Sudan, fine della sanguinaria dittatura di Omar Bashir
È finita in Africa, con un colpo di stato militare, una delle dittature più cruente e longeve. Omar al-Bashir, presidente del Sudan dal 1989, è stato deposto dall’esercito nelle prime ore dell’11 aprile. Doveva essere il giorno del raduno popolare in suo sostegno, dopo settimane di manifestazioni di protesta contro il suo regime.
È finita in Africa, con un colpo di stato militare, una delle dittature più cruente e longeve. Omar al-Bashir, presidente del Sudan dal 1989, è stato deposto dall’esercito nelle prime ore dell’11 aprile. Doveva essere il giorno del raduno popolare in suo sostegno, dopo settimane di manifestazioni di protesta contro il suo regime, ma all’alba si è sparsa la voce che il raduno era stato cancellato e che nella notte dei mezzi militari erano entrati nel vasto complesso, nella capitale Khartoum, che ospita il ministero della difesa, il quartier generale dell’esercito e la residenza personale di al-Bashir. Poco dopo la televisione e la radio di stato hanno interrotto le trasmissioni per annunciare che l’esercito avrebbe fatto una dichiarazione. Migliaia di persone da tutta la città si sono allora dirette verso il ministero della difesa, unendosi a quelle che per tutta la notte avevano vegliato per le strade.
Per ore il paese si è fermato, in attesa del comunicato militare. Nella capitale la folla assiepata davanti al ministero dell’interno scandiva: “il regime è caduto”!
Finalmente, intorno alle 14.00, il comunicato ufficiale: “il presidente Omar al-Bashir è stato arrestato e portato in un luogo sicuro”, ha annunciato il vicepresidente e ministro della difesa, generale Awad Mohamed Ahmed Ibn Auf, che ha poi spiegato che cosa succederà adesso in Sudan. Questo il programma dei militari: tre mesi di stato di emergenza, un periodo di transizione della durata di due anni, sotto il controllo dell’esercito tramite un consiglio militare di transizione, la cancellazione della costituzione del 2005 e la creazione di una nuova costituzione permanente, il cessate il fuoco in tutto il paese e l’immediata scarcerazione di tutti i detenuti politici. “Il paese ha patito cattiva amministrazione, corruzione e assenza di giustizia, noi creeremo un ambiente che favorisca un pacifico trasferimento del potere, la costituzione di partiti politici, lo svolgimento di elezioni libere e trasparenti al termine della transizione” ha proseguito il generale Auf, che infine ha chiesto ai gruppi armati di unirsi al processo politico, ha assicurato che i diritti umani saranno rispettati e ha rivolto un appello ai cittadini affinché accettino le misure di sicurezza che sarà necessario adottare.
Dire che nei 30 anni di al-Bashir in Sudan hanno regnato corruzione, ingiustizia e malgoverno è un eufemismo. Sono stati anni di guerre e persecuzioni devastanti. Espressione della popolazione arabo-islamica, al-Bashir, al potere grazie a un colpo di stato militare, ha inflitto al sud cristiano e animista decenni di sofferenze immani finché nel 2005, dopo interminabili negoziati mediati da osservatori internazionali, ha accettato di firmare con i gruppi armati formatisi per difendere la popolazione una pace globale e di concedere ai territori del sud la facoltà di decidere tramite referendum se continuare a far parte del Sudan, con maggiore autonomia, oppure scegliere la secessione. Il risultato del referendum è stato a favore dell’indipendenza. Il Sudan del Sud è diventato uno stato autonomo il 9 luglio del 2011 privando il Sudan di tre quarti dei giacimenti di petrolio su cui si fondava la sua economia.
Dal 2003 era iniziata anche la repressione, altrettanto brutale, delle etnie musulmane ma di origine africana che popolano la regione occidentale del Darfur. La guerra contro l’attuale Sudan del Sud è costata quasi due milioni di vittime civili e ha lasciato il paese in macerie. Quella del Darfur, terminata nel 2010, ha causato 400.000 morti, due milioni tra sfollati e rifugiati e ha meritato ad al-Bashir il primato di essere il primo capo di stato, nel 2009, a essere incriminato dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio.
Finisce l’era di un dittatore, legato oltre tutto al fondamentalismo islamico (dal 1992 al 1996 al-Bashir ha permesso a Osama bin Laden di costituire la propria base nel paese), ma non per sete di democrazia e, anzi, può darsi che ne stia per iniziare un’altra. I militari che nei giorni delle ultime manifestazioni hanno ordinato di non attaccare i dimostranti e di schierarsi con loro contro le forze speciali del presidente hanno colto l’occasione per far cadere al-Bashir. I leader delle proteste popolari, la Sudanese Professional Association e altre organizzazioni civili, poco dopo la conclusione del discorso del generale Auf, hanno diramato un comunicato in cui denunciano che i militari “riciclano le stesse facce e le stesse persone in carica”, non sono in sintonia con le aspettative della popolazione e si sono limitati a rimuovere il presidente per mantenere il controllo del paese. L’appello alla popolazione è quindi di continuare a presidiare il quartier generale dell’esercito perché un semplice cambio della guardia non può essere tollerato.
L’Unione Africana da parte sua ha condannato il colpo di stato. Il presidente della Commissione dell’UA, Moussa Faki Mahamat, ha dichiarato in un comunicato che “un golpe non è una risposta appropriata ai problemi del Sudan e alle aspirazioni della popolazione” e ha annunciato la convocazione a breve del Consiglio pace e sicurezza per discutere la situazione.