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Storia e memoria come antidoto all'odio in Medio Oriente

Il dilagare dell'antisemitismo nella società occidentale dopo il 7 ottobre 2023 e la ricerca dei fondamenti di una convivenza che non può prescindere dalle rispettive identità, nel saggio della sociologa Clelia Castellano. Per sradicare l'odio occorre approfondire le radici.

Attualità 14_01_2025

Il massacro di Hamas del 7 ottobre 2023 in Israele e la nuova esplosione di conflitti che ne è seguita in Medio Oriente non hanno soltanto riaperto la ferita mai sanata della questione arabo-israeliana e un fronte cruciale per gli equilibri mondiali, ma hanno anche generato un effetto inquietante tutto interno all'Occidente: il riemergere di un antisemitismo virulento e capillarmente diffuso che si tendeva prevalentemente a ritenere un fenomeno legato a un passato che non sarebbe mai più ritornato.
La nascita di movimenti di protesta filopalestinesi esplicitamente schierati con l'estremismo islamista, le aggressioni e intimidazioni contro gli ebrei in Europa e in America, il ritorno di un'ostilità radicale ed "esistenziale" nei confronti dell'esistenza stessa di Israele inducono, allora, a riflettere sui fondamenti della convivenza nelle democrazie liberali, e sulle radici di un odio che appare in così stridente contraddizione con esse, alla ricerca di antidoti efficaci a superarlo una volta per tutte.

È da questo contesto problematico che nasce il saggio di Clelia Castellano La società fra memoria e speranza. Hatikvah. Per un umanesimo possibile (Guerini Scientifica). L'autrice, sociologa particolarmente impegnata nello studio sulla costruzione delle identità culturali e sulla condizione femminile nell'area euro-mediterranea, cerca di definire l'essenza del "trauma" generato nella civiltà occidentale dalla recrudescenza dell'antisemitismo innanzitutto partendo dal rapporto tra quella civiltà e la propria storia. Il ciclico erompere dell'odio e della sua forza distruttiva all'interno di società che hanno fatto del rispetto dei diritti individuali e della tolleranza la propria ragion d'essere è infatti, a suo avviso, da porre innanzitutto in relazione a una periodica, o costante, eclissi della prospettiva storica, e più specificamente proprio della consapevolezza del processo di costruzione dell'identità culturale occidentale, all'interno della quale ricade quella dei popoli e delle nazioni. Un'identità che non va vista, secondo l'autrice, come una "bolla" isolata, ma piuttosto come un mosaico nato dall'affiancarsi, dall'intrecciarsi e dal sovrapporsi di vicende diverse, per molti versi analoghe. La civiltà occidentale origina da quella mediterranea e asiatica, nella quale la cultura ebraica gioca un ruolo determinante, e nella quale si inscrivono nel tempo molti altri ceppi, con influenze reciproche.

Per disinnescare, insomma, il ricorrente antisemitismo occidentale, ma anche le altre forme di razzismo e qualsiasi concezione astratta, chiusa dell'identità secondo la Castellano è necessaria in primo luogo un'attitudine culturale costante alla ricostruzione, alla narrazione, alla coltivazione delle radici plurali dell'Occidente e delle civiltà con esso confinanti – e spesso confliggenti, come quella islamica – in una chiave di continuità e contiguità.
A tale scopo l'autrice non si limita a sottolineare come alcuni concetti centrali nell'evoluzione della cultura ebraica (tradizione come trasmissione di valori, sapienza come origine divina della dignità umana, interpretazione come attitudine al confronto dialettico) siano divenuti parte integrante della forma mentis europea e occidentale; ma affianca alla vicenda ebraica quelle di altri popoli che, spesso in contesti di contrasti o di persecuzione, hanno contribuito a configurare il multiforme bacino di civiltà comune, attraverso le sponde del Mediterraneo, a tre continenti. Innanzitutto quello berbero del Nord dell'Algeria, che nei secoli, pur subendo l'espansione arabo-islamica, ha conservato tanto i propri fondamenti culturali quanto gli apporti ebraici e cristiani. In secondo luogo quello armeno, primo popolo ad accogliere ufficialmente la religione cristiana, conservata poi nei millenni nonostante l'impatto della dominazione ottomana prima, del nazionalismo turco poi, culminato nel genocidio del 1915. Poi quello curdo, diviso e lacerato a partire dalla fine dell'Impero ottomano tra Stati dominanti diversi, vittima della politica di potenza e della ragion di Stato, fino all'attuale collocazione tormentata tra Turchia, Siria e Iraq. Infine, proprio quello arabo palestinese, per lunghi secoli vissuto fianco a fianco con gli ebrei e con altre etnie, e che, superando la logica di una contrapposizione esistenziale devastante, puà ritrovare una propria identità nazionale proprio nella coesistenza in una regione culturalmente plurale.

La "terapia" della storia, insomma, focalizzandosi ora su questa ora su quella identità all'interno di una complessa, continua interazione, per l'autrice "rende gli uomini fratelli, nella commemorazione come nella nostalgia [...] Una sociologia della storia e della memoria non potrebbe salvare il mondo, ma certamente farsi strumento di percezioni meno esasperate, più complete e complesse, dunque maggiormente cariche di possibili riflessioni e e soluzioni in direzione di una prospettiva di convivenza pacifica e forse di empatia,  nella reciprocità di percezione di una ricchezza comune e riconoscibile, chiamata identità" (pp. 58-59).
In tale quadro «abbiamo bisogno di incontrare l'alterità, ma perché non sia un'invasione, e sia invece un momento di accoglienza e di scambio, dobbiamo poter restare noi stessi, dobbiamo poter avere non dei muri nei quali rinchiuderci, ma dei confini» (p. 106). Le diverse identità possono vivere dunque soltanto in una dialettica di interazione, analogia e distinzione.

Proprio tale consapevolezza espressa dalla Castellano immunizza il lettore contro qualsiasi lettura "buonista", ingenua, facilmente moraleggiante della sua concezione di un superamento dei conflitti irriducibili tra civiltà attraverso la storia e la memoria. Queste ultime preparano, sì, il terreno a un confronto tra identità diverse che preveda la coesistenza e la convivenza. Ma la diversità sostanziale tra le civiltà non è il frutto di un errore di prospettiva né di una manipolazione ideologica, bensì un dato di fatto storico con il quale occorre fare i conti. Per evitare che essa sfoci in una contrapposizione distruttiva votata all'annientamento dell'altro è necessario che all'opera della cultura si aggiunga quella, decisiva, della politica. È necessario cioè che leadership equilibrate, culturalmente consapevoli, sappiano dosare forza e diplomazia, deterrenza e apertura alla collaborazione, per costruire un equilibrio solido, non effimero, tra aree del mondo diverse, di cui tutte possano avvantaggiarsi.