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il caso

L'attacco di Garofani al governo imbarazza il Quirinale

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Alta tensione istituzionale dopo lo scoop de La Verità sulle parole "dal sen fuggite" del consigliere di Mattarella. FdI reagisce chiedendo una smentita o le dimissioni, mentre l'interessato rompe il silenzio ma non nega. La generica nota del Colle è un'occasione persa che lascia spazio a dietrologie.

Politica 20_11_2025
ALESSANDRO AMORUSO - IMAGOECONOMICA

La recente polemica sul Quirinale, esplosa dopo l’articolo de La Verità che accusa un consigliere del presidente Mattarella di tramare contro Giorgia Meloni, ha scatenato un terremoto politico di ampia portata, dividendo opinioni, istituzioni e partiti. Secondo il quotidiano di Maurizio Belpietro, il consigliere in questione è Francesco Saverio Garofani, figura storica legata al Colle, ex parlamentare del PD, ora consigliere del Consiglio Supremo di Difesa. Ieri la Meloni ha incontrato Mattarella al Quirinale e ha definito inopportune le parole di Garofani.
Nell’articolo viene attribuita a Garofani una frase molto forte: «Un anno e mezzo non basta per trovare qualcuno che batta il centrodestra, ci vorrebbe un provvidenziale scossone». È poi ipotizzata la costruzione di una grande lista civica nazionale, sul modello dell’Ulivo degli anni Novanta, con l’obiettivo – secondo La Verità – di rompere l’assetto del centrodestra e ostacolare il governo Meloni, anche in vista delle politiche del 2027.

La reazione istituzionale non si è fatta attendere: Galeazzo Bignami, capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, ha chiesto una smentita netta delle dichiarazioni attribuite a Garofani. Il Colle ha risposto con una nota dura, esprimendo «stupore» per la richiesta e accusando l’intera operazione di «sconfinare nel ridicolo».
Da parte sua, Belpietro difende lo scoop con fermezza, affermando che ha riportato nome, cognome e virgolettati, e che sarebbe stato Garofani stesso a dover fornire una replica formale, non il Quirinale con una nota generica. Secondo il direttore de La Verità la risposta del Palazzo è «istituzionalmente scorretta»: non si può reagire con una smentita dell’istituzione quando è un individuo specifico a essere chiamato in causa.

Garofani ha rotto il silenzio, ma non ha negato tutto: ha raccontato che erano solo «chiacchiere tra amici», pronunciate in un contesto informale e «in libertà», e che le parole sono state poi «strumentalizzate». Ha aggiunto di essersi confrontato con Mattarella, che lo ha rassicurato: «Stai sereno, non te la prendere». Pur esprimendo amarezza per le conseguenze pubbliche, ha respinto la ricostruzione di un “piano” vero e proprio contro Meloni.
Dal punto di vista istituzionale, la tensione è alta: FdI chiede che Garofani smentisca pubblicamente o, in alternativa, che rassegni le dimissioni; alcuni esponenti della maggioranza sostengono che non sia leale verso il governo. Allo stesso tempo, il Quirinale fa valere la sua autonomia e la figura di Mattarella come garante super partes, sostenendo che non può essere ridotto al ruolo di bersaglio di giochi politici interni.

Chi ha sbagliato? Probabilmente non esiste un “colpevole” netto: La Verità ha svolto il suo mestiere di giornale d’inchiesta, portando alla luce dichiarazioni delicate e potenzialmente esplosive, e Belpietro ha difeso la correttezza del suo lavoro. Al contempo, l’iniziativa di Bignami – pur legittima da un punto di vista politico – rischia di trascinare il Quirinale in un conflitto istituzionale che mina l’immagine di neutralità presidenziale. Il Palazzo, invece, rispondendo con una nota dura ma generica, ha perso un’occasione per chiarire nel dettaglio la posizione del consigliere, lasciando spazio a interpretazioni e dietrologie.

Innegabilmente questa vicenda evidenzia la fragilità dei confini tra politica e istituzioni. Un consigliere che esprime idee politiche, anche se informalmente, non è di per sé una anomalia, ma quando quelle idee vengono interpretate come un “piano strategico” per destituire o danneggiare un governo, la legittimità dell’azione giornalistica diventa cruciale per la trasparenza democratica. Allo stesso tempo, il Quirinale dovrebbe forse rispondere con maggiore chiarezza e singolarità: piuttosto che difendere l’istituzione nella sua interezza, Garofani avrebbe avuto modo di chiarire direttamente le sue dichiarazioni, assumendosi la responsabilità individuale.
Il centrodestra d’altronde non ha dimenticato le invasioni di campo del passato da parte di Giorgio Napolitano e, soprattutto, di Oscar Luigi Scalfaro, per cui preferisce stare in campana. Meglio vigilare su eventuali altre ingerenze piuttosto che esserne colti di sorpresa.



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