Su Draghi, anche la destra è divisa e in cerca di un ruolo
Se la sinistra piange, la destra non ride. Formalmente è divisa, con Lega e FI che sostengono il governo Draghi e Fratelli d'Italia da soli all'opposizione. La Meloni si erge a rappresentante unica degli scontenti e intanto occupa più poltrone degli altri. Riuscirà il centrodestra a ritrovare la quadra su candidati sindaci in primavera, nuovo Presidente nel 2022 ed elezioni del 2023?
Mentre i grillini sono spaccati in due, come ha sancito la votazione di ieri su Rousseau, e Nicola Zingaretti è chiamato a sedare la rivolta interna al Pd, uscito con le ossa rotte dal fallimento del Conte ter e dai negoziati per la formazione del nuovo esecutivo a guida Draghi, nel centrodestra si parla di lavori in corso.
Formalmente anche il centrodestra è spaccato, visto che Forza Italia, Lega e centristi aderiranno entusiasticamente al nuovo governo e Fratelli d’Italia andrà convintamente all’opposizione. Ma si può senz’altro dire che i calcoli fatti da Matteo Salvini, Silvio Berlusconi, Giorgia Meloni e i leader dei partiti minori di quella coalizione sono più articolati.
La repentina conversione del Capitano all’europeismo fa parte di un disegno molto chiaro di accreditamento presso le cancellerie europee, che potrebbe preludere a una sua candidatura a premier alle prossime politiche, verosimilmente nel 2023. Quand’anche Draghi decidesse di puntare al Quirinale e si dimettesse fra un anno, Salvini avrebbe già maturato i crediti sufficienti, dopo dodici mesi di appoggio leale al governo che sta nascendo, per poter guidare l’intero centrodestra e aspirare a Palazzo Chigi. Suo mentore è Giancarlo Giorgetti, che da tempo lavorava per una svolta del genere, cioè per far uscire la Lega dalle strettoie del sovranismo e collocarla in uno spazio di maggiore agibilità politica e istituzionale. Ma questa svolta salviniana porterà frutti anche in termini elettorali? Al momento tutti i sondaggi dicono che la Lega è saldamente primo partito, con circa il 24% dei consensi. Li manterrà facendo una politica più morbida sull’immigrazione, rinunciando alla flat tax (che non è nel programma di Draghi) e governando con gli odiati nemici dem e pentastellati? Soprattutto, non lascerà a Giorgia Meloni ampie praterie sul versante dell’opposizione? Ora come ora non si possono dare risposte certe a queste domande. Se è vero che i grillini, per rabbonire l’ala movimentista e antigovernativa potranno esibire il trofeo del ministero della transizione ecologica, quale bandiera Salvini potrà sventolare ai suoi elettori per motivare questa sua adesione al progetto Draghi?
Per Berlusconi il discorso è più lineare. Da sempre ha rappresentato l’ala del centrodestra più dialogante e moderata, quindi aperta a sostenere un governo come quello che sta nascendo. Anzi, all’inizio della pandemia fu proprio il Cavaliere a caldeggiare un’ipotesi del genere. Peraltro l’insofferenza crescente di molti deputati azzurri verso l’alleato Matteo ha favorito questo avvicinamento azzurro al governo di solidarietà nazionale, del quale Antonio Tajani potrebbe far parte come ministro. Discorso simile per Giovanni Toti, Maurizio Lupi e gli altri centristi pronti ad appoggiare il nuovo esecutivo. Si erano espressi contro un Conte ter ma avevano auspicato un governo più solido e in grado di fronteggiare le sfide della ricostruzione post-pandemia, quindi hanno visto in Draghi l’uomo ideale. In questo modo sperano anche di consolidare le loro posizioni per altri due anni e poi riproporsi all’elettorato con diversi equilibri all’interno del centrodestra.
Comprensibile anche la posizione di Giorgia Meloni, che di fatto è l’unico leader ad opporsi al governo Draghi. Il suo partito preannuncia una “opposizione patriottica”, cioè la disponibilità ad appoggiare i provvedimenti a favore delle categorie più colpite dal virus e dai lockdown senza fare sconti a un esecutivo che definisce una “ammucchiata”. Il guadagno della Meloni è duplice: drenare dalle altre forze di centrodestra tutti i consensi degli anti-Draghi, cioè di coloro che non accettano l’ingresso di Lega e Forza Italia in questa maggioranza allargata; ottenere la presidenza di tutte le commissioni di garanzia, in particolare quella del Copasir e quella di Vigilanza sulla Rai. E’ paradossale ma sarà quindi la leader di Fratelli d'Italia ad ottenere più poltrone degli altri, in quanto leader dell’unica forza politica che farà opposizione in Parlamento.
Tre le incognite rispetto allo scenario descritto. La prima: con quale amalgama e quale affiatamento Berlusconi, Salvini e Meloni troveranno la quadra sui candidati sindaci alle prossime elezioni amministrative di primavera, che, causa covid, potrebbero slittare a settembre-ottobre? Non c’è stata una vera e propria rottura sul sostegno a Draghi, ma siamo certi che gli elettori capirebbero una ricomposizione tra quelle forze politiche solo per sostenere lo stesso candidato sindaco a Milano, Roma, Torino, Napoli e altre grandi città?
La seconda: la maggioranza che sostiene Draghi sarà anche quella che sceglierà il nuovo Presidente della Repubblica a inizio 2022? Siamo certi che lo stesso candidato possa mettere d’accordo grillini e leghisti, azzurri e dem? L’attuale Parlamento a maggioranza pentastellata voterebbe per il Quirinale uno come Draghi già digerito con fatica ieri come premier nella votazione su Rousseau?
L’ultima: il centrodestra resisterà per due anni diviso come è ora per poi ricompattarsi in vista delle prossime politiche? Nella campagna elettorale del 2023, se si arriverà a scadenza naturale, come faranno Salvini e Berlusconi a dire le stesse cose della Meloni, visto che i primi avranno sostenuto un esecutivo osteggiato lungamente dall’altra?