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A 50 anni dalla morte

Tolkien, la mostra sullo scrittore che viveva di fede

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Una mostra promossa dal Ministero della Cultura illustra il percorso umano, il lavoro accademico e la potenza narrativa dell’autore de Il Signore degli Anelli, la cui giornata-tipo iniziava con la Messa al mattino.

Cultura 28_12_2023

«Il mondo è davvero pieno di pericoli, e vi sono molti posti oscuri; ma si trovano ancora delle cose belle, e nonostante che l’amore sia ovunque mescolato al dolore, esso cresce forse più forte», scrive John Ronald Reuel Tolkien (3 gennaio 1892 – 2 settembre 1973). Al genio creativo e allo spessore intellettuale di questo grande protagonista della cultura del Novecento, a cinquant’anni dalla morte, il Ministero della Cultura dedica una splendida mostra itinerante, visitabile presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma fino all’11 febbraio 2024 e, a seguire, al Palazzo Reale di Napoli dal 15 marzo al 30 giugno.

Curata da Oronzo Cilli e Alessandro Nicosia, la mostra TOLKIEN. Uomo, Professore, Autore racconta il percorso umano, il lavoro accademico di linguista e filologo, la potenza narrativa e la forza poetica di uno dei maggiori autori del secolo scorso. Il Signore degli Anelli è infatti uno dei libri più noti e letti al mondo. Tale esposizione si snoda attraverso manoscritti autografi, lettere, fotografie, opere d’arte e incisioni ispirate alle visioni letterarie del professore di Oxford e agli adattamenti cinematografici vecchi e nuovi, dal film d’animazione di Ralph Bakshi alla trilogia di Peter Jackson de Il Signore degli Anelli.

Le prime sale raccontano l’uomo, a partire dalle vicende tragiche che ne segnano l’infanzia. John Ronald Reuel rimane orfano di padre nel 1896 a quattro anni. Nel 1900, dopo la sua conversione dall’anglicanesimo al cattolicesimo, la madre Mabel perde ogni sostegno economico. «La mia cara madre è stata veramente una martire; si è ammazzata di fatica e stenti per assicurare che i suoi figli mantenessero la fede», testimonia il figlio. Nel 1904, a causa di un coma diabetico, Mabel muore quando Ronald ha solo 12 anni.

Affidato a un figlio spirituale di san John Henry Newman, padre Francis Morgan, Tolkien confessa che «da lui ho imparato la carità e la capacità di perdonare». Tolkien ha modo di beneficiare del suo ruolo di tutore non solo spirituale, ma anche materiale. Basti pensare che alla sua morte lascia in eredità a Ronald e al fratello Arthur mille sterline, come attesta la ricevuta di un assegno in mostra. Nel 1908 Tolkien conosce Edith Bratt, anche lei orfana, la quale viene ad abitare nel suo stesso stabile. È un amore a prima vista, che viene all’inizio ostacolato proprio da padre Morgan, in quanto Edith è più grande di lui e protestante, per cui egli presume che tale relazione amorosa possa pregiudicare a Ronald il conseguimento della tanto agognata borsa di studio per Oxford. Tuttavia, quando i due si incontrano nuovamente rinnovano la loro antica promessa. Edith si converte al cattolicesimo e nel 1916 si sposano poco prima che Ronald parta per il fronte, dove sperimenta l’orrore della guerra di trincea.

Degli anni da accademico a Oxford emerge la sua intensa attività di filologo e linguista di grande ingegno. Collabora al monumentale Oxford English Dictonary; si misura col Beowulf, il più lungo poema in anglosassone giunto fino a noi, che ammette essere «una delle mie fonti più apprezzate». Mediante un approccio storico-filologico che privilegia l’analisi comparativa, convinto che le lingue abbiano bisogno di vedere ricostruita la propria genealogia, Tolkien va alla ricerca delle radici delle parole nel confronto con le diverse lingue, divenendo uno dei massimi esperti della letteratura nordica medievale. Tra l’altro, nel diario dei suoi viaggi in Italia, prima con la figlia Priscilla a Venezia e Assisi nel 1955, poi in crociera con la moglie nel 1966, confessa l’amore per la lingua italiana e il rammarico di non riuscire a parlarla adeguatamente.

La mostra dedica spazio anche all’amicizia con i membri del circolo degli Inklings, e in modo speciale con C. S. Lewis, che egli conosce l’11 maggio 1926. Sono infatti proprio le chiacchierate e le passeggiate al Magdalen College a contribuire alla conversione al cristianesimo (ma non al cattolicesimo) dell’autore de Le cronache di Narnia. Ragionando insieme sulla natura delle fiabe e del mito, Ronald lo convince del fatto che nel mito gli uomini esprimono verità universali, per cui Clive Staples arriva a condividere anche la riflessione di Tolkien secondo cui «la creatività umana è un grande dono di Dio, in cui si riflette e si propaga nella Storia la sua stessa potenza creatrice».

È la viva voce di Tolkien in video a raccontare la genesi de Lo Hobbit, ossia del celebre incipit («In un buco della terra viveva uno hobbit») scritto su una pagina bianca durante una noiosa correzione di compiti dei suoi studenti in una calda giornata d’estate. Dato il successo del romanzo pubblicato nel 1937, viene incoraggiato dall’editore a coniugare «arte, astuzia e materiale sufficiente per una narrazione lunga» che convogli l’immaginazione popolare in una storia mitica. Dopo una lunga e faticosa gestazione, nel 1954 Il Signore degli Anelli vede la luce. Ed è evidentemente molto di più di un’avventura fantasy, ossia un’epopea profondamente cristiana.

In effetti, ciò che unifica l’uomo, il professore e l’autore è la sua granitica fede cattolica. L’esposizione ricorda infatti che la giornata-tipo di Tolkien inizia con la Messa mattutina, cui partecipa prima della colazione con grande assiduità. Studioso instancabile, adempie con profonda dedizione i suoi doveri di marito e padre; si trattiene anche fino a tarda notte nel suo studio, raccontando volentieri le sue storie ai quattro figli, il suo primo pubblico, testimoniando un eroismo nel quotidiano del tutto assimilabile a quello di hobbit, nani, elfi e uomini che popolano il suo immaginario.



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