Studenti e genitori violenti: senza l'umano la scuola va ko
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Allarme della Polizia: in aumento gli episodi di violenza tra i banchi. E su 133 casi di aggressione fisica, la metà è commessa da genitori. Un clima sociale esplosivo nato con la prassi dei ricorsi al Tar e alimentato dall'eccessivo tecnicismo della scuola, che fa venire meno il rapporto umano tra genitori e professori.
La data del 30 giugno segna tradizionalmente la fine delle attività scolastiche per la generalità degli insegnanti, dato che dall’1 luglio è possibile – secondo il piano ferie programmato - iniziare a usufruire delle vacanze estive. È tempo dunque di bilanci, e vale pertanto la pena soffermarsi su un fenomeno che, durante l’appena trascorso anno scolastico, si è manifestato con preoccupante crescente virulenza. È un tema su cui si è già scritto qualcosa, però, come evidenziato dai dati forniti dal capo della polizia, Vittorio Pisani, gli episodi di violenza contro gli insegnanti e il personale scolastico stanno assumendo proporzioni sempre più allarmanti.
Le statistiche relative al fenomeno, che gettano luce su questa nuova emergenza educativa, sono state presentate in questi giorni durante un evento alla scuola superiore di polizia a Roma. Nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2023 e febbraio 2024, sono stati registrati ben 133 casi di aggressione fisica denunciati all’interno delle scuole medie superiori. Nel computo degli episodi, occorre tenere presente che si tratta solo dei casi di non lieve entità, quelli per cui gli insegnanti coinvolti hanno dovuto recarsi in ospedale. È ragionevole supporre, come sottolineato da Pisani stesso, che ci siano stati altri – e forse numerosi - casi di aggressione che i docenti non hanno ritenuto di denunciare o per i quali non hanno richiesto l’assistenza medica, il che rende questi numeri ancora più inquietanti, rappresentando solo la punta dell’iceberg.
Analizzando più da vicino questi 133 episodi, emerge un quadro complesso. Ben 70 di questi atti di violenza sono stati commessi da studenti, un dato che solleva serie preoccupazioni sul clima all’interno delle aule scolastiche. Tuttavia, ciò che Pisani definisce «ancora più grave» è il fatto che i restanti casi – una cifra significativa – siano stati commessi da genitori. Tale tendenza mette in luce un problema più ampio che va oltre il comportamento degli studenti, coinvolgendo direttamente quegli adulti che dovrebbero essere esempi e maestri di comportamento civile.
L’ondata di violenza che attraversa le scuole italiane, non deriva solo dalla ormai nota delegittimazione della figura del docente (comune per altro ad altre figure investite di responsabilità quali i politici, sanitari, etc…). E non è nemmeno un fenomeno esclusivamente italiano: in molte scuole francesi, per esempio, caratterizzate (soprattutto nelle banlieue) da aspre tensioni etniche e religiose, i docenti avevano preso l’abitudine di invocare il “droit de retrait”, che consente di astenersi dal lavoro in caso di pericolo.
Episodi di violenza nei confronti degli insegnanti peraltro, sebbene non così numerosi, sono sempre avvenuti, ma erano sanzionati dalla riprovazione sociale e dalle reazioni dell’autorità scolastica e della famiglia. Oggi, però, il fenomeno ha assunto caratteristiche e motivazioni nuove e sono spesso proprio i genitori a fare i “sindacalisti” dei figli, talvolta in forme che non escludono il passaggio alle vie di fatto.
Concorrono certamente, a produrre questi eventi, un clima sociale e culturale che ha identificato nel successo mondano un traguardo imprescindibile, unitamente ad un diffuso rifiuto della fatica e del sacrificio; un vero e proprio fattore esplosivo è, tuttavia, quello della pretesa di una giustizia “assoluta”, che non ammette errori o incertezze, trasformando la giustizia stessa in giustizialismo.
La prassi degli esposti o ricorsi al Tar per una bocciatura o per un voto troppo basso, che ha avuto inizio alla fine degli anni ’80 e che da allora è cresciuta vertiginosamente, ha non solo enormemente appesantito la vita della scuola sotto il profilo burocratico e del clima di lavoro, ma ha anche messo in luce un mutamento epocale nei rapporti interpersonali e sociali a livello più generale. Non è più ammesso l’insuccesso o l’errore umano, non è plausibile l’ingiustizia, non c’è più comprensione per il limite proprio o altrui, non ci possono essere spazi di diversa interpretazione, non c’è spazio per l’imponderabile, e se qualcosa non funziona come ci si potrebbe aspettare, è senz’altro colpa di qualcuno.
Tutto deve essere codificato e certificato, secondo procedure standardizzate e inoppugnabili (che poi, in realtà, sono sempre frutto di visioni soggettive, come dimostrano tante fantasiose sentenze dei Tar stessi).
Nella pretesa di realizzare una società perfetta, si sono costruite delle gabbie entro cui l’umano di dissolve e si alimentano la pretesa e la violenza.
Scriveva T.S.Eliot nei “Cori dalla Rocca”:
«Essi cercano sempre di evadere/ dal buio esteriore e interiore/ sognando sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno d’esser buono». Ma che educazione può esserci là dove non c’è più spazio di comprensione per le cadute, gli errori, le imperfezioni proprie e altrui? Come possono crescere e maturare dei giovani che non imparano ad incassare le durezze, i fallimenti, le ingiustizie, i dolori e le fatiche connaturate alla convivenza con sé stessi e tra uomini con i propri limiti?
La scuola, per sua natura, si fonda sulla collaborazione tra docenti e famiglie degli allievi, e una vera autonomia e libertà di scelta educativa sarebbero gli strumenti più adeguati per realizzarla. Là dove questa viene a mancare, affidandosi a dispositivi tecnici e giuridici che vanno ad annichilire ogni comprensione e collaborazione (come spesso avviene nella scuola gestita in modo “impersonale” dallo Stato) non può realizzarsi la dinamica educativa. Ma un tale sistema, così privato di uno sguardo autenticamente umano, non può generare altro che violenza, quella stessa che viene operata sulla realtà così come essa ci è data.