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ORA DI DOTTRINA / 57 - IL SUPPLEMENTO

Tra la coscienza e il Papa il vero pensiero di Newman

Il rapporto tra coscienza e Papa è uno dei passaggi più bistrattati del pensiero del santo cardinale Newman. La coscienza va intesa come precetto di Dio e l'eventuale conflitto con quanto un Papa insegna in un dato momento può esistere soltanto in riferimento al Magistero della Chiesa che insegna altro. 

Catechismo 19_02_2023
Il cardinale Newman

«Sembra, dunque, che vi siano casi estremi nei quali la coscienza può entrare in conflitto con la parola del Papa e che, nonostante questa parola, debba essere seguita». Così San John H. Newman inaugura la riflessione più nota – e più bistrattata – sul rapporto tra coscienza ed autorità ecclesiastica, che porterà all’altrettanto nota e bistrattata affermazione del brindare prima alla coscienza e poi al Papa.

Il contesto imprescindibilmente necessario per comprendere la posizione di Newman è il suo insegnamento sul fondamento della coscienza nella legge divina (vedi qui). Fondamento doppio, in quanto Dio partecipa all’uomo la legge eterna (legge naturale) e gli rivela ciò che è bene e ciò che è male, ciò che giusto e ciò che è ingiusto, ciò che dev’essere seguito e ciò che dev’essere allontanato. Per il fatto che la legge divina regola la nostra vita mediante la coscienza, essa obbliga sempre, anche quando è erronea; ma con una differenza essenziale, che San Tommaso d’Aquino, nel De Veritate (q. 17, a. 4), spiega in modo articolato: la coscienza retta vincola simpliciter, absolute e in omnem eventum (semplicemente, ossia in assoluto e in ogni caso), perché coincide effettivamente con il comando divino; invece, la coscienza erronea vincola secundum quid e sub condicione (secondo un certo aspetto e in modo condizionato).

Perché questa distinzione e come coordinarla all’obbligo di compiere il bene ed evitare il male? Tommaso, nello stesso luogo, spiega che la coscienza vincola a compiere qualcosa «non per il fatto che se questa cosa viene fatta, essa è buona a causa di tale coscienza, ma per il fatto che, se [quella cosa] non viene fatta, s’incorre nel peccato». La coscienza, in altre parole, non può determinare il bene o il male di un’azione, non può definirne o mutarne la natura, ma dev’essere obbedita in quanto la coscienza mostra che una cosa è precetto di Dio (anche se, erroneamente, non lo è). Disobbedire alla coscienza significherebbe infatti disobbedire a quel Dio che tramite la coscienza ci guida. Come si può vedere, rimane fermo il principio fondamentale: la coscienza non obbliga perché mi presenta un mio parere, una cosa che mi va, che mi conviene, che pensano tutti, etc., ma perché mi presenta la voce di Dio. Devo in sostanza essere certo che quanto decido di compiere, lo compio dopo aver fatto il possibile per cercare e comprendere che cosa Dio comanda e che cosa vieta.

Inoltre, Tommaso chiarisce che l’errore della coscienza, se accade ex ignorantia facti, ossia a causa di una mancanza di adeguata conoscenza delle circostanze concrete, che non mi permette di concludere correttamente circa la natura morale di una certa azione, scusa dal peccato. Invece non scusa l’errore ex ignorantia iuris; infatti se noi ignoriamo volontariamente il precetto divino, se cioè non cerchiamo di capire se il nostro giudizio sia conforme alla legge di Dio, allora «la stessa ignoranza è peccato». Dunque, l’errore della coscienza, in questo caso, non scusa dal peccato.

Fatti questi chiarimenti, dovrebbe risultare più agile comprendere il pensiero di Newman. Cosa fare in caso di conflitto tra la coscienza e il Papa? Egli procede per gradi. Prima di tutto, occorre ricordare che la coscienza umana è fragile; essa certamente vincola, ma non per questo può vantare la prerogativa dell’infallibilità, ed ancor meno della scienza infusa. Questo significa che la coscienza ha bisogno di essere informata, purificata, corretta da Dio stesso, mediante non solo mozioni interiori, ma ordinariamente tramite la Rivelazione e gli strumenti da Lui scelti per trasmetterla e interpretarla correttamente.

Per questo Newman, nella Lettera al Duca di Norfolk può scrivere che «la Chiesa, il Papa, la gerarchia costituiscono, nella Provvidenza divina, la risposta a un urgente bisogno»: il bisogno di chiarezza, solidità, certezza, fermezza. Il Dio che parla nella Chiesa è lo stesso che parla nella coscienza; di per sé, dunque, non vi può esser alcuna opposizione assoluta tra i due. E tuttavia può capitare che la coscienza cada in errore o che chi parla a nome della Chiesa non stia parlando secondo Dio.

Il primo caso è certamente il più frequente e diffuso, come è diffuso quell’atteggiamento di rifiutare la propria sottomissione a chi comanda. A riguardo Newman è decisamente molto realistico: bisogna arrivare ad acquisire un atteggiamento che avverta come naturale «credere che il Papa abbia ragione e agire perciò in conformità». È un lungo e faticoso esercizio per mettere sotto i piedi quel «caparbio proposito di esercitare il diritto di pensare, dire e fare quello che gli pare e piace, senza preoccuparsi minimamente del vero e del falso, del giusto e dell’ingiusto, dell’obbligo stesso dell’obbedienza, qualora possibile, e di quell’amore che ci spinge a parlare come parla il proprio superiore e a stargli sempre a fianco in ogni caso». Questa è l’attitudine fondamentale da avere, un’attitudine che forgia la coscienza, riducendo così alla rarità «i conflitti tra l’autorità del pontefice e l’autorità della coscienza».

E tuttavia ridurre non significa azzerare: è possibile che tra il Papa e la coscienza si dia un conflitto. Se è la coscienza ad essere in errore, vale il principio che la coscienza obbliga. Newman cita un testo molto chiaro del Tractatus de Concilio del Cardinale Domenico Giacobazzi de’ Fanceschi (1444-1527), grande difensore dei diritti del Papa in occasione del conciliabolo di Pisa del 1511. Il Cardinal Giacobazzi ammette che vi possano essere ordini del Papa che debbono essere disattesi, in quanto si ha coscienza «che tale ordine è un peccato e un’ingiustizia». In questo caso si ha il dovere di cercare di superare questa prima impressione, ma se nonostante tutto si continuasse ad aver coscienza che l’ordine non può essere eseguito, «in tal caso è suo dovere seguire la propria coscienza e sopportare pazientemente qualora il papa volesse punirlo». E questo vale anche nel caso la coscienza sia erronea e a fortiori se la coscienza è retta. È l’insegnamento che abbiamo trovato in San Tommaso.

Ma può anche accadere che sia il Papa a cadere in errore, ad insegnare o imporre cose che non possono essere eseguite, non perché in contrasto con il mio modo di pensare, ma perché in contrasto con quanto Dio insegna e ordina “altrove”. Vediamo altri due testi citati nella Lettera, molto chiari sul punto. Il primo è tratto dalla Summa de Ecclesia del Cardinale spagnolo Juan de Torquemada (1388-1468), il più importante difensore dell’autorità pontificia del XV secolo. Torquemada spiega che il Papa «può talvolta errare e imporre cose che non vanno eseguite». Poiché l’obbedienza assoluta si deve solo a Dio, come insegna il famoso passo degli Atti degli Apostoli (cf. 5, 29), «se il papa ordinasse qualcosa contro la Sacra Scrittura, gli articoli di fede, la verità dei sacramenti, i comandamenti della legge naturale o divina, egli non deve essere obbedito e non bisogna curarsi dei suoi ordini». Più letteralmente, Torquemada dice che un tale ordine del papa  est despiciendus, dev’essere cioè disprezzato.

La seconda citazione è tratta dal  De Romano Pontifice del più conosciuto cardinale San Roberto Bellarmino (1542-1621), il quale riconosce la legittimità di resistere agli ordini del Papa «se assale le anime o turba lo Stato e tanto più se tenta di distruggere la Chiesa. È lecito resistergli, affermo, col non fare quello che comanda e impedendo l’esecuzione dei suoi progetti». Newman precisa che questo non significa cadere nella «dottrina protestante del giudizio individuale». Non si tratta infatti di farsi guidare dal proprio giudizio, ma di constatare, in questo caso, un conflitto tra quanto Dio domanda, e che la mia coscienza ha recepito proprio dal Magistero della Chiesa, nel suo ufficio ordinario o straordinario di insegnare la Rivelazione, e quanto questo Papa in questo momento insegna o ordina.