Sulla Corredenzione un copia-incolla di obiezioni già note
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Poco ecumenica e nemmeno conciliare: nel 1996 la “commissione di Czestochowa” bocciò la Corredentrice con questi e altri argomenti che ritornano nella Mater populi fidelis. Trent'anni di studi ne hanno mostrato l'infondatezza, ma il tempo è passato invano per il Dicastero.
- Dossier su Maria Corredentrice
Le difficoltà sollevate dalla Nota dottrinale del Dicastero per la Dottrina della Fede non sono affatto nuove. Il problema è però che il Dicastero si comporta come se tali difficoltà non siano mai state affrontate e risolte non solo dal contributo dei teologi, ma anche da quello del Magistero dei pontefici, insegnamento che gli estensori della Nota, come abbiamo già avuto modo di mostrare, contravvenendo ai più elementari criteri di correttezza, hanno pensato bene di trascurare.
Facciamo qualche passo indietro nella storia. Nel 1996, su richiesta della Santa Sede, il Congresso Mariologico di Czestochowa (18-24 agosto 1996) istituì una commissione teologica dalla composizione ecumenica per avere un parere relativamente all’opportunità di definire il “quinto dogma” di Maria Corredentrice, Mediatrice e Avvocata. La risposta della Commissione, pubblicata il 4 giugno 1997 su L’Osservatore Romano, faceva emergere degli argomenti a sostegno della posizione contraria, che di fatto evitavano accuratamente di entrare nel cuore della verità teologica: i titoli erano ambigui, le dottrine inerenti mancavano di chiarezza teologica, la richiesta si allontanava dalla linea mariologica tracciata dal Vaticano II, erano stati utilizzati dai pontefici solo in documenti marginali, richieste simili erano già state rigettate; ed infine, il solito motivo ecumenico.
In pratica, Mater populi fidelis non ha fatto che un copia-incolla di queste obiezioni, con l’aggravante di esser giunta alla conclusione che, per queste “ragioni”, il titolo di Corredentrice risulta ora essere «sempre inappropriato» e «sconveniente». Oltre al fatto che, nei trent’anni che ci separano dal Congresso di Czestochowa, sono stati offerti nuovi chiarimenti ed approfondimenti che rendono gli argomenti di ambiguità dei titoli e mancanza di chiarezza piuttosto pretestuosi. Ed è ora di mostrare, ancora una volta, come questi argomenti, che continuano ad essere reiterati, siano inconsistenti ed abbiano il solo scopo di rinviare in perpetuo una decisione non gradita.
La risposta della Commissione riteneva che, «da qualsiasi parte lo si consideri, il movimento che postula una definizione dogmatica concernente i titoli mariani di Corredentrice, Mediatrice e Avvocata non è in linea con gli orientamenti del grande testo mariologico del Vaticano II». Questa divergenza riguarderebbe sia la richiesta che il contenuto dottrinale a supporto di questo nuovo dogma. Non c’è che da sorridere; da quando il silenzio di un Concilio su un determinato argomento impedirebbe successivi sviluppi e prese di posizione della Chiesa? Sarebbe come dire che, dal momento che il Concilio di Nicea non si era pronunciato sulla consustanzialità dello Spirito Santo, nessuno avrebbe mai più potuto farlo. O che, siccome il Simbolo costantinopolitano, taceva sulla processione dello Spirito Santo anche dal Figlio, allora l’introduzione del Filioque avrebbe tradito quel concilio.
E perché mai il rifiuto di voler definire un certo dogma in una data occasione dovrebbe vincolare tutta la storia della Chiesa seguente? Il Concilio Vaticano I non aveva voluto definire l’Assunzione di Maria SS. come dogma di fede, eppure Pio XII scelse la strada opposta, considerando ormai sufficiente la maturazione teologica di questo dogma, nonostante la discussione non si fosse ancora placata. Ogni Concilio, incluso il Vaticano II, non è che una tappa del lungo cammino della Chiesa nell’approfondimento della Rivelazione, sebbene qualcuno giochi, quando gli conviene, a considerarlo come la sintesi perfetta e insuperabile della Rivelazione. Se poi il medesimo Concilio precisa persino di non avere intenzione di «proporre una dottrina esauriente su Maria, né di dirimere le questioni che il lavoro dei teologi non ha ancora condotto a una luce totale» (Lumen Gentium, 54), allora si comprende che quello e silentio più che di un argomento si tratta di una scusa.
Il documento del 1997 riteneva inoltre che i «i titoli, come vengono proposti, risultano ambigui, giacché possono comprendersi in modi molto diversi». Il principio viene ripreso dalla Nota, in riferimento alla corredenzione, ed in modo più sfumato sul titolo di Mediatrice. Criterio “teologico” che, se applicato nella storia, avrebbe reso impossibile la definizione delle tre ipostasi in una sostanza (la Trinità), delle due nature dell’unica Ipostasi (Cristo vero Dio e vero uomo), di Maria come Madre di Dio, e via dicendo. Invece, nella Chiesa ha sempre prevalso il principio che una definizione o l’utilizzo di precise parole e titoli, vanno promossi perché veri e capaci di illuminare la vita cristiana. Il rischio dell’ambiguità scompare allorché la definizione viene affiancata, come dev’essere, essendo la fede un rationabilis obsequium, da un’adeguata spiegazione. Se di fronte a delle ambiguità si rinunciasse a definire, allora semplicemente verrebbe meno il dogma.
A lasciare di stucco è anche questo passaggio: «a prescindere da ogni altra considerazione, nel caso della mediazione di Maria si è davanti, per quanto concerne molti aspetti di essa, a una “quæstio disputata”, si è lontani cioè da quella sostanziale unanimità teologica che, in relazione a ogni questione dottrinale, è il preludio necessario per procedere ad una definizione dogmatica». Ma quale dichiarazione dogmatica o quale atto definitorio nella storia della Chiesa sarebbero stati preceduti (e seguiti) da «sostanziale unanimità teologica»? I dogmi trinitari e cristologici dei primi secoli sono forse sorti in contesti di pax theologica? Chiunque abbia una conoscenza anche solo elementare della storia della Chiesa sa che le divisioni ci furono prima, durante e dopo. In occasione del dogma dell’Immacolata Concezione, lo scontro tra immacolatisti e macolisti era tutt’altro che sostanzialmente risolto, visto che, ancora nel 1848, appena sei anni prima della proclamazione del dogma, nelle due commissioni volute da Pio IX emersero pareri contrastanti. Per non parlare dell’insegnamento definitorio di Humanæ vitæ.
L’utilizzo marginale di un titolo da parte dei Pontefici è un’altra ragione che non regge. Basti pensare alla storia del titolo di Mater Ecclesiæ attribuito a Maria. Il testo finale del cap. VIII di LG, non recepì questo titolo perché, secondo quanto riporta in una sua pubblicazione mariologica, l’abate cistercense Denis Farkasfalvy (+2020), esso mancava di «una sufficiente attestazione nella Tradizione (patristica e medievale) e di chiarezza dogmatica», così da sollevare «reazioni confuse su Maria, essendo ella “membro” e “madre” del corpo di Cristo» (The Marian Mystery: The Outline of a Mariology, 2014, p. 225). Il problema certamente esisteva: come può la stessa persona essere membro e madre della Chiesa? E cosa significa questa singolare maternità? Paolo VI non sembrò tener molto conto della scelta dei Padri conciliari e delle loro argomentazioni: tre giorni prima della promulgazione della Costituzione dogmatica Lumen Gentium, in occasione dell’Udienza generale, annunciò che «Noi termineremo questa sessione del Concilio Ecumenico, che ha delineato la dottrina della Chiesa, nella gioia di riconoscere alla Madonna il titolo che ben le compete di Madre della Chiesa “Mater Ecclesiæ”». A proposito di direzione intoccabile del Concilio.
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