Tre suicidi, un solo Bisogno
Il tragico episodio delle Marche, con una famiglia suicidatasi per problemi economici, è troppo grave per non farci porre delle domande. Accettare che il motivo sia la crisi è ammettere che la nostra vita dipende dalle circostanze. Ma la Pasqua ci fa vedere qualcosa di diverso.
Una coppia sposata da 35 anni, Romeo Dionisi e Annamaria Sopranzi, e il fratello maggiore di lei, Giuseppe. Senza figli la coppia, mai sposato Giuseppe. Tre persone affiatate che vivevano insieme da una vita che, però, dopo anni e anni di lavoro e sacrifici, sembrava aver loro voltato le spalle. Poche centinaia di euro di pensione, crediti non riscossi da Dionisi che, grazie alla riforma Fornero, doveva ora aspettare altri anni per arrivare alla pensione. E nel frattempo aveva acceso un mutuo per poter pagare i debiti all’Inps. Alla fine non hanno retto e si sono suicidati: prima la coppia, poi anche Giuseppe appena appreso di essere rimasto da solo.
Così la cronaca ci racconta il tragico episodio di Civitanova Marche, dove ieri si è recata anche il presidente della Camera Laura Boldrini. Un episodio sconvolgente, troppo grave per non farci porre delle domande. Questa insana necessità di incasellare sempre tutto, ha fatto sì che nella cronaca e nei commenti il triplice suicidio venga inscritto alla voce “vittime della crisi economica”. Colpa della Fornero, urla qualcuno, e il ministro cerca di discolparsi. “Vittime dello Stato” lamenta la Boldrini che, però, rappresentando lo Stato, viene fischiata a Civitanova. E in ogni caso, tutto si concentra sulla crisi e su quella maledetta pretesa dello Stato di succhiare il sangue dei cittadini anche quando non hanno alcun reddito.
Ma può bastarci questa spiegazione? No, c’è qualcosa nel nostro cuore che si ribella, perché se fosse soltanto così vorrebbe dire che il senso della nostra vita, le ragioni per vivere, dipendono soltanto dalle circostanze. Non intendiamo assolutamente giudicare le vittime di questa tragedia: Dio solo sa cosa significhi ritrovarsi nella miseria, sentire venir meno quella dignità costruita in tanti anni di duro e onesto lavoro, provare la vergogna di dover chiedere un aiuto economico per continuare a sopravvivere. E’ facile cedere alla tentazione di farla finita. E non ci sono giustificazioni – come abbiamo tante volte scritto su La Nuova BQ, anche in questi giorni – per uno Stato che depreda i suoi cittadini, che li tratta da sudditi e ladri presunti, sempre costretti a dimostrare la propria correttezza. E nel frattempo spreca scandalosamente risorse per mantenere una macchina burocratica terribilmente inefficiente.
No, nessuna giustificazione per questo, chi mette altri in situazione di tentazione e pericolo è già responsabile. E però questo da solo non basta a spiegare il suicidio di tre onesti cittadini. Il punto è che quando tante sicurezze vengono a mancare – i soldi, la salute, la famiglia – lì si vede su cosa abbiamo poggiato la nostra vita, in cosa confidiamo veramente. Se siamo schiavi delle circostanze, dei nostri progetti, o se la nostra vita è più grande di tutto questo. Se la causa ultima del suicidio è la crisi economica, o in generale la circostanza negativa, vuol dire che il valore della nostra vita dipende da come vanno le cose, in fondo dipende dal potere che stabilisce cosa ha valore e cosa no. Allora è ammettere che siamo schiavi: delle circostanze, dei nostri progetti, del nostro limite, dello Stato.
Ecco perché a questo, accanto alla compassione per le tre vittime, sentiamo un moto di ribellione interiore. Abbiamo appena celebrato la Pasqua: abbiamo sentito l’annuncio della liberazione, le catene delle circostanze sono state spezzate. Adesso c’è la possibilità per ogni uomo, in qualsiasi circostanza si trovi, di vivere con pienezza e letizia la propria vita. Ridurre tutto alla questione economica è l’ultimo torto che faremmo a queste povere vite interrotte, ma anche a noi.
Quando non ci sono problemi psichici, il suicidio è sempre per mancanza di senso e non per circostanze negative. Certo, probabilmente non ci fosse stata la crisi economica, non sarebbe successo. Ma ancora di più: se Romeo, Annamaria e Giuseppe avessero avuto una compagnia umana al loro fianco, amici che avessero condiviso nel bisogno la loro vita, non solo probabilmente non sarebbe successo ma avrebbero potuto vivere con gioia sia nella povertà sia nella sicurezza economica.
Risolvere i problemi economici è urgente e necessario, ma ancora più urgente è necessaria è un’amicizia che ci faccia sperimentare il significato più vero della nostra vita, che ci faccia sentire amati. E’ il bisogno più vero e profondo che abbiamo noi tutti, di cui il bisogno materiale è solo un segno.