Terapie di conversione, sarà reato anche un consiglio
La Francia mette al bando le cosiddette terapie di conversione dell'identità sessuale. Fino a 3 anni di galera e 45000 euro di ammenda per chi consiglia un amico, un figlio, un fedele omosessaule o transessuale. Una norma pericolosa per la sua genericità e inutiliutà che costringerà preofessionisti e famigliari a tenere la bocca chiusa. Il terrore giacobino è tornato.
L’Assemblea nazionale francese, il 25 gennaio scorso, ha approvato con 142 voti a favore e zero contrari una legge, proposta dalla deputata Laurence Vanceunebrock di En Marche, che punisce con due anni di reclusione e con 30.000 euro di ammenda "le pratiche, i comportamenti o le osservazioni ripetute volte a modificare o reprimere l'orientamento sessuale o l'identità di genere, vera o presunta, di una persona e che comportino un'alterazione della sua salute fisica o mentale”. Il testo di legge aggiunge che “il reato […] non si configura quando le ripetute osservazioni invitino solo alla prudenza e alla riflessione, soprattutto tenendo conto della sua giovane età, della persona che si interroga sulla propria identità di genere e che sta valutando un percorso medico finalizzato al cambio di sesso”.
Si arriva a 45.000 euro di ammenda e tre anni di reclusione se, tra gli altri casi, le pratiche sono rivolte verso un minore o un incapace o una persona semplicemente “vulnerabile”. Pene aggiuntive sono la soppressione totale o parziale della patria potestà e il divieto di praticare la professione medica. Il presidente Emmanuel Macron ha twittato: "Essere se stessi non è un crimine, non c’è niente da curare”. Legislazioni simili sono state approvate in Canada, Brasile, Ecuador, Malta, Albania e Germania.
Una prima osservazione riguardo a questa legge è la sua inutilità giuridica dato che possibili coartazioni della libertà personale in queste materie erano già punite tramite i reati di molestie morali, violenza fisica, violenza privata, pratica illegale della medicina, etc. Ma per Elisabeth Moreno, Ministro Delegato per la Parità tra donne e uomini, il varo di questa legge manderà "un chiaro segnale" affinché le vittime di queste "pratiche barbare" abbiano il coraggio di "varcare più facilmente la porta di un commissariato di polizia". Non si comprende però il motivo per cui una persona che ha subìto una violenza psicologica abbia meno coraggio di un’altra che abbia subito illecite “terapie di conversione”.
Analizziamo ora gli aspetti salienti della legge che aggiunge un nuovo reato al Codice penale. In primis la legge non rispetta il principio di tassatività della norma penale, corollario del principio di legalità, che prevede che la norma penale individui con precisione e chiarezza quali condotte siano illegittime e quindi quali siano legittime, altrimenti il cittadino non potrà sapere previamente, ossia prima di finire davanti ad un giudice e ascoltare la sua sentenza, se quella particolare condotta che vuole assumere può portarlo in carcere o meno. Ora nella legge francese si parla di “pratiche, comportamenti o osservazioni ripetute volte a modificare o reprimere l'orientamento sessuale o l'identità di genere”.
I termini “pratiche, comportamenti o osservazioni” sono generici, così generici che sono onnicomprensivi, abbracciano cioè un’infinità di condotte moralmente lecite che vanno dalle semplici chiacchierate reiterate nel tempo alle osservazioni di un genitore che non condivide l’orientamento sessuale del figlio, dai ripetuti consigli di un confessore a quelli dati da un amico. Naturalmente questa legge chiude la bocca a psicologi, psicoterapeuti e psichiatri. I media continuano a berciare che la legge finalmente ha vietato gli elettroshock a danno dei gay e trans, ma la norma non si riferisce tanto a queste pratiche, perché già vietate dalla precedente normativa penale, bensì a tutta una seria di comportamenti assolutamente innocui. Ciò nonostante la gente pensa che la legge vieti solo terapie di conversione brutali perpetrate contro la volontà dell’assistito. L’effetto massmediatico, dunque, è stato quello che il popolino ha sposato appieno la ratio di questa norma che nel percepito collettivo finalmente ha posto fine a pratiche cliniche decisamente barbare.
La legge prevede poi che queste pratiche, comportamenti ed osservazioni, che devono essere ripetute nel tempo (ma la durata nel tempo e la frequenza non sono indicate e quindi, ad esempio, bastano tre osservazioni improprie nell’arco di 5 anni per finire dietro le sbarre), devono portare ad un’alterazione della salute psicofisica. Condizione facilissima da verificarsi: per far scattare le manette basterà che il soggetto interessato denunci un mero fastidio provocato da tali commenti.
C’è poi da notare che il reato si configura stante anche il consenso della persona interessata. Ossia si punisce il fatto in quanto tale senza la presenza di condizioni particolari riferite all’assenso o al dissenso della persona omosessuale o transessuale. Dunque se un persona omosessuale si reca dallo psicoterapeuta perché vive un’omosessualità egodistonica – ossia la persona stessa rifiuta la propria omosessualità perché sente che le provoca infelicità – ecco che si realizza la condotta criminale. Dunque l’orientamento sessuale e la cosiddetta identità di genere non possono mai essere oggetto di osservazioni, consigli, pareri, indicazioni, anche se il diretto interessato desidera essere consigliato o indirizzato. La legge condanna all’infelicità coatta moltissime persone omosessuali e transessuali.
Il concetto è rafforzato laddove la legge specifica che “l’identità di genere”, oggetto di riserve, può essere vera o presunta. Ciò a dire che anche nel caso in cui un uomo che si sente donna sa che in realtà è un uomo e vuole chiedere aiuto per uscire da questo conflitto interiore al fine di affermarsi come maschio, ecco, anche in questo caso, la persona non potrà rivolgersi agli specialisti e nemmeno cercare conforto presso amici o familiari perché qualsiasi consiglio volto a supportarlo nelle decisione di consolidare la sua corretta percezione di appartenenza al proprio sesso biologico configurerà reato.
Passiamo al commento di questo comma: “Il reato previsto dal primo comma non si configura quando le ripetute osservazioni invitino solo alla prudenza e alla riflessione, soprattutto tenendo conto della sua giovane età, della persona che si interroga sulla propria identità di genere e che sta valutando un percorso medico finalizzato al cambio di sesso”. In primo luogo questa esimente riguarda solo la cosiddetta identità di genere, non l’orientamento sessuale.
Dunque ripetute osservazioni volte solo ad invitare la persona a riflettere bene sulla sua omosessualità configurano reato. In secondo luogo è vero che l’eccezione non punisce le osservazioni, ma continua a punire le pratiche e i comportamenti. Facile per un giudice qualificare come “pratiche” ciò che per noi sono osservazioni. In terzo luogo anche in questo caso è impossibile comprendere quando un invito alla riflessione è reato e quando non lo è perché persegue il solo “scopo di invitare la persona alla prudenza e alla riflessione”. Esemplifichiamo: il dottor Tizio in più occasioni suggerisce a Caio che vuole sottoporsi all’operazione di “cambiamento” di sesso di rifletterci bene perché l’operazione è irreversibile, perché i trattamenti ormonali comportano dei rischi, perché non potrà più avere figli. Caio diventa ansioso e denuncia il medico. Reato oppure no? Sarà il giudice a deciderlo. Nell’incertezza di finire in galera allora è meglio per tutti, professionisti e non, tenere la bocca chiusa. Il terrore giacobino è tornato.
Gravissimo poi che la legge costringa al silenzio anche i genitori: per loro le pene sono persino aumentate e, come abbiamo visto, possono arrivare alla soppressione della patria potestà. Papà e mamma quindi non potranno più parlare di certe cose con i propri figli, non li potranno più aiutare consigliandoli di andare da uno specialista, anche nel caso in cui i figli vorranno parlare con i genitori ed essere aiutati. L’unica soluzione è farlo senza che nessuno lo sappia. Incremento di pena anche “quando un minore era presente al momento dei fatti e vi assisteva”: dunque un genitore potrebbe finire in carcere con pena aumentata anche nel caso in cui lo stesso stava consigliando al figlio maggiorenne di pensarci bene prima di “cambiare” sesso e il fratello minore, che aveva 17 anni, era semplicemente presente alla chiacchierata tra padre e figlio maggiore e ascoltava.
Le pene sono incrementate anche nei confronti di qualsiasi ascendente (nonni), dei rappresentati legali e di tutti coloro che hanno un “autorità de jure o de facto sulla vittima”, dunque insegnanti, educatori, sacerdoti, allenatori, datori di lavoro. Pene più severe anche per coloro che commettono questo reato a danno di persone che vivono una condizione di “vulnerabilità o dipendenza, per età, malattia, infermità, deficienza fisica o stato mentale, a motivo dello stato di gravidanza o per la precarietà della propria situazione economica o sociale”. Quindi potenzialmente tutti. Se la persona a cui rivolgiamo ogni tanto un paterno consiglio su questi temi è disoccupata o va male a scuola e noi ne siamo a conoscenza, ecco che tale persona potrebbe rientrare a pieno diritto nella categoria di persona economicamente o socialmente vulnerabile e noi potremmo finire dietro le sbarre per 3 anni. Da noi tale pena può essere comminata a chi si è macchiato del reato di istigazione a delinquere. Fate un po’ voi i conti.