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ORA DI DOTTRINA / 4 - IL SUPPLEMENTO

Sulle tracce di Gesù a Betlemme, città predestinata

Da Giustino a Origene, da Eusebio a Costantino sono molte le testimonianze dei primissimi secoli che indicano con precisione il luogo della nascita di Gesù e l'adempimento della profezia di Michea.

Catechismo 26_12_2021
Betlemme, Grotta della Natività

“E tu, Betlemme di Efrata così piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda, da te mi uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele” (Mi 5, 1).

All’epoca della nascita di Gesù, Betlemme era sì piccola, ma non sconosciuta: nell’Antico Testamento viene infatti menzionata 44 volte. Beit Leḥem era la città natale del grande Re Davide, il luogo dove il giovane pastore fu unto re dal profeta Samuele. Le porte della vecchia città videro anche i tre prodi che sfidarono la guardia filistea per andare ad attingere l’acqua al pozzo e portarla al loro Re (cf. 2Sam 23, 15-17). A Betlemme si trova la tomba di Rachele, sposa del patriarca Giacobbe, dalla quale hanno origine le dodici tribù d’Israele.

La profezia di Michea aveva indicata questo piccolo villaggio come quello che avrebbe dato i natali al Messia venturo; la profezia doveva essere una di quelle fondamentali, ben custodita dai sapienti di Israele, dal momento che “tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo” (Mt 2, 4), riuniti da Erode, risposero senza esitazione richiamando il testo del profeta.

La profezia si è adempiuta, infallibilmente. Non vi è alcun dubbio che proprio a Betlemme sia nato Gesù, della stirpe di Davide. Importanti testimonianze dei primissimi secoli attestano che un’incessante tradizione abbia custodito il luogo della Natività e che tale luogo fosse una grotta. Un apocrifo, il Protovangelo di Giacomo (19, 1-2), per ben quattro volte si riferisce ad una grotta, come il luogo in cui la Vergine Maria diede alla luce Gesù. La testimonianza è del II secolo, come quella di San Giustino, nativo di Nablus, e dunque familiare con le tradizioni cristiane palestinesi, che nel suo Dialogo con Trifone (n. 78) riporta: “al momento della nascita del bambino a Betlemme, poiché non aveva dove soggiornare in quel villaggio, Giuseppe si fermò in una grotta prossima all’abitato…”. Giustino colloca dunque la grotta in prossimità del villaggio di Betlemme e sembra lasciar intendere che la grotta non fosse un locale adiacente ad una abitazione.

Circa un secolo dopo Giustino, un altro grande personaggio, Origene, era entrato in contatto con la tradizione palestinese che custodiva i luoghi degli eventi principali della vita di Gesù. Nato verosimilmente ad Alessandria d’Egitto, era stato più volte invitato a predicare in Terra Santa dai vescovi Alessandro di Gerusalemme e Tectisto di Cesarea; dopo la dura reazione del vescovo Demetrio di Alessandria, contrariato dalla sua ordinazione sacerdotale, rimase a Cesarea fino alla sua morte. A quanti chiedevano argomenti a sostegno del reale adempimento della profezia di Michea, Origene spiegava come, ancora nel suo tempo (prima metà del III secolo), “viene mostrata la grotta di Betlemme dov’è nato [Gesù], e, nella grotta, una mangiatoia dove fu deposto. E tutto questo è noto, in quei luoghi, anche a chi è estraneo alla fede, che in quella grotta ha veduto la luce colui che è adorato e ammirato dai cristiani” (Contro Celso, 1, 51).

Anche Eusebio, probabilmente nativo di Cesarea e vescovo della medesima città, trae una testimonianza della conferma della profezia di Michea, oltre che dai Vangeli di Matteo e Luca, dalle tradizioni locali: “Fondandosi sulla tradizione trasmessa loro dai padri, anche ai nostri giorni, quanti abitano la regione confermano la verità di queste parole a beneficio di coloro che si recano a Betlemme per vedere i luoghi e, mostrando la grotta, nella quale la Vergine, dopo averlo partorito, adagiò il bambino, confermano in tal modo quanto dice la profezia” (Dimostrazione Evangelica, VII, 2. 14-15).

Nel luogo indicato dalla tradizione, che l’Imperatore Adriano aveva tentato di “cancellare” convertendolo al culto pagano, nel 325, per ordine di Costantino e della madre sant’Elena, vennero eseguiti degli scavi ed edificata la prima Basilica della Natività. Un presbiterio ottagonale sormontava la grotta della Natività ed un’aula a cinque navate, con un pavimento a mosaico policromo, poteva accogliere i numerosi pellegrini. Giustiniano fece in seguito inglobare l’ottagono in un nuovo presbiterio trilobato e predisporre due scale di accesso alla grotta della Natività, per agevolare il flusso dei pellegrini.

Difficile stabilire se questa grotta fosse annessa ad un’abitazione. Si tratta tuttavia di una ipotesi interessante, che si basa sulla probabilità che Giuseppe, essendo di Betlemme, avesse nel villaggio una casa o perlomeno dei parenti che lo avrebbero accolto. Secondo questa ipotesi, Maria e Giuseppe non trovarono posto non nella locanda o nell’albergo, come riportano le traduzioni moderne, ma nella stanza (possibile significato della parola greca katalyma, che si ritrova anche in Lc 22, 11, ad indicare la stanza da preparare per l’Ultima Cena; mentre invece il termine “locanda, albergo” è più propriamente reso con pandocheion). Di quale stanza si tratterebbe? Di quel locale che, in molte abitazioni, era adiacente alla stanza principale, e che veniva utilizzato come deposito, stanza per gli ospiti o stanza per le partorienti, che dovevano rimanere in disparte per tutto il periodo dell’impurità legale. È probabile che in quella stanza non ci fosse posto, forse proprio a causa del censimento, che aveva richiamato i parenti di Giuseppe da diversi villaggi della Palestina. Da qui la decisione di collocarsi in una grotta adiacente, destinata ai pochi animali. Una grotta che però potrebbe anche risultare staccata dall’abitazione, come sembra indicare Giustino nel brano citato.

La grotta della Natività, la cui forma non corrisponde a quella originaria, si trova in realtà in un reticolato di grotte. La più ampia è denominata grotta di San Giuseppe ed è divisa in due ambienti; poi ci sono le grotte degli Innocenti, quella di San Girolamo, ove il Dottore della Chiesa vi si installò nel 386. Poco più distante, la cosiddetta grotta del Latte, alla quale risalgono due tradizioni: la prima la indicherebbe come luogo ove la Santa Vergine si nascose durante la strage degli Innocenti, poco prima di partire per l’esilio. La seconda racconta di essa come del luogo ove Giuseppe sollecitò alla partenza la Vergine che stava allattando il Bambino; alcune gocce di latte caddero a terra, facendo diventare bianca la roccia.

Quella grotta di Betlemme, meta continua di milioni di pellegrini, è la testimonianza dell’adempimento di quella profezia che ha preceduto di circa sette secoli la nascita del Redentore.