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PORTOGALLO

Tamponi "fake", la sentenza che può ribaltare i lockdown

La sentenza portoghese sull'inaffidabilità dei test RT-PCR per stabilire positività e contagiosità apre all'inattendibilità dell'equazione tampone=quarantena. È passata inosservata in Italia, ma potrebbe avere un effetto domino: una volta rigettato l’automatismo, a catena dovrebbero saltare anche le norme relative al lockdown.

Attualità 24_11_2020

E’ passata pressoché inosservata sulla stampa italiana, ma la sentenza della Corte d’Appello del Portogallo dell’11 novembre scorso è una vera bomba.

L’antefatto. Quattro persone di nazionalità tedesca giungono sull’Isola di São Miguel, appartenente alla Regione autonoma delle Azzorre; il tampone effettuato tre giorni prima del loro arrivo dava per tutti esito negativo; ma dopo qualche tempo di soggiorno sull’isola, i quattro turisti decidono di ripetere il test e questa volta uno di loro viene trovato positivo. Scatta così la quarantena di quattordici giorni per tutti e quattro; trascorso il periodo di isolamento, la stessa persona viene nuovamente trovata positiva. L’Autorità sanitaria delle Azzorre decide una nuova quarantena per il positivo, ma anche per gli altri tre, che pure erano stati collocati in stanze separate.

Il Tribunal de Relação di Lisbona, confermando la decisione del tribunale di primo grado, dispone l’immediata liberazione dei quattro cittadini tedeschi, e tira le orecchie all’Autorità sanitaria locale, mettendo anzitutto in chiaro che essa non è autorizzata a dichiarare una persona malata e pericolosa per la salute pubblica: «Nessuno può essere dichiarato malato o pericoloso per la salute per decreto o per legge, anche come conseguenza amministrativa automatica del risultato di un esame di laboratorio, qualunque sia la sua natura»; la competenza spetta esclusivamente al medico.

Dunque, il Tribunale di Lisbona rigetta l’automatismo “test positivo – obbligo di quarantena” disposto dell’Autorità sanitaria locale e precisa ulteriormente che «se effettuato senza previa osservazione medica del paziente, senza il coinvolgimento di un medico certificato dall’Ordine dei Medici, chiamato a valutare i sintomi e richiedere i test o esami ritenuti necessari, qualsiasi atto di diagnosi, o qualsiasi atto di vigilanza sulla salute pubblica finisce col violare una serie di leggi e regolamenti», fino a configurare «un crimine di esercizio illecito di professione nel caso in cui detti atti siano eseguiti o dettati da qualcuno privo della capacità di farlo, cioè da qualcuno che non è un medico registrato presso l’Associazione Medica».

C’è un secondo aspetto, ancora più esplosivo, di questa sentenza, ossia l’inaffidabilità dei test RT-PCR per stabilire positività e contagiosità. Ne avevamo parlato qualche giorno fa (vedi qui), mettendo in rilievo che lo stesso Istituto Superiore di Sanità italiano aveva effettivamente dichiarato che questi test danno un’elevata percentuale di falsi positivi.

Il Tribunale portoghese si è ora avvalso di due importanti studi: il primo, pubblicato lo scorso 28 settembre dalla Oxford Academic, ha permesso di affermare che «la possibile affidabilità dei test di PCR eseguiti, dipende fin dall’inizio dalla soglia dei cicli di amplificazione che contengono, per cui fino ad un limite di 25 cicli, l’affidabilità del test è di circa il 70%; se vengono eseguiti 30 cicli, il livello di affidabilità scende al 20%; se vengono eseguiti 35 cicli, il livello di affidabilità è del 3%». Questo significa che a 30 cicli abbiamo fino all’80% di falsi positivi; a 35 cicli, il 97 %, e oltre il 35 cicli, praticamente il 100%. L’istogramma che potete vedere qui, mostra chiaramente che quanto più aumentano i numeri di cicli (asse delle ascisse) tanto più diminuiscono i veri positivi (colonne color bordeaux), mentre invece aumentano i negativi in coltura (colonne grigio chiaro), ossia i falsi positivi. La linea spezzata nera dimostra la diminuzione dell’attendibilità del tampone, con l’aumentare dei cicli di PCR, con un evidente crollo dopo i 25 cicli.

Ora, quanti sono i cicli realmente effettuati? Quasi nessun laboratorio lo dichiara. Ma in base alla tabella cui avevamo già fatto riferimento nel precedente articolo, la media dei cicli effettuati è superiore a 35, il che significa la quasi totalità di falsi.

Il secondo studio riportato nella sentenza è stato pubblicato il 29 settembre su The Lancet. Anche in questo caso si parla dei numerosi fattori che possono portare ad esiti falsati: da vari tipi di contaminazioni, a cross-reattività con altri virus o materiale genetico. Sulla base di questo studio, la sentenza della Corte d’Appello fa presente che «qualsiasi test diagnostico deve essere interpretato nel contesto dell’effettiva probabilità di malattia».
Detto in altre parole, il test da solo non può bastare, soprattutto se ci si trova in presenza di persone asintomatiche. Secondo una conclusione di questo studio, riportato testualmente nella sentenza, «non esistono dati scientifici che confermino che la rilevazione da parte della RT-PCR di bassi livelli di RNA virale corrispondano ad infettività, a meno che frammenti di virus infettante siano stati confermati dai metodi di coltura in laboratorio». Dunque, il metodo RT-PCR, spinto all’estremo, non ha solo il problema dell’enormità di falsi positivi, ma ha anche un limite intrinseco e cioè l’impossibilità di stabilire se i frammenti di virus individuato hanno infettato l’organismo e se, a loro volta, sono in grado di infettare.

La sentenza dunque rilascia i quattro “ostaggi” proprio perché, ad oggi, non è possibile affermare con buona probabilità né che una persona abbia effettivamente inoculato il SARS-COV-2, né che tale persona possa essere effettivamente in grado di infettare. La restrizione della libertà è un provvedimento talmente grave da dover poggiare su prove effettive e non su semplici supposizioni.

Abbiamo chiesto all’avvocato Edoardo Polacco, in prima linea per la difesa delle libertà costituzionali in questo periodo di emergenza democratica, un breve commento alla sentenza. L’Avvocato ha voluto precisare che essa «fa perno sul fatto che i principi costituzionali europei inviolabili non consentono una limitazione delle libertà personali in base a quanto viene dettato da un decreto o da un’ordinanza. Tutto dev’essere preventivamente basato non su accordi, ma su precise statuizioni scientifiche, le quali devono essere verificate da un medico». La prassi attuale è invece quella di «accordi programmatici, come, per esempio, l’aver deciso, da aprile, che sia sufficiente la positività ad un solo gene del SARS-COV-2 per dichiarare positivo l’esito del tampone. E’ stato un accordo interregionale... Questa non è una certezza medica, ma un accordo».

«La Corte di Lisbona ne ha certificato il divieto totale. La Costituzione Europea, come la nostra, prevede il divieto della limitazione delle libertà personali, se non per precise norme di legge. In questo caso non c’è nessuna norma di legge; ci sono invece delle indicazioni di carattere amministrativo, accordi programmatici, circolari, non leggi».

La sentenza potrebbe avere uno (sperato) effetto domino: «Una volta rigettato l’automatismo tampone positivo - quarantena, a catena dovrebbero saltare anche le norme relative al lockdown. Una volta che una Corte d’Appello, non un tribunale di primo grado, ammette e certifica l’esigua attendibilità dei tamponi, è logico che salta tutto il quadro. I numeri che ci vengono dati sono completamente falsi e servono solo per imporre norme contro la libertà».