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I PILASTRI DELLA QUARESIMA

Tre "armi" per un mondo in difficoltà

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Attualità 11_03_2011

Nel pomeriggio del Mercoledì delle Ceneri, 9 marzo, Benedetto XVI ha celebrato nella Basilica di Santa Sabina a Roma una Messa nel corso della quale ha ricevuto – dal cardinale slovacco Jozef Tomko, prefetto emerito della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli – e imposto le Ceneri. Nell’omelia il Papa è tornato, come già nella catechesi del mattino del 9 marzo, che abbiamo già commentato su La Bussola Quotidiana, sui tre pilastri della Quaresima: elemosina, preghiera e digiuno.

Essi, ha detto il Pontefice, rappresentano il «tracciato della pedagogia divina». «Nel riproporre queste prescrizioni – ha detto il Papa –, il Signore Gesù non chiede un rispetto formale ad una legge estranea all'uomo, imposta da un legislatore severo come fardello pesante, ma invita a riscoprire queste tre opere di pietà vivendole in modo più profondo, non per amore proprio, ma per amore di Dio, come mezzi nel cammino di conversione a Lui». Queste pratiche nella storia dell’Antico Testamento erano molto antiche – il Papa ha preso lo spunto dalla prima lettura del giorno, dove il profeta Gioele partiva da un’invasione di cavallette per invitare alla penitenza –, ma «nel corso del tempo, queste prescrizioni erano state intaccate dalla ruggine del formalismo esteriore, o addirittura si erano mutate in un segno di superiorità».«Quando si compie qualcosa di buono, quasi istintivamente nasce il desiderio di essere stimati e ammirati per la buona azione, di avere cioè una soddisfazione».

Si tratta di un modo sbagliato di compiere le buone opere, che «da una parte rinchiude in se stessi, dall’altra porta fuori da se stessi, perché si vive proiettati verso quello che gli altri pensano di noi e ammirano in noi». Gesù come sempre invita a ritornare al «principio», quando queste pratiche erano proposte e compiute «senza ostentazione, nella certezza che il Padre celeste sa leggere e vedere anche nel segreto del nostro cuore». È proprio del nostro cuore che si tratta. La Quaresima ci invita a «convertire il nostro cuore verso gli orizzonti della Grazia», convertendo l’apparente tristezza delle rinunce in gioia. In effetti, «in genere, nell’opinione comune, questo tempo rischia di essere connotato dalla tristezza, dal grigiore della vita», mentre in realtà la Quaresima «è dono prezioso di Dio, è tempo forte e denso di significati nel cammino della Chiesa, è l’itinerario verso la Pasqua del Signore».

Alla fine, la parola chiave della Quaresima è «conversione». Non «una conversione superficiale e transitoria», ma «un itinerario spirituale che riguarda in profondità gli atteggiamenti della coscienza e suppone un sincero proposito di ravvedimento». Il Papa ha invitato, come spesso fa, a rileggere sul punto il Catechismo della Chiesa Cattolica, che così insegna al n. 1428: « «L'appello di Cristo alla conversione continua a risuonare nella vita dei cristiani. […] è un impegno continuo per tutta la Chiesa che “comprende nel suo seno i peccatori” e che, “santa insieme e sempre bisognosa di purificazione, incessantemente si applica alla penitenza e al suo rinnovamento”. Questo sforzo di conversione non è soltanto un'opera umana. È il dinamismo del “cuore contrito” (Sal 51,19), attratto e mosso dalla grazia a rispondere all'amore misericordioso di Dio che ci ha amati per primo» (n. 1428).

Qualche volta la conversione ci sembra impossibile, ma tutto è possibile alla misericordia di Dio e «tutti possono aprirsi all’azione di Dio e al suo amore». «La sua è una misericordia rigeneratrice, che crea in noi un cuore puro, rinnova nell'intimo uno spirito fermo, restituendoci la gioia della salvezza». La Quaresima è quindi il tempo in cui «sperimentare in modo efficace l'amore misericordioso di Dio», «consapevoli sempre di non poter realizzare la nostra conversione da soli, con le nostre sole forze, perché è Dio che ci converte». È anche vero, ha notato il Papa, che il contesto oggi non aiuta alla conversione. Di qui, però, la necessità della nostra testimonianza. «Con la nostra testimonianza evangelica, noi cristiani dobbiamo essere un messaggio vivente, anzi, in molti casi siamo l’unico Vangelo che gli uomini di oggi leggono ancora». Il mondo è «in difficoltà» e «ha bisogno di ritornare a Dio».