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Tra l’Inferno censurato e il Gesù ribaltato

Monsignor Lorefice recita il Rosario in santuario e cambia così la preghiera insegnata dalla Madonna ai pastorelli di Fatima: «O Gesù mio… preservaci dall’esilio eterno». Il «fuoco eterno» è poco fine... E il cardinal Ravasi, in un’intervista, ribalta la prospettiva di Dio.

Ecclesia 09_04_2020

C’è l’esilio dei Savoia e quello di Garibaldi, l’esilio di Napoleone e quello di Dante, e c’è anche «l’etterno essilio» che il Divin Poeta mise in versi nella Commedia, a detta dei critici per intendere il Limbo o anche l’Inferno. Al di là delle disquisizioni letterarie, l’esperienza insegna che l’esilio non è l’ideale, ma alla fin fine non è malaccio, anzi può essere anche “dorato”. Certamente, il primo pensiero di noi comuni mortali è che non bruci…

Ma chissà se l’arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice, avesse in mente la citazione dantesca quando sabato 4 aprile, nel Santuario della Madonna della Milicia, ha recitato l’Angelus e il Santo Rosario - iniziativa in sé lodevole - per affidare la Chiesa panormita alla Beata Vergine.

In quella circostanza monsignor Lorefice ha cambiato le parole di una più che centenaria giaculatoria, consegnata dalla Madonna ai pastorelli di Fatima e trascritta più volte nelle Memorie di suor Lucia. Questa la versione loreficiana: «O Gesù mio, perdona le nostre colpe, preservaci dall’esilio eterno […]». Censurata, quindi, la versione originale che chiede a Gesù di preservarci «dal fuoco dell’inferno». Un lapsus freudiano? Non proprio, visto che la dicitura con «l’esilio eterno» è stata declamata al termine di ogni mistero gaudioso, dunque per cinque volte.

Magari con raffinata cultura, è stato perciò inzuccherato il monito principale che la Vergine trasmise all’umanità, schiava del peccato, apparendo alla Cova da Iria. Maria Santissima insegnò quella preghiera il 13 luglio 1917, proprio dopo aver mostrato ai pastorelli il «grande mare di fuoco» in cui cadono le anime che rifiutano fino all’ultimo istante terreno la Misericordia di Dio. La visione aveva il fine di accrescere la fede e la carità dei tre (e di coloro che gli avrebbero creduto), che difatti moltiplicarono preghiere e sacrifici pur di convertire - e così salvare dalla dannazione eterna - il maggior numero possibile di peccatori, aprendo loro le porte di quel Cielo da cui proveniva la Madonna.

E prima di Lei a Fatima, è lo stesso Gesù nel Vangelo a mettere più volte in guardia, letteralmente, dal «fuoco eterno». La prossima volta si torni alle loro parole, di sicuro ne sanno più loro due.

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Il Giornale, 8 aprile, intervista al cardinale Gianfranco Ravasi. Che inizia subito con la domanda sulla «[…] Pasqua senza precedenti. Forse ancora più autentica?», chiede la giornalista. Il cardinal Ravasi, al cuore della sua risposta, spiega che «è Gesù a porre come primaria la tutela della vita, rispetto all’osservanza del rito, quando fa una deroga e decide di guarire i malati anche nel giorno di sabato».

Beh, possibilmente si sarà trattato di una risposta “a braccio”, ma l’insegnamento sull’errata concezione farisaica del sabato (che non è una “deroga” di Gesù, ma il senso di quanto già contenuto nell’AT) è l’esatto opposto rispetto all’attuale “deroga” della mancata celebrazione con popolo dell’evento centrale nella storia della Salvezza, da cui dipende tutta la nostra fede. E che si rinnova in ogni Santa Messa, espressione dell’amore infinito di Dio arrivato fino al sacrificio sulla croce. Non solo Gesù comanda «fate questo in memoria di Me», ma avverte che «se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita». Eterna. Una prospettiva ribaltata rispetto a quella suggerita da Ravasi. Perché la guarigione e la salute fisica è sì importante ma è sempre funzionale e subordinata, nella prospettiva di Dio, alla guarigione e salute dell’anima: è questa a essere «primaria».