Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi

MAFIA

Tragedia Lea Garofalo e farsa dell'Antimafia

Proprio mentre si celebrano, a Milano, i funerali di Lea Garofalo, collaboratrice di giustizia e vittima della Mafia, in Parlamento si consuma una grottesca battaglia per decidere chi presiederà la Commissione Antimafia.

Politica 22_10_2013
Lea Garofalo

Il corpo di Lea Garofalo, testimone di giustizia, fu bruciato e fatto sparire nel novembre del 2009 da esponenti della 'ndrangheta. È stato ritrovato dopo alcuni anni, sepolto in un campo, in Brianza. Migliaia di persone, a Milano, nei giorni scorsi, hanno partecipato ai suoi funerali, che sua figlia - anche lei sottoposta ad un programma di protezione - ha voluto.

La storia di questa donna, che per amore di sua figlia e della libertà, decise di sottrarsi al mondo al quale apparteneva e di raccontarne le violenze e la crudeltà, viene così giustamente ricordata mentre si consuma la farsa grottesca del tentativo di costituzione della “Commissione Parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere”, la cosiddetta “Commissione Antimafia”. La Presidenza di questa Commissione costituisce un ambito traguardo per molti. Perché è una Presidenza prestigiosa - l’origine della proposta è del 1948, ripresa nel 1958 da Ferruccio Parri, che suggerì la costituzione di una commissione d’inchiesta sull'ordine pubblico in Sicilia e solo nel 1962 vi fu l’approvazione - e perché, come avviene per tutte le Presidenze di Commissioni, è uno scranno in qualche modo “consolatorio” rispetto al mancato raggiungimento di incarichi ancora più significativi.

Ebbene, sono sette mesi, dall’inizio della legislatura, che il Parlamento non indaga sul fenomeno mafioso. Non mancano i candidati, naturalmente. Manca l’accordo sul nome. A lungo, la contrapposizione è stata tra Rosy Bindi, candidata del Pd e Donato Bruno, candidato del Pdl. L’altro giorno, sembrava fatta per il capogruppo al Senato dei deputati di Scelta Civica, Lorenzo Dellai, ma poco prima della votazione, inaspettatamente, è proprio un suo collega di partito, Andrea Vecchio, imprenditore catanese anti-racket, uno che non le manda a dire, a intervenire sulla candidatura: «Il collega Lorenzo Dellai - dice Vecchio, così riferiscono i giornali - è certamente un buon amministratore, ma non ha le competenze per presiedere la Commissione antimafia e finora non è neppure membro. La sua candidatura appartiene, dunque, alle peggiori pratiche della vecchia politica. Dellai viene da Trento, che vuol dire contributi a fiumi rispetto al resto d’Italia. Di conseguenza, da quelle parti, a gestire bene la cosa pubblica ci vuole poco, soprattutto se non devi contrastare la mafia. Dellai, infatti, la mafia l’avrà vista al massimo al cinema. Credo che non si debba affidare una carica del genere per calcoli di palazzo. L’Antimafia non può essere un giochino politico». La candidatura di Dellai cade, così come cade - nello stesso giorno - la presidenza di Scelta Civica del senatore a vita, Mario Monti. Vecchio, inizia in commissione a fare propaganda per se stesso. La Bindi, stizzita, invita ad abbandonare l’aula i suoi colleghi del Pd, che vengono convocati immediatamente da Epifani, il quale fa sapere che proporrà ad oltranza il nome dell’ex vice-segretario del suo partito, cercando l’appoggio di Sel e del M5S. Con l’uscita dalla Commissione dei rappresentanti del Pd, manca il numero legale e protestano i rappresentanti del Pdl - “un atteggiamento irresponsabile e inaccettabile”, dice Brunetta - che ha peraltro un bel da fare nel mettere d’accordo “lealisti” e “alfaniani” per la vice-presidenza della Commissione.

Rispetto a questo bailamme - che forse si dipanerà oggi, con la nuova riunione della Commissione - resta sullo sfondo, ma proprio sullo sfondo, il problema della mafia, quello sintetizzato nell’ultima Relazione della Commissione Antimafia di due anni or sono: «l'attività mafiosa nelle quattro regioni di origine (Calabria, Campania, Puglia, Sicilia), è causa di un mancato sviluppo equivalente al 15-20% del PIL delle stesse regioni, nelle quali gli investimenti e le speculazioni mafiose giungono in ogni settore di attività e si confondono sempre più con l'economia legale»; circa un terzo delle imprese meridionali subisce una qualche influenza delle mafie; l’ammontare del riciclaggio concorre a «riconsiderare il trinomio mafia-affari-politica come l'espressione di un vero e proprio ‘sistema criminale’; un sistema che va oltre i confini tradizionali delle singole organizzazioni mafiose, confondendosi e amalgamandosi con la vita ordinaria dell'economia, della società e delle istituzioni».

Questo fenomeno, che è politico, culturale e quindi anche economico, non può essere risolto attraverso le beghe tra i partiti e si pone seriamente il problema dell’utilità di una Commissione che, ad essere cauti, viene costituita - se questo avverrà - sulla base di logiche di scontro e di potere, che non tengono conto né della mancata crescita né tanto meno dei morti ammazzati.