Tavares lascia macerie, ma Landini se la prende solo col governo
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Il licenziamento milionario di Tavares e la strategia di Landini che se la prende col Governo mentre gli impianti sono fermi, sono due facce della stessa medaglia. Riflesse dal silenzio dei quotidiani Repubblica e Stampa, in mano a Gedi e teneri col leader Cgil.
Il colosso automobilistico Stellantis sta vivendo uno dei momenti più bui della sua breve storia, culminato con il licenziamento del suo Ceo, Carlos Tavares. A fronte di dati disastrosi, il managerm dovrebbe ricevere una buonuscita di ben 100 milioni di euro, una cifra che stride con i risultati che il gruppo ha portato a casa negli ultimi mesi. È vero che gli azionisti hanno incassato 23 miliardi di dividendi in quattro anni, quindi quella buonuscita è coerente con i risultati. Il discorso, però, è più generale e riguarda la progressiva finanziarizzazione dell’economia, cioè il crescente predominio della finanza sull’industria, che ha finito per impoverire il tessuto sociale e per generare nuovi squilibri nel mercato del lavoro.
Quanto a Stellantis, a novembre 2024 ha registrato un calo drammatico delle immatricolazioni: appena 30.893 unità, con una riduzione del 24,87% rispetto allo stesso mese del 2023. La quota di mercato è precipitata al 24,86%, un crollo rispetto al 29,51% dell'anno precedente. Numeri che certificano una crisi profonda, in cui a soffrire maggiormente sono i marchi italiani, ormai relegati a un ruolo marginale.
Lancia, un tempo simbolo dell’eccellenza automobilistica italiana, ha subito un crollo di quasi l'80% delle vendite. Fiat non è da meno, con una contrazione del 41,74%, avendo piazzato appena 8.794 unità rispetto alle oltre 15.000 dello scorso anno. Alfa Romeo, nonostante gli sforzi per rilanciare il marchio con nuovi modelli, non è riuscita a imporsi: la Tonale, prodotta a Pomigliano, non raggiunge nemmeno il centinaio di unità al giorno, ben lontano dagli obiettivi dichiarati.
La crisi si riflette chiaramente negli stabilimenti italiani, ormai desertificati. Mirafiori non è mai ripartito davvero dopo le ferie estive, con volumi produttivi che rischiano di chiudere l'anno sotto le 20.000 unità, contro le quasi 86.000 del 2023. Anche Melfi, in Basilicata, un tempo fiore all’occhiello dell’industria automobilistica italiana, ha dimezzato la produzione, costringendo migliaia di operai alla cassa integrazione.
A Pomigliano, la situazione è drammatica: la produzione della Panda è stata sospesa per numerosi giorni a novembre, e le previsioni per il futuro non sono incoraggianti. Intanto, molti modelli italiani vengono delocalizzati: la Fiat Panda elettrica è prodotta in Serbia, la nuova Alfa Junior in Polonia, e la Fiat Topolino, nonostante il tricolore italiano, viene assemblata in Marocco.
Nemmeno i marchi di lusso come Maserati sono immuni alla crisi. Il glorioso marchio del Tridente, che celebra quest’anno i suoi 110 anni, ha visto le vendite crollare del 60% rispetto al 2023. Gli stabilimenti di Modena e Mirafiori sono quasi fermi, con i lavoratori che ormai lavorano in media cinque giorni al mese grazie ai contratti di solidarietà.
La transizione verso l’elettrico, pilastro della strategia di Stellantis, sembra destinata al fallimento. I modelli elettrici prodotti in Italia, come la Fiat 500e, non incontrano il favore del mercato. Gli impianti sono fermi, i volumi ridicoli, e il futuro della mobilità sostenibile appare poco promettente, almeno per il gruppo italo-franco-statunitense.
In questo scenario desolante colpisce il silenzio dei principali sindacati. Maurizio Landini, segretario generale della CGIL, ha portato 500.000 persone in piazza venerdì 29 novembre contro il governo, indetto uno sciopero generale e promosso numerose proteste negli ultimi dieci anni contro le politiche del governo Meloni. Eppure, mai una parola è stata spesa contro Stellantis, nonostante la crisi profonda che colpisce lavoratori e stabilimenti italiani. Non ha niente da dire Landini sulla stratosferica buonuscita di Tavares e sulla sua scarsa sensibilità dei vertici di Stellantis nei confronti dei lavoratori?
Un silenzio che molti osservatori ritengono significativo. Il gruppo editoriale Gedi, proprietario di testate come La Repubblica e La Stampa, garantisce a Landini ampia visibilità mediatica e cavalca tutte le sue battaglie antigovernative, anche l’ultima, chiaramente definita dall’interessato “rivolta sociale”. Questa dinamica solleva interrogativi sulla reale indipendenza delle critiche sindacali e sul perché Stellantis, nonostante il suo ruolo centrale nella crisi industriale italiana, venga spesso lasciata ai margini del dibattito pubblico, senza che Cgil e Uil si lamentino minimamente della disinvoltura con cui quel gruppo automobilistico smantella stabilimenti, lascia a casa migliaia di lavoratori e delocalizza le sue attività.
La crisi di Stellantis non è solo industriale, ma sociale e politica. Il declino dei marchi italiani, la desertificazione degli stabilimenti e l’assenza di una visione chiara per il futuro dell’automobile nel nostro Paese sono segnali preoccupanti. A ciò si aggiunge l’imbarazzante silenzio di chi dovrebbe rappresentare i lavoratori e sollevare questioni cruciali per il sistema produttivo italiano. Stellantis rappresenta oggi una ferita aperta per l’Italia, e chi ha il potere di agire o di parlare dovrebbe finalmente prendere posizione, senza lasciare il cerino in mano a Giorgia Meloni.