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GUERRA

Tra Israele e Hamas, il diritto di non essere arruolati

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Sabato sfila a Roma la sinistra per Gaza con tutto il suo carico di odio anti-israeliano e anti-ebraico; ma non si può condividere neanche la pretesa che ogni critica al governo israeliano sia antisemitismo, come vorrebbero i promotori dell'appello pro-Israele. Perseguire la pace richiede ben altro. 

Editoriali 06_06_2025 English

«Parlano di pace, ma nel cuore hanno la guerra», dice il salmista. Ed è un giudizio che viene spontaneo alla vigilia di un altro fine settimana di manifestazioni pubbliche pro-Gaza ma anche di iniziative pro-Israele.

La radicalizzazione del conflitto israelo-palestinese non riguarda solo il Medio Oriente ma anche noi, l’Occidente, l’Europa, e nello specifico l’Italia. Sabato la sinistra sfila a Roma contro la distruzione di Gaza che l’esercito israeliano sta perpetrando ed è fin troppo scontato che assisteremo all’ennesima manifestazione di odio anti-israeliano e anche, più semplicemente, anti-ebraico.

Patetici i tentativi di camuffare il vero volto della manifestazione con la richiesta della liberazione degli ostaggi israeliani (vivi e morti) ancora nelle mani di Hamas: nessuno di quelli che saranno in piazza a Roma è stato visto manifestare all’indomani del massacro del 7 ottobre 2023, quando i terroristi palestinesi passarono il confine e massacrarono circa 1200 persone e ne sequestrarono 250. Anzi, in molti hanno trovato allora la giustificazione nei soprusi compiuti negli anni da Israele.
C’è poco da illudersi: per costoro la pace è quella che intende Hamas e le potenze che lo sostengono: la cancellazione di Israele dalle mappe geografiche e l’eliminazione degli ebrei. Prova ne è l’aumento esponenziale delle violenze antisemite un po’ ovunque in Occidente.

A rendere tutto ancora più preoccupante è che questa posizione non riguarda soltanto il giudizio sul conflitto mediorientale, ma va di pari passo con la complicità – se non proprio alleanza – con le organizzazioni europee legate ai Fratelli Musulmani, stessa famiglia a cui appartiene Hamas. Con il risultato che questo presunto “pacifismo” sta ponendo le basi per una guerra di religione anche qui in Europa. Guardare a quanto sta già avvenendo in Francia, Regno Unito e Germania dovrebbe pure insegnare qualcosa.

Dall’altra parte risponde l’iniziativa del giornale Il Riformista con un appello “Dalla parte di Israele” che, nel denunciare giustamente il significato del massacro del 7 ottobre e la pericolosità di Hamas, ha il grave torto però di far passare per antisemitismo ogni critica all’operato del governo Netanyahu, che persegue ormai esplicitamente l’obiettivo di occupare completamente Gaza e spostare altrove gli oltre due milioni di abitanti, oltre alla colonizzazione della Cisgiordania.

Critiche al governo di Israele e condanna dei massacri a Gaza uguale ad antisemitismo è una equivalenza che va respinta con nettezza. Se è vera per molti di quelli che saranno in piazza sabato a Roma è palesemente falsa per tanti altri che, pur difendendo il diritto all’esistenza e alla sicurezza di Israele, non possono chiudere gli occhi sui metodi brutali dell’esercito israeliano, sul progetto politico di deportazione di una intera popolazione, sulla fame usata come arma di guerra.
Il fatto che Hamas usi i civili come scudi umani e che punti a massimizzare le vittime civili palestinesi da usare come propaganda non giustifica comunque i bombardamenti e gli attacchi indiscriminati che non distinguono più tra obiettivi civili e militari. E si potrà discutere sul reale bilancio delle vittime (la cui unica fonte è il governo di Hamas) ma non c’è dubbio che sia comunque molto alto, ed è anche il governo israeliano che impedisce a osservatori indipendenti e giornalisti l’accesso a Gaza per verificare quanto sta accadendo.

Scrivemmo già nel novembre 2023, quando era chiaro l’approccio di Netanyahu alla guerra contro Hamas, e citando il Compendio di Dottrina sociale della Chiesa, che «se “esiste un diritto a difendersi dal terrorismo”, questo “non può tuttavia essere esercitato nel vuoto di regole morali e giuridiche, poiché la lotta contro i terroristi va condotta nel rispetto dei diritti dell’uomo e dei princìpi di uno Stato di diritto”. Vale a dire che, malgrado la tattica dei militanti di Hamas che si fanno scudo dei civili renda difficili operazioni militari “pulite”, non possono essere accettabili bombardamenti indiscriminati che radono al suolo le città, provocano un numero indefinito di morti e centinaia di migliaia di nuovi profughi, come sta avvenendo».

Oggi, dopo 19 mesi le cose sono drammaticamente peggiorate e, se possibile, sono ancora più ingiustificabili se teniamo conto che l’obiettivo politico-militare di eliminare Hamas non ha alcuna possibilità di essere raggiunto.

Bisogna ribadire con chiarezza che il fine non giustifica i mezzi, che tra uso della forza e violenza c’è una enorme differenza, e che la sicurezza di un popolo non si ottiene seminando odio.

Purtroppo quel desiderio reciproco di annientamento che sfida la logica, denunciato già nel novembre 2023 dal patriarca di Gerusalemme dei Latini, cardinale Pierbattista Pizzaballa, si è impadronito dei cuori di tanti anche qui da noi. E questo rende tutto ancora più difficile: per il Medio Oriente come per l’Europa.