Sound of Freedom, chi ha paura del film anti-pedofilia
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Batte tutti i record il film Sound of Freedom, con Jim Caviezel, sulla lotta al traffico di minori. Eppure è una pellicola indipendente, rifiutata dalle grandi case produttrici. Media e critica continuano a parlarne male. Coscienza sporca?
Il film Sound of Freedom, che è stato proposto nei cinema degli Stati Uniti d’America il 4 luglio, a differenza dell'ultimo film di Indiana Jones, ha continuato a crescere in popolarità e, al momento, ha incassato circa 85 milioni di dollari al botteghino a fronte di un budget di 14,6 milioni, con la previsione di superare i 100 milioni alla fine di questa terza settimana di luglio. Dopo i primi giorni di diffidenza e silenzio, il successo che sta mietendo ha indotto sempre più sale a programmare la pellicola e moltiplicarne le proiezioni.
Sound of Freedom è un thriller basato sulle gesta del vero Tim Ballard, interpretato da Jim Caviezel, un agente della Sicurezza Nazionale che, dopo aver salvato un ragazzino dai trafficanti, scopre che la sorella del ragazzo è ancora prigioniera. Si licenzia e mette a rischio la sua vita, intraprendendo un pericoloso viaggio attraverso la giungla colombiana per salvare la bambina. Nel 2013, Ballard e alcuni ex agenti governativi avevano lasciato il loro lavoro per fondare “Operation Underground Railroad” (O.U.R.), che lavora in tutto il mondo e in collaborazione con le forze dell'ordine per salvare i bambini dalla schiavitù e dallo sfruttamento.
Vale la pena vederlo, speriamo presto in Italia, ben distribuito, ben doppiato e magari anche in prima visione in Rai, perché getta una luce necessaria sul problema mondiale del traffico sessuale di bambini, su quanto sia diffuso e su come gli Stati Uniti sia il primo mercato dove si compiono questi criminali commerci umani.
Negli Usa, i media tradizionali e i vari siti di sinistra e liberal americani, ma anche da noi, hanno evitato di raccomandare la visione del film, altri si sono detti sconcertati e molti non ne hanno nemmeno parlato sino alla scorsa settimana, quando il successo che stava mietendo la pellicola era impossibile da nascondere. Non sono mancati gli attacchi all’attore principale Jim Caviezel, di chi lo voleva legato agli estremisti, razzisti e cospirazionisti di “QAnon”, altri hanno polemizzato sul fatto che il lancio del film era coinciso con l’annuncio dell’impegno politico, forse in vista delle elezioni presidenziali in Messico, del produttore e attore di successo Eduardo Verástegui.
L’acrimonia nei confronti della pellicola, oltre all’invidia delle grandi case produttrici, dalla Disney alla Sony, e alla vendetta che, dopo il rifiuto di Netflix e Amazon prime, i giganti dell’intrattenimento stanno consumando, è certamente dovuta la sua trama. Non che Hollywood sia contraria a fare film che mostrano rappresentazioni ben peggiori della schiavitù (sessuale o di altro tipo), come in film come Schindler's List o Dodici anni schiavo. Si tratta di film storici in cui gli spettatori e i critici potevano guardare o analizzare il film con la sicurezza di vivere in un mondo probabilmente più civilizzato, molto distante da quello delle piantagioni coloniali o dagli avvenimenti della Seconda guerra mondiale.
La pellicola Sound of Freedom invece costringe a guardare in faccia ad un problema grave e reale che sta accadendo nelle città occidentali ed in quelle del terzo mondo e strattona la coscienza dello spettatore, mettendo ciascuno di noi di fronte alla realtà: la considerazione diffusa di valutare l’infanzia come oggetto di piacere, di abusi, di schiavitù e lavoro a basso costo e, in ultima analisi, come un bene di consumo degli adulti.
Oltre all'avversione morale di coloro che non vogliono farsi provocare dalla realtà e giudicarla per quel che è, un nuovo schiavismo incivile, un altro motivo per cui Sound of Freedom è criticato e censurato, è per i tanti espliciti riferimenti evangelici e biblici presenti nelle parti dei protagonisti, a partire dalla scena in cui Caviezel ricorda al pedofilo "Ohinsky" della «macina da mulino» che potrebbe venirgli appesa al collo. Certamente lo snobismo e l’indifferenza con cui molti media liberal socialisti guardano alla pellicola, nasce anche dalla volontà granitica di voler dimenticare le putride vicende che hanno interessato il produttore hollywoodiano Harvey Weinstein, quelle del finanziere Jeffrey Epstein e della sua rete di politici, banchieri, industriali, nobili e magnati globalisti, il volgare diffondersi dell’indottrinamento LGBTI e le sbandierate perversioni e abusi infantili compiuti durante i gay pride, celebratisi nelle scorse settimane.
Ammettere che il traffico sessuale di bambini è oggettivamente sbagliato e da condannare senza mezzi termini, significherebbe che certe preferenze e attività sessuali sono ingiuste o illecite. Una volta iniziato questo discorso, si dovrebbe mettere in discussione tutte le libertà sessuali e sociali acquisite nel corso degli anni. In breve, se si inizia a parlare degli orrori del traffico sessuale di bambini e della necessità di fare qualcosa al riguardo, si costruisce inavvertitamente una solida argomentazione a favore del ripristino dei costumi sessuali tradizionali e della costruzione di famiglie stabili e più forti.
Sia chiaro, in Sound of Freedom, apprendiamo che il titolo deriva dal suono della gioia e dell'allegria dei bambini quando la loro innocenza è protetta e sono liberi di essere bambini. Invece è una triste testimonianza dei nostri tempi il fatto che ci siano persone che sono disposte a permettere che un bambino venga venduto, privato dei suoi genitori naturali, violato nel suo pudore e abusato con immagini ed insegnamenti perversi, perché può significare rispettare l’identità altrui o la libertà di seguire desideri degradati.
Questo film e le imprese reali delle forze dell'ordine e di gruppi come “Operation Underground Railroad” che in tutto il mondo e non solo negli Usa combattono il traffico di esseri umani, la schiavitù, gli abusi e la pedofilia, ci ricordano che un patto con il diavolo, anche sancito con il pavido silenzio e la malintesa tolleranza, non vale mai la pena esser sottoscritto.