Studente ribelle, rivoluzione finta: così ha salvato il voto
Ascolta la versione audio dell'articolo
La protesta dello studente veneto che ha rinunciato a sostenere l'esame orale perché già in possesso dei punteggi per la promozione: in realtà l'orale è stato sostenuto, ma il gesto è figlio di una mentalità utilitaristica.

Nei giorni scorsi i giornali hanno diffuso la notizia di uno studente del Veneto che avrebbe rifiutato di sostenere l’esame orale della Maturità in segno di protesta contro il sistema di valutazione scolastico. Titoli e affermazioni sensazionalistici: «Non si presenta all’orale», «sfida la scuola», «protesta coraggiosa». Ma davvero?
Dietro alla narrazione accattivante c’è la realtà: Gianmaria Favaretto, studente del Liceo scientifico Fermi di Padova, dopo aver ottenuto 62 punti complessivi tra crediti scolastici e prove scritte, si è presentato di fronte alla commissione, ha firmato il registro e ha dichiarato la sua volontà di non sostenere l’orale. Tuttavia, consapevole del rischio di non diplomarsi (sì, non diplomarsi), è stato persuaso a rispondere almeno a qualche domanda. La commissione gli ha attribuito 3 punti per il colloquio, portando il voto finale a 65/100. In parole povere: lo studente ha sostenuto la prova orale. E per quanto simbolico sia stato il gesto, ha ceduto al compromesso per evitare la bocciatura.
L’obbligatorietà dell’orale e la cautela dello studente
Negli ultimi anni mi è stato più di una volta chiesto se fosse possibile evitare la prova orale, qualora lo studente avesse già accumulato 60 punti. La risposta è chiara e sancita dalla normativa: no, il colloquio è parte integrante dell’Esame di Stato. Lo afferma il Decreto Legislativo 62/2017, art. 17, comma 9, richiamato esplicitamente anche nell’Ordinanza Ministeriale n. 67 del 31 marzo 2025: «Il colloquio ha la finalità di accertare il conseguimento del profilo educativo, culturale e professionale della studentessa o dello studente (PECUP)».
Chi non si presenta senza motivazioni valide (come malattia documentata) viene considerato non idoneo all’Esame. Quindi no, non si può rifiutare l’orale e sperare nel diploma. La protesta vera sarebbe stata quella di accettare la bocciatura, non quella di conversare qualche minuto per salvarsi.
Il voto come feticcio o come farsa?
Molti studenti oggi non vivono l’Esame di Stato come traguardo, ma come ostacolo burocratico. Hanno già ottenuto l’ammissione universitaria, magari mesi prima, e l’ultimo anno delle superiori diventa un lento trascinarsi verso un rito che appare privo di valore. La scuola non è più vissuta come luogo di scoperta, ma come un percorso da ottimizzare.
Questa disaffezione è figlia di una cultura utilitaristica. Il sistema scolastico premia la performance, il risultato, il punteggio. Ma l’impegno, la passione, la fatica? Sono ormai considerati optional. Dante navigava nel «gran mar dell’essere»; oggi si naviga tra scartoffie, crediti e strategie per minimizzare lo sforzo. Non c’è più meraviglia, solo calcolo. Non c’è più confronto, solo autoconservazione.
Non serve eliminare l’Esame: serve ripensare la scuola
L’Esame va riformato, certo. Ma solo dopo aver riformato la scuola. Troppe volte si è intervenuti sull’Esame con l’illusione di poter cambiare la didattica a monte. Ma è come ridipingere la facciata di una casa con fondamenta instabili. L’orale, come previsto oggi, dovrebbe valorizzare il percorso interdisciplinare dello studente. Ma quanti docenti utilizzano davvero il «Documento del Consiglio di Classe» per costruire percorsi autentici? L’impressione è che il colloquio sia spesso scollegato dalla vera vita scolastica.
E poi: riformare l’Esame ascoltando gli studenti può essere utile, ma bisogna saper distinguere tra desiderio di senso e desiderio di comodità. Non si può confondere la critica legittima con l’inerzia generazionale. Gli adulti odierni hanno gradualmente eliminato i problemi, le difficoltà, lo spirito di sacrificio nella vita dei giovani che ora si aspettano che venga tolto anche questo impaccio e ostacolo dell’esame di Stato: ma davvero noi adulti siamo convinti che togliendo i problemi ai ragazzi e facilitando loro la vita li aiutiamo e nella crescita? In realtà, creiamo loro problemi ben più gravi: l’incapacità di sostenere delle sconfitte, dei voti inaspettati, delle difficoltà impreviste; la facilità a ricorrere a scuse e giustificazioni che nascondano le reali cause; la difficoltà a guardare con serietà la realtà e le proprie capacità.
La scuola dovrebbe offrire agli studenti adulti veri, che siano provocazione ideale, non facilitatori di scorciatoie. Al contempo, dovrebbe aiutare lo studente a scoprire se stesso. «Conosci te stesso» era la frase incisa sul Tempio di Apollo a Delfi. Tra l’altro significa anche: riconosci i tuoi limiti, la tua natura mortale e non pretendere di essere come gli dei.
Ricorderete tutti che anche l’anno scorso sempre nel Veneto (questa volta a Venezia) si manifestò una singolare protesta. Tre studentesse contestarono i voti ricevuti nella prova scritta di Greco, ritenuti ingiustificati e inferiori alla media elevata del loro percorso scolastico. In segno di protesta, pur partecipando formalmente al colloquio orale dell’Esame di Stato, scelsero di non sottoporsi all’interrogazione, avendo già raggiunto la soglia dei 60 punti.
La vera protesta
Quale sarebbe stata la vera protesta per quelle studentesse, convinte di non aver conseguito il voto meritato? Sostenere degli orali in cui potevano mostrare il loro percorso, la crescita, la cultura, il valore di quanto imparato nei cinque anni di scuola. «Protestare» significa infatti attestare (dal latino testari che a sua volta deriva da testis ovvero «testimone») davanti agli altri (pro). Non c’era occasione migliore per mostrare a tutti l’ingiustizia di un voto (se davvero c’è stata) con un’interrogazione. Del resto la scuola non è sempre giusta e ci dispiace perché tutti ci aspetteremmo di trovare un luogo di giustizia. Ma per caso quando questi studenti andranno a lavorare, qualora non fosse riconosciuto in maniera giusta il lavoro da loro svolto, si licenzieranno?
La sfida è culturale
La scuola non deve inseguire la semplificazione, ma offrire senso. Non servono esami più facili, ma percorsi più autentici. Lo studente ha bisogno di accettare il confronto con l’adulto, affrontare le prove anche quando non le capisce, vivere la fatica non come ostacolo ma come opportunità. Solo così l’Esame potrà ritrovare il suo valore. E solo così gesti come quello di Gianmaria potranno trasformarsi davvero in provocazioni feconde, non in segnali di disimpegno camuffati da ribellione.