giorno di gioia e di soddisfazione per l'intero Paese: il rientro in Italia di Chico Forti – atteso da anni – è innanzitutto un successo della presidente Giorgia Meloni e uno straordinario traguardo politico e diplomatico, frutto di intensa e proficua collaborazione istituzionale a tutti i livelli. Essenziali nell'accelerazione delle ultime procedure di consegna – che si sono perfezionate in tempi record dalla formalizzazione del consenso – sono stati anche i colloqui avvenuti a latere del G7 Giustizia la settimana scorsa a Venezia. Si chiude così un dossier molto complesso, seguito con estrema cura dalle competenti articolazioni ministeriali che desidero ringraziare vivamente: la collaborazione – nel più rigoroso e doveroso riserbo – tra tutte le istituzioni ha consentito il rientro a casa, finalmente, di Chico Forti». Così il ministro della Giustizia, Carlo Nordio.
A congratularsi perfino l’ex ministro degli Esteri e inviato dell’Ue per il Golfo, Luigi Di Maio, che nel 2020 aveva lavorato al caso di Forti, annunciandone anche l’imminente rientro, che poi non arrivò.
Ma, come detto, le polemiche sono pronte ad esplodere perché l’atteggiamento trionfalistico della Meloni ha suscitato prevedibili critiche di strumentalizzazione elettorale da parte dei suoi avversari, e non solo. Ieri su La Stampa Ilaria Salis ha preferito non rispondere a chi le chiedeva se l’esecutivo non avesse usato due pesi e due misure. Suo padre ha commentato le parole del ministro degli Esteri, Antonio Tajani in merito al trasferimento di Forti e sul fatto che questi risultati si ottengono «lavorando in silenzio». «Il profilo basso dipende da cosa si intende: il governo con noi ha avuto 11 mesi di profilo basso per fare tutto quello che era necessario e non è successo nulla», ha commentato ironicamente Roberto Salis.
Meloni avrebbe dunque potuto evitare di accendere a pieni giri i motori della macchina della retorica e con maggiore sobrietà istituzionale avrebbe potuto spiegare agli italiani cosa il governo aveva fatto per raggiungere questo obiettivo, senza strafare nelle celebrazioni. Stiamo parlando comunque di una persona che è stata condannata in un altro Stato. Non sappiamo se abbia ragione Il Fatto Quotidiano, definendolo «un assassino». Certo è che trattare da eroi persone che hanno avuto fuori dai confini nazionali guai con la giustizia non è mai opportuno.
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