Sui curdi si gioca il futuro tra Turchia e Usa
Le truppe turche stanno per avere il sopravvento ad Afrin, enclave curda in Siria, e non si fermeranno lì, rischiando di scontrarsi con gli americani che difendono i curdi. Ankara: «Gli americani decidano da che parte stare».
Mentre le forze di Assad penetrano in profondità nella regione della Ghouta Orientale, nei pressi di Damasco, evacuando migliaia di civili e sottraendoli al giogo dei ribelli jihadisti le cui forze sono ormai soverchiate dal nemico, più a nord nell’enclave curda di Afrin le truppe turche stanno per avere il sopravvento dopo quasi due mesi di battaglia.
«Entreremo nella città di Afrin molto presto e prevediamo di ripulirla per intero dai terroristi. Al momento abbiamo sotto il nostro controllo il 70% della regione», aveva detto il 15 marzo un portavoce del presidente turco Recep Tayyip Erdogan.
Con l'operazione "Ramoscello d'Ulivo", l'esercito turco ha fatto sapere ieri di aver distrutto migliaia di bersagli e «neutralizzato 3.530 terroristi» dal 20 gennaio scorso. Le forze di Ankara hanno lanciato sui territori dell’enclave curdo-siriana volantini in cui invitano i miliziani curdi a deporre le armi. «Arrendetevi! Un futuro di calma e pace vi attende ad Afrin. Fidatevi della mano che vi tendiamo», si legge nei fogli, scritti in arabo e in curdo, secondo quanto riferiscono le forze armate turche. In altri volantini si invitano poi i residenti civili, indicati come «i nostri fratelli di Afrin», a stare lontani dalle «postazioni dei terroristi» per evitare di essere colpiti nei raid e a non farsi usare come «scudi umani». Ankara lancia inoltre un appello a sentirsi sicuri nell'evacuare l'area «sotto la garanzia» dei suoi militari.
I caccia F-16 turchi, che ieri hanno colpito anche postazioni del PKK nell’Iraq settentrionale, sarebbero responsabili della morte ieri di 20 civili ad Afrin ma nell’offensiva sono coinvolte anche le milizie turcomanne e arabo siriane dell’Esercito Siriano Libero, gruppo anti-Assad coordinati da Ankara.
L’operazione turca ad Afrin rappresenta solo l’inizio di un'offensiva contro i curdi siriani che, secondo quanto annunciato, vedrà le forze di Ankara attaccare presto anche Kobane e Manbji, dove però alle milizie curde delle Forze di protezione popolare (Ypg) si affiancano centinaia di militari statunitensi.
I rapporti tra Turchia e Usa sono già da tempo ai ferri corti per il supporto militare e le armi che Washington ha fornito ai curdi: “terroristi” per i turchi, milizie utili a combattere lo Stato Islamico e poi a contrastare le forze di Assad e i russi che stanno riconquistando l’intera Siria per gli Usa.
Il 13 marzo, alla vigilia della rimozione del segretario di Stato Rex Tillerson, il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu ha annunciato che Turchia e Stati Uniti hanno trovato un accordo per presidiare insieme l'area di Manbij, cittadina strategica sulla strada da Aleppo al fiume Eufrate.
Gli eserciti di Ankara e Washington «costituiranno insieme una safety zone non appena i curdi del Ypg avranno abbandonato Manbij. Non c'è alcuno spazio per la milizia curde che in quell'area non deve avere alcun ruolo», ha poi insistito Cavusoglu, che rispetto alle armi consegnate dagli americani ai curdi ha detto di essere «consapevole che non potranno essere recuperate tutte», per poi ricordare che il presidente americano Donald Trump aveva promesso alla Turchia che quelle stesse armi sarebbero state restituite una volta sconfitto l'Isis a Raqqa. Ankara quindi conferma l’obiettivo strategico di cacciare i curdi a est del fiume e presidiare in profondità il confine siriano a ovest del fiume.
La sostituzione di Tillerson con Mike Pompeo non dovrebbe modificare la natura dell’intesa tra Usa e Turchia ma in tal caso Cavusoglu ha fatto sapere che Ankara «è pronta a procedere militarmente in modo unilaterale». Un’opzione che vedrebbe un confronto militare diretto tra turchi e statunitensi, cioè tra le forze di due Stati membri della Nato. In ogni caso il compromesso di Manbji non modificherà gli assetti strategici turco e americano e inevitabilmente il confronto sui curdi siriani si riproporrà creando tensioni certo non sgradite a Mosca che ha già venduto ad Ankara il suo sistema di difesa aerea S-400 e vede di buon occhio l’allontanamento turco dall’Europa, dagli Usa e della Nato.
«Con gli Usa abbiamo stabilito una road map su Manbij», ha riferito il portavoce presidenziale turco, Ibrahim Kalin. «Dopo la sostituzione del segretario di Stato americano non abbiamo intenzione di cambiare i nostri piani. I profughi siriani non tornano in aree sotto il controllo dei curdi, mentre 150 mila siriani sono già tornati nelle province della Siria che abbiamo liberato in passato». «E' tempo che gli Usa decidano da che parte stare e chiariscano chi sono i loro alleati. Non possono continuare a sostenere un'organizzazione terroristica», ha concluso Kalin.
Per i curdi il rischio è che in prospettiva futura Trump ritenga necessario salvaguardare il rapporto con i turchi anche per le implicazioni Nato specie in un contesto di confronto con la Russia.